Agi – Tra Kim e Trump il pensiero non ideologico di Papa Francesco
Il frutto della preghiera non è starsene con le mani in mano ma rimboccarsi le maniche. E così, chi come Papa Francesco predica la pace piccola e artigianale si trova poi a lavorare in modo concreto per operare in maniera costruttiva affinché Kim e Trump meditino sulle conseguenze disastrose di una guerra atomica. Lo sforzo che sta facendo Francesco per risolvere la tensione nucleare tra Usa e Corea del Nord non può essere ridimensionato, così come non poteva essere ridimensionata la portata di come si era adoperato per sciogliere i nodi della droga in sud America o quanto fece Giovanni XXIII per risolvere la crisi di Cuba.
L’occasione sarà il vertice mondiale per il disamo nucleare del 10 – 11 novembre in Vaticano dove ci saranno 11 premi Nobel per la pace, i vertici delle Nazioni Unite, della Nato e i rappresentanti degli stati coinvolti nella crisi coreana, fra cui Usa, Corea del sud e Russia che dovranno ascoltare, tra gli altri, Masako Wanda una delle ultime superstiti di Hiroshima, che racconterà come ha dovuto fare i conti per tutta la vita con le conseguenze del fungo atomico.
Agli inizi del pontificato, nella Messa di Santa Marta del 25 aprile 2013, Papa Francesco diceva che l’orizzonte grande e magnanimo è il luogo proprio del cristiano e della predicazione evangelica: “Un cristiano pusillanime non si capisce”. Il collocarsi in questa dimensione enorme, infinita, nasce dal vincere la paura di fallire e questo coraggio deriva dall’aver messo da parte il “pensiero ideologico”. È l’ideologia infatti, per Papa Francesco, il vero nemico della speranza.Non sto parlando di un certo tipo di ideologia ma dell’ideologia in sé.
Da quando è Papa, Bergoglio ci convince che l’ideologia sia solo una caricatura di pensiero. Quando si entra nel pensare ideologico ci si preclude la possibilità della sorpresa: e la speranza invece è proprio guardare ogni nostro passo attendendosi da esso qualcosa di nuovo, di positivo, che non ci si aspetterebbe. L’ideologia è un pensiero che contiene nel proprio sviluppo solo ciò che era già contenuto nella premessa. E quindi non contiene nessun vero sviluppo: è solo un ingrandimento, una replica maggiore e più estesa di quanto già c’era. Nel ragionamento ideologico non c’è mai nulla di veramente nuovo perché tutto è frutto del medesimo algoritmo. Il pensiero ideologico è un pensiero che presume di sapere già tutto, che ha già un giudizio su quanto accadrà perché crede che nulla di davvero nuovo accadrà: avverrà ciò che già si sapeva. “È andata come pensavo, sei sempre lo stesso, come volevasi dimostrare, e quindi naturalmente…” : ecco le frasi del pensiero ideologico.
Il pensiero non ideologico invece è un pensiero pieno di speranza perché è aperto. Se il Papa pensasse che nulla di nuovo possono dirsi l’ambasciatore di Kim e quello di Trump, perché farli incontrare? E invece, poiché non pensa in maniera ideologica, coltiva la speranza che possa nascere qualcosa di non già detto: magari l’emozione che saprà trasmettere Masako Wanda intenerirà il cuore di Kim. Chi dovesse sorridere a queste mie parole dovrebbe forse riflettere se il suo non sia un modo di pensare “ideologico”. Cioè fermo, ripetitivo, martellante, soffocante. E capiamo tutti che una domanda del genere, un interrogativo rispetto al nostro atteggiamento esistenziale, prescinde dal fatto che si stia parlando di una guerra atomica o del modo di parcheggiare l’auto del nostro vicino di casa, o di come saluto o non saluto chi amo.
Tratto da Agi