Alessandra Bialetti / Blog | 08 Gennaio 2018

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Il diritto alla misericordia

Luca Bortolaso e Alex Ferrari, non due amici la cui morte prematura ed improvvisa non avrebbe fatto notizia se non pietosamente piangere una ingiusta dipartita ma una coppia di ragazzi che avevano una relazione sentimentale e non la “esibivano” ma la vivevano in semplicità e con impegno reciproco da circa due anni. Questo fa notizia ma purtroppo nel modo peggiore, nel modo in cui si vuole sottolineare la “morbosità” di una sessualità piuttosto che soffermarsi sul dolore della fine di due giovani vite. I ragazzi sono morti durante le feste di natale in un appartamento in montagna dove trascorrevano le vacanze come molti ragazzi della loro età e la notizia del fatto è stata riportata dalla stampa con grande difficoltà rispetto al loro orientamento sessuale: sono stati definiti amici perché vivevano un amore di cui si ha difficoltà a pronunciare il nome. Due ragazzi di cui è emerso ben poco circa la loro vita quotidiana e familiare quanto invece si è speso molto sulla loro relazione affettiva.
E poi la richiesta di un funerale congiunto in cui potessero essere ancora insieme, funerale celebrato ad Arzignano da Don Roberto Castegnaro che ha aperto la sua chiesa e il suo cuore alla coppia non negando il conforto della fede alla loro famiglia. Mi sono sentita in sintonia con questo sacerdote per il quale non era importante ciò che i ragazzi fossero nella realtà ma diffondere un messaggio di conforto e di speranza che li accompagnasse e stesse vicino alle loro famiglie. Non volendo con questo gesto esaltare o promuovere l’omosessualità ma aprire le braccia alla accoglienza e alla misericordia. E i due piani non andrebbero confusi.
Poi mi imbatto nella lettura dell’articolo apparso sulla Nuova Bussola Quotidiana il giorno dell’Epifania, giorno in cui si manifesta la grandezza e semplicità di un Dio che si fa bambino per sporcarsi le mani con la vita dell’uomo colto nella sua realtà esistenziale qualunque essa sia. E non posso ancora adesso tacitare il senso di tristezza profonda e di disagio che quelle parole hanno generato in me.
L’articolo si focalizza sulla decisione, ritenuta erronea ed errata, di celebrare i funerali di due persone che vivevano la loro relazione in disaccordo con la chiesa. I ragazzi, rei di essere peccatori non pentiti, peccatori che avevano scelto di “esibire” la loro omosessualità che quindi in quanto agita era di scandalo, colpevoli di aver pronunciato un “no radicale alla chiesa”, non avrebbero avuto diritto alle esequie e la loro famiglia, i loro genitori che li avevano accolti come loro creature e amate per quello che erano, non avevano diritto al conforto della fede e alla condivisione della comunità ecclesiale. Un giudizio che di carità ha ben poco.
La scelta del sacerdote di celebrare i funerali nel rispetto della loro relazione, secondo quanto riporta l’articolo, è giudicata erronea in quanto pentimento non vi era stato sulla propria condotta e la loro affettività costituiva pietra di scandalo. Si è voluto anche sottolineare che Don Roberto “non sapesse che pesci pigliare” per paura di essere tacciato di omofobia e per non essersi rivestito dei panni del martire per seguire Cristo. Ritengo tutto questo molto irrispettoso nei confronti di un sacerdote che penso abbia fatto le sue valutazioni aprendo il cuore alla misericordia e alla necessità di offrire un sostegno e un conforto alle famiglie in un momento di profondo dolore come la morte di un figlio. La sua scelta in questo caso appare ancora più coraggiosa e in linea con la chiesa a braccia aperte che Papa Francesco sta svelando senza venir meno alla proclamazione della verità. Davanti alla morte di due persone (perché tali sono a prescindere da qualsiasi orientamento) i virgolettati ironici che si possono trovare su certe parole dell’articolo, il ribadire la condotta “fuorilegge” dei ragazzi rei di avere una relazione non sordida ma vissuta nella quotidianità senza essere esibita, credo siano fuori luogo e non in linea con la carità evangelica di cui ogni giorno celebriamo la centralità come cristiani. Non credo che si debba esultare per un “imprimatur ecclesiastico all’omosessualità” come recita l’autore dell’articolo quanto silenziosamente avvicinarsi al dramma di quei genitori che, oltre al dolore della perdita dei loro figli, si trovano a fronteggiare il tam tam mediatico e, peggio ancora, un giudizio netto e inappellabile circa la liceità dei funerali. Mi avvicino al loro dolore, al loro diritto di essere sostenuti da una chiesa che, se realmente madre non può chiudere le braccia davanti al dolore di chi ha generato figli stroncati in giovane età e che ha tutte le “carte in regola” per essere confortata, ascoltata, supportata, accompagnata nella salita al calvario che si è aperto davanti ai loro passi. A questi genitori, tacciati di avere figli peccatori, non pentiti, fuori dalla comunione ecclesiale a causa della loro relazione, si carica sulle spalle un fardello ancora più pesante, uno stigma che rischia di lacerare ancora più profondamente le loro anime. L’unica riflessione che si possa produrre riguarda il dolore della morte, il non poter più crescere e seguire nella vita i figli e non la questione del loro orientamento sessuale e la loro affettività. Nel momento della salita del loro calvario, che li accompagnerà tutta la vita, l’unica parola che possa essere spesa non è quella verbale, del giudizio, dell’accusa, ma il silenzio di un abbraccio che dona conforto, che asciuga le lacrime, che condivide un pezzetto del doloroso andare. Preghiere sono necessarie ma per implorare per queste famiglie il conforto della fede che possa dare un senso a tanto dolore e accompagnare i due ragazzi nel loro viaggio. Il sacrificio da compiere (parola utilizzata nell’articolo) è lo sforzo per cercare di andare al di là dei propri giudizi, delle condanne, dei pronunciamenti anche nei confronti di un sacerdote che, nel pieno delle sue facoltà, ha aperto le braccia all’accoglienza misericordiosa del tratto di vita di due persone. Sulla presunzione di peccato mortale non voglio entrare nel merito perché non è mio compito e perché ritengo peccato peggiore il contravvenire alla regola dell’amore che non giudica ma tutto copre e tutto comprende. E con questo non voglio contravvenire alla legge in nome del tutto diventa possibile ma guardare agli occhi di un Cristo che vede l’uomo oltre la regola, la sua fatica di vivere oltre la caduta, la possibilità di riprendere il cammino oltre ogni incidente di percorso.
Perché invece di aprire il cuore alla preghiera silenziosa per queste famiglie ci affrettiamo a ergerci a giudici implacabili presupponendo di avere in mano la verità? So di rischiare di essere per molti impopolare, scomoda e forse anche “eretica” ma credere in un Cristo che ha abbracciato i due ragazzi senza alcun giudizio e accompagna i loro genitori con piena condivisione della sofferenza che vivono, mi aiuta molto di più a guardare anche alle mie povertà con quella speranza di essere accolta per ciò che sono comprese debolezze e fragilità.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.