
Le Lettere di Cèline C. – Piero e Silvia
Dopo il riscontro inaspettato del brano “Anna e Luca”, ha preso forma il desiderio di fare un viaggio attraverso il mondo delle relazioni di coppia. Un viaggio che so dove comincia e non so dove ci porterà. Sono le coppie stesse a raccontarsi tramite le mie parole. Sono anni che avevo nel cuore questo progetto e il blog “Come Gesù” di don Mauro Leonardi mi ha offerto la possibilità di lavorarci in bozza.
Prendetele così… delle storie scritte su tovaglioli a un tavolino del bar, in attesa del caffè, che non hanno alcuna pretesa se non di accompagnare la fatica, la bellezza, la dolcezza, il dolore, la verità che ogni relazione porta con sé.
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Piero e Silvia
Il divano
Silvia si alza da tavola, ha tutto il peso di una giornata difficile addosso e chiede a Piero di lavare i piatti.
Piero brontola ma sa che non può sfuggire alla richiesta…
SIlvia si siede sempre allo stesso posto del divano, da anni, quello all’estremità, accanto al poggiabraccio, in un cantuccio dove il suo corpo può deporre le armi.
Avvita le braccia intorno alle gambe piegate sul petto e appoggia il mento spigoloso sulle ginocchia ossute… ossa su ossa… è la sua casa conosciuta, la sua posizione “sicura” per decomprime i pensieri. Un rito tutto suo.
Intanto Piero, dalla cucina, la interpella con domande che la costringono a dirigere i lavori a distanza. Piero non coglie sempre quanto sia sacro quel momento per Silvia.
E Silvia, ormai, ha i suoi sistemi per glissare sulle richieste di Piero, prende il telefonino e sbircia qualche notizia sui social, fingendosi occupata.
Piero ci mette un po’ a sistemare la cucina e a breve si ritroverà, come da copione, sull’angolo opposto del divano, l’altro cantuccio… dove di solito si addormenta presto, sfinito.
Ma stasera, Silvia, guardandolo, lo vede.
Mentre legge, con la coda dell’occhio osserva Piero. Lo aveva guardato mille volte ma senza vederlo.
È curiosa quella sensazione, di interesse per come l’altro si muove tra le cose, di come l’altro affronta la realtà, non per giudicare o correggere ma solo per conoscere.
E’ una sensazione che la rimanda indietro almeno di dodici anni. Le piaceva allora, osservare in silenzio come Piero si muoveva. Lo contemplava, quasi come stesse pregando. E contemplandolo, lo conosceva e se ne innamorava.
Piero non si accorgeva quasi mai di quelle preghiere silenziose, di quell’amore non comunicato. Indaffarato con lo spremiagrumi da rimontare, i cibi da conservare…imprecando di nascosto contro l’azione più odiata in assoluto!
All’improvviso Silvia dice: “Grazie Piero! Non è scontato che tu stia facendo questo!”
Piero, non capisce…: “cosa, Silvia?”
Silvia lo deve ripetere! Quando ti chiedono di ripetere cose difficili da dire, è allora che devi trovare il vero coraggio di dirle. E per dire un grazie inatteso ci vuole molto coraggio.
Ma stasera, lei lo vuole trovare, il coraggio: “grazie Piero! Pensavo che ti sono grata e te lo volevo dire…”.
Piero si siede sul divano ed è paradossale come entrambi si siedano come due combattenti ancora in battaglia. Ma stasera c’è qualcosa di diverso, Piero lo intuisce.
Piero dice a Silvia: “vieni qui?”
Silvia non se lo fa dire due volte, si distende con la schiena sul suo ventre, appoggiando il capo all’altezza delle sue spalle ed è lui che le appoggia il mento sulle spalle ora.
Piero le accarezza le braccia e dice: “che succede?… lo capisco che c’è qualcosa di nuovo…”.
Silvia è quasi imbarazzata, non le piace quando qualcuno le fa notare le cose che sente. Le piace passare inosservata. Ma nello stesso tempo è grata perché Piero si è accorto!
Allora coglie l’attimo e gli dice: “non ci avevo mai fatto caso alla mia posizione sul divano! Una posizione per nulla accogliente. Quasi una posizione fetale, come a letto. Mi rannicchio in me stessa non permettendoti quasi mai di abbracciarmi, di farti entrare nell’intimità dei miei pensieri. La mia posizione parla di quanto io sia concentrata su di me a fine giornata. Mi chiudo in me, non guardo e tanto meno riesco a vedere te. Un tempo era diverso perché volevo conoscerti. Ora, tante volte, è proprio l’inganno di conoscerti già a non farmi soffermare più su di te.
Negli ultimi anni è stato sempre di più il mio mento ad appoggiarsi alle mie ginocchia, non le tue mani ad accarezzarle. Non te l’ho lasciato fare. E tu hai sempre accettato. Mi hai presa per com’ero, non mi hai mai forzata. Non mi hai mai spostata dal divano.”
E intanto pensa, senza dirlo, che nella delicatezza di non voler violare l’intimità personale, non hanno saputo costruire un’intimità comune.”
Piero dice: “sai che c’è Silvia? A me non disturba che tu sia rannicchiata. Se tu hai bisogno di coccolarti io non posso fartene una colpa. Forse è questo che mi ha sempre frenato: l’insicurezza. Forse non mi sentivo in grado di coccolarti nello stesso modo in cui lo fai tu con te stessa. Ed era bello vederti lì in quel cantuccio. Il tuo viso assorto, il corpo protetto in un guscio. Il tuo guscio è una certezza alla fine delle mie giornate. Se tu non ci sei io non mi riesco neanche ad addormentare, lo sai…”
Silvia gli dice: ”Sì, Piero, è bello quello che dici, ma mi rendo conto che così sono diventata come una mamma per te, quella che ti rimbocca le coperte… e forse è questo che nel tempo ha creato nel divano due parti sfondate ai lati con un vuoto al centro… l’abitudine a non violare l’intimità solitaria dell’altro.”
Silvia continua: ”Nel tempo ho capito che ognuno ha bisogno di una sua intimità, la parte più feconda è l’intimità che coinvolge Dio. Se l’intimità la creo con Dio e non solo con me stessa, diventa davvero feconda perché ho lo slancio di trasferirla a chi mi è intorno. Da quel cantuccio viene fuori tutto quel Suo amore. Ho capito che è uno spreco che tutte quelle coccole siano solo per se stessi…
Quel cantuccio non serve a niente se io basto a me stessa. Serve se mi rilancia verso di te. Serve se, quando poi vieni a sederti, io mi sposto e ti faccio compagnia. Serve se, a fine giornata, preghiamo insieme e ci vediamo.
Lo sto chiedendo Piero, lo chiedo per noi, che impariamo a stare sul divano con un’intimità tutta “nostra”, che non è solo nostra, che coinvolge anche Dio… perché evidentemente Dio ha un progetto su di noi anche quando siamo seduti sul divano!”
M. Céline C.
Nata in un piccolo paese, si trasferisce in diverse città d’Italia per studio e per lavoro. Da sempre amante dell’arte e della poesia. Moglie, madre, lavora in tutt’altro ambito ma prepotentemente la passione per la scrittura ogni tanto si riappropria di uno spazio importante. M.Céline C. ha un’autentica passione per le relazioni umane. Fondamentalmente disobbediente, diretta, schietta. I suoi brani mostrano sempre quella “sicura insicurezza” che da sempre sperimenta nella vita.