Alessandra Bialetti / Blog | 05 Dicembre 2017

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Il coming out: un’opportunità di crescita (I parte)

Il termine “coming out” significa uscire allo scoperto, manifestare il proprio orientamento sessuale davanti ad altri dopo averlo accolto in se stessi accettando pienamente la propria omosessualità nella sfera pubblica e privata. E’ la tappa del percorso evolutivo in cui l’identità personale, ovvero ciò che si percepisce di essere, e l’identità sociale, ciò che viene percepito all’esterno, arrivano a coincidere completando quel processo di integrazione necessario per un sano ed armonico sviluppo della persona.

Il coming out rappresenta un momento di crescita importante per l’intera famiglia: è il momento della verità, di abbandonare paure, mistificazioni, falsificazioni di sé e stabilire relazioni più autentiche aperte alla progettualità e costruzione di una vita integrata e riconciliata. All’annuncio dell’omosessualità di un figlio tutta la famiglia si “colora di omosessualità” essendo chiamata a ridefinire le proprie posizioni e a trovare nuove strategie davanti alle difficoltà interne ed esterne. L’intera famiglia è mobilitata a svolgere un nuovo compito evolutivo al di là di quello tradizionale di fornire cura e protezione: deve definirsi come famiglia che vive la condizione di omosessualità rispetto ad un mondo esterno che, nella maggior parte dei casi, è portatore di stereotipi e pregiudizi nei confronti di una “differente normalità”. Tutti i membri della famiglia, diventano, in potenza, soggetti alla discriminazione sociale e tale sofferenza agisce all’interno del contesto familiare o come collante o come motivo di allontanamento e rifiuto reciproco.

Il coming out è tuttora considerato un evento inatteso nel normale percorso evolutivo della persona. Sono eventi previsti la nascita e la morte, ma non ancora il possedere e manifestare un orientamento sessuale differente da ciò che il canone di “normalità” richiede. La società, infatti, esercita delle forti aspettative di ruolo nei confronti della persona e si attende che vengano adempiuti certi compiti in base all’appartenenza al sesso discriminando ciò che si pone al di fuori di determinati canoni. Davanti a questo evento inatteso la famiglia si trova sprovvista degli strumenti necessari per decodificare e metabolizzare la nuova realtà: prova paura davanti ad una situazione non conosciuta e temuta, sperimenta l’assenza di chiavi di lettura adeguate per affrontare la situazione, nutre il timore del rifiuto, dell’isolamento nonché del non essere una buona guida credendo di aver fallito la propria missione educativa.

Se è vero che il coming out rappresenta un evento inatteso e destabilizzante dell’equilibrio familiare, allo stesso tempo può diventare occasione di crescita laddove la crisi venga vista e vissuta, non come un incidente di percorso, quanto come momento costruttivo e ricostruttivo di relazioni che si aprano all’accoglienza e valorizzazione della diversità come ricchezza e risorsa dell’intera vita familiare. La rivelazione dell’omosessualità rappresenta indubbiamente un trauma all’interno dell’equilibrio familiare: il genitore si sente provocato visceralmente, toccato nell’affetto più profondo e nel suo ruolo e compito di guida. Tuttavia, il coming out rappresenta un momento preziosissimo di ridefinizione delle dinamiche e relazioni familiari: ognuno si confronta con il proprio vissuto, con le proprie paure, giudizi e pregiudizi essendo chiamato a sperimentare nuove strategie per ricostituire la relazione e il clima affettivo-emozionale volto allo sviluppo e benessere della famiglia. Il tessuto familiare diventa risorsa: è luogo educativo primario di cui la persona ha bisogno per accogliere se stessa integralmente e continuare a sentirsi amata e sostenuta in un percorso che la porterà alla completa realizzazione e all’inserimento in una società che tuttora vive il problema e il limite della discriminazione e dell’omofobia.

Il coming out si pone, quindi, come processo interattivo, come processo di auto ed etero educazione in cui confrontarsi con il vissuto dell’altro aiuta a rompere quel clima di omertà, menzogna e clandestinità relazionale che condanna l’intera famiglia. Il coming out innesca un percorso di educazione “circolare” in cui ognuno si cala nei panni dell’altro cercando di coglierne il vissuto emotivo e di dare risposta a quel senso di inadeguatezza e svalutazione che separatamente si vive. Il figlio si pone all’ascolto del genitore che vive il senso di colpa e fallimento per aver messo al mondo un figlio “sbagliato”, il genitore accoglie il vissuto del figlio che tenta di vivere integralmente la propria esistenza includendo l’orientamento omoaffettivo e un progetto di vita omosessuale. Entrambi, genitori e figli, si trovano ad elaborare un proprio lutto che trova la sintesi nell’abbandonare i sogni o le aspettative di una presunta “normalità” secondo i canoni socialmente riconosciuti, i progetti di una vita affettiva eterosessuale e di una discendenza “tradizionale” a favore di un progetto di vita che si apra a relazioni omosessuali stabili, mature e responsabili. Il dolore di tale lutto può essere vissuto come condanna ma può anche aprire ad una nuova nascita: il figlio non sarà più considerato un “diverso” in forza del suo differente orientamento sessuale ma solo e semplicemente perché portatore di un vissuto particolare e delicato che va accolto, ascoltato, valorizzato e affrontato in una sorta di strategia di gruppo in cui le risorse di ciascuno possano realizzare il benessere di tutti.

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.