Blog / Gavina Masala | 06 Novembre 2017

Le Lettere di Gavina Masala – Né con speranza né con timore

Alessio il Sinto, Mario Seferovic nella realtà, è un ragazzo bosniaco di vent’anni nato a Napoli, Rom, residente nel campo nomadi di via Salone a Roma, che un bruttissimo e nefasto giorno decide, insieme all’amico Maikon Bilomante Halovic, di violentare due ragazzine di quattordici anni conosciute su Facebook.

Le responsabilità sono tante, di tanti, l’elenco è veramente lungo: Roma è una città abbandonata, alla faccia di quanto cerchi di affermare il Prefetto Paola Basilone che assicura in preparazione un nuovo “piano sicurezza”. Attualmente la città è degradata, sporca e questo favorisce degenerazione ad alti livelli. Non ammetterlo è penoso e colpevole. I parchi sono terra di nessuno ed io, mamma di due bimbi in tenerissima età, non li porto mai volentieri. Il web, che è una possibilità di conoscenza, ma che va saputo utilizzare e soprattutto che deve rimanere strumento, non fine. Ma le due ragazze erano veramente troppo giovani per potere fare questo distinguo, e si sono trovate impantanate in qualcosa che non hanno saputo gestire, appena uscite dall’età dei giochi. I campi rom, realtà che nasconde sacche di delinquenza della più deteriore, le autorità tollerano e le forze dell’ordine non sono un numero tale da potere controllare quanto vi avvenga. I genitori? Beh, sebbene Maria Latella dalle colonne del Messaggero di ieri lo faccia, con motivazioni più che valide a mio avviso, proprio non me la sento di puntare il dito contro di loro. Certo, avrebbero dovuto e potuto controllare, magari lo hanno fatto senza esito o magari non lo hanno fatto perché lavorano troppo o semplicemente non sanno farlo. Chissà. Sta di fatto che sono vittime loro, in un certo senso al pari delle figlie.

Purtroppo insomma, con concorso di cause e di colpe, è avvenuto quanto non dovrebbe mai avvenire, e da qualcosa di positivo si deve ripartire. Per ricostruire, in primis la vita di queste due giovanissime e delle loro famiglie.

Mi commuove molto pensare che il papà di una delle due le abbia aiutate a identificare l’energumeno autore dello stupro, cercando delle foto da fornire ai carabinieri. Altrettanto mi commuove pensare al blitz delle forze dell’ordine nel campo Rom in cui alloggiava il figuro: pare sia l’anticamera dell’inferno, dove odore mefitico e facce omertose abbiano “accolto” i carabinieri, biascicando di non sapere nulla. Immagino non sia stato semplice, neppure per loro, che lo fanno di mestiere.

Questa è la realtà: che accanto alla melma cresce il buono, che potrà togliere le due vittime dal pattume in cui sono state gettate. E’ vero tutto: l’immigrazione va gestita meglio, i genitori sono poco presenti, le tecnologie hanno risvolti imprevedibili ed atroci, le città sono abbandonate, nessuno si assume la responsabilità di quanto accade e potrei andare avanti.

Ma proviamo per queste incolpevoli a non dare colpe ed a partire dal buono: dalla vicinanza con le loro famiglie che potranno sperimentare, dall’aiuto che potranno ricevere e che stanno già ricevendo, da quanto – purtroppo – la loro storia potrà fare riflettere altri adolescenti che saranno portati a pensarci prima di conoscere il fidanzatino della chat.

Certo, è troppo poco per voi che non c’entravate nulla, pagate un fio davvero troppo oneroso, ma puntare il dito questa volta sarebbe fuori luogo, credo. Che la società, che tanta colpa ha in casi come questo, si assuma la responsabilità di curare le due piccole anime. E forza, ragazze, “né con speranza né con timore” – dicevano i latini – che la realtà la contemplavano, la conoscevano.

Giovane mamma e moglie, scrivo per capire. Ho una formazione internazionale, da settembre 2015 ho intrapreso un secondo corso di studi in filosofia, presso un ateneo pontificio. Parlo tre lingue, mi interesso soprattutto di relazioni internazionali e di religioni: cerco di vedere come la prospettiva cristiano – cattolica possa aiutare a convivere pacificamente. Ha un suo blog personale