Agi – Le fabbriche dei follower e la campagna elettorale
Segnalo questo articolo molto interessante del direttore di Agi, Riccardo Luna
State attenti a quelli con cui chattate in rete. Potrebbero essere robot. Non lasciatevi ingannare dalla foto del profilo e dalla biografia, in rete ci sono milioni di account fasulli. Una poderosa inchiesta del New York Times porta per la prima volta alla luce un sistema di cui si parla da anni: le cosiddette fabbriche dei followers (in Italia qualche anno fa se ne occupò il professor Marco Camisani Calzolari). Due numeri rendono l’idea del fenomeno: quasi 50 milioni di utenti attivi di Twitter sarebbero in realtà profili fasulli, gestiti da robot (detti semplicemente bot); e su Facebook questo numero sale a 60 milioni. Praticamente gli abitanti di un paese come l’Italia: solo che sono zombie digitali.
I profili fasulli sono identici a quelli veri intanto perché l’immagine del profilo che utilizzano è un’immagine vera, rubata ad un profilo reale, magari poco utilizzato, con pochissimi follower, oppure creato tempo fa e abbandonato da anni. A partire da quella foto si aggiungono un nome di fantasia, una bio generica e il bot è pronto. A fare che? Tante cose. La prima è ingrossare le fila dei follower di chi vuol dimostrare al mondo quanto sia influente sui social media. La seconda è rilanciare tutti i messaggi scritti da qualcuno in modo da accreditare la falsa idea che in rete ci sia consenso su quel messaggio.
Non sono scherzi, sono truffe pericolose. Perché sul numero dei follower si costruiscono carriere personali (qualche giorno fa ha fatto scalpore la ragazza inglese che pretendeva di alloggiare gratis in un hotel di lusso col fidanzato in cambio di una recensione positiva ai suoi follower, migliaia naturalmente, precisamente 87 mila). Ma ancora di più in questo modo si orienta e si distorce il dibattito politico, influenzando l’esito delle elezioni, come accaduto negli Stati Uniti.
Dietro ci sono moltissime società che svolgono il servizio. La principale, svelata da Times, si chiama Devumi, sta in Florida, è stata fondata da un 27enne che in rete si vanta di lauree e master naturalmente fasulli (anche in modo ridicolo: se fosse vera la laurea in fisica a Princeton l’avrebbe conseguita quando aveva 10 anni); ma che fa fatturati reali con oltre 200 mila clienti (sportivi, attori, politici, semplici scalatori sociali, ma nella lista del Times ci sono anche il governo cinese e un capo di stato sudamericano) che si sono rivolti a Devumi per un ritocchino social.
Anche in Italia ci sono reti di bot politici (una, di duemila bot, è emersa qualche settimana fa). Quanto costano? Dieci centesimi per ogni bot, ha scoperto il Times. Dieci centesimi e hai un robot-follower al tuo servizio. Insomma una parte non trascurabile delle conversazioni sui social, sono algoritmi che si parlano fra loro. Per questo il mio consiglio ai candidati di questa campagna elettorale è: non ignorate la rete, certo, ma andate per strada, stringete mani vere, guardate le persone negli occhi, ascoltate la loro voce. Dei bot fasulli si occupi la polizia postale invece.