
Blog – Intervista a Federica Colzani, segretaria regionale dell’Opus Dei in Italia
Fernando Ocaríz, da poco nuovo prelato dell’Opus Dei, è stato a Milano quest’estate dal 22 al 25 agosto. Ora un gruppetto di donne restituisce la visita lavorando con lui a Roma dal 21 al 28 settembre. Tra loro, a capeggiare questo drappello, ci sarà anche Federica Colzani. Ne abbiamo approfittato per rivolgerle qualche domande su di lei e sul suo lavoro di Segretaria Regionale, alla luce delle richieste che Papa Francesco sta rivolgendo a tutta la Chiesa.
Dott.ssa Colzani buongiorno e grazie per il tempo che dedica al blog Come Gesù. Prima di farle qualche domanda sul lavoro che sta per andare a svolgere a Roma insieme al Prelato dell’Opus Dei, volevo che i nostri lettori sapessero di lei qualcosa di più. So che da qualche anno ha una particolare responsabilità rispetto al lavoro dell’Opus Dei in Italia ma prima di tutto le volevo chiedere di raccontarci qualcosa di sé. Forse non è tanto rispettoso perché alle donne non si chiede l’età ma mi piacerebbe sapere qualcosa della sua famiglia, di dove è nata, che studi ha fatto, quali sono le sue passioni e quale impegno professionale avrebbe se l’Opus Dei non le avesse chiesto di fare la Segreteria Regionale: questa è, se non sbaglio, la denominazione esatta del suo ruolo.
Grazie a lei don Mauro e ai lettori del suo blog. Sono nata un 8 settembre del 1975 sotto la protezione della Madonnina, a Milano. I miei genitori, Clementina ed Enrico si sono conosciuti nella sua città a Roma, conosciuti e sposati. Entrambi hanno operato per i diritti dei lavoratori, per intenderci mia madre ha inventato il nome “colf” e creato il contratto nazionale di lavoro. Da queste poche righe si può comprendere che io avrei fatto volentieri la sociologa. Ho studiato filosofia e sociologia dei processi culturali a Milano e a Torino e ho lavorato all’università. Mi piace leggere, sciare, e confidarmi con le amiche, se possibile davanti a una birra. Torno un attimo alla mia famiglia: ora mia madre è malata e mio padre ed io cerchiamo di curarla, di stare con lei. Le persone dell’Opus Dei mi sostengono davvero affettivamente, spiritualmente e anche materialmente per affrontare questo momento delicato.
Cosa vuole dire essere “Segretaria Regionale”? Lo chiedo perché, anche se il nome del nostro blog fa pensare che sia rivolto soprattutto a cattolici, in realtà è letto soprattutto da moltissimi laici, intesi come persone lontane dalla fede.
La Segretaria Regionale è la donna cui il Prelato dell’Opus Dei (ovvero un sacerdote a capo di questa istituzione) affida in una nazione il compito di coordinare il consiglio direttivo femminile, che coopera strettamente con il Vicario del Prelato di quella nazione, per esempio, in Italia. È una realtà di quello che Papa Francesco auspica: spazio alle donne per collaborare al governo della Chiesa. Quando spiego come vivo il mio lavoro mi piace dire che nel “day by day” è una sintesi fra essere manager, essere persona che progetta insieme agli altri, essere donna che si prende cura come una mamma delle persone che mi interpellano per problemi di fede, esistenziali, familiari o che cercano nuove vie per collaborare “alla Chiesa in uscita” attraverso lo spirito dell’Opus Dei
Degli amici comuni mi hanno parlato con gioia del recente viaggio estivo di Mons. Ocáriz a Milano. Lei probabilmente avrà avuto la possibilità di stargli più vicino: è stata colpita in particolare da qualcosa di lui, del suo modo di fare e ce lo vuole raccontare?
Mi ha colpito la semplicità, la facilità a stargli vicino, e come ha stretto forte la mia mano nella sua. Ha ascoltato tante persone con molta attenzione. In un breve personale colloquio sul nostro lavoro in Italia per prima cosa si è interessato della salute dei miei genitori. Appena arrivato, dopo otto ore di viaggio in auto, ha voluto andare a pregare sulla salma di Maria Dolores, una delle prime donne dell’Opus Dei venuta ad avviare il lavoro apostolico a Milano.
Adesso, parliamo dello scambio di esperienze che state per avere con lui a Roma nei prossimi giorni. Quali saranno le date esatte? Dove vivrete? Come si svolgeranno le vostre giornate? Chi saranno i partecipanti?
Ci troveremo a lavorare con Mons. Ocáriz da giovedì 21 a giovedì 28 settembre, nel Centro internazionale di Villa Balestra a Roma. Saranno presenti le nazioni in cui l’Opus Dei è più sviluppata. Dall’America: Argentina, Brasile, Colombia, Cile, Stati Uniti, Guatemala, Messico, Perù. Dall’Europa: Spagna, Italia, Francia e Portogallo. Dall’Africa: Kenya e Nigeria; infine, Filippine e Australia. Nei prossimi giorni il Prelato, che io chiamo Padre, desidera ascoltarci, ricevere esperienze di vita dai vari Paesi, sognare con noi lo sviluppo dell’Opera nei prossimi anni. Sono previsti molti momenti di scambio di esperienze. In questo tipo di attività la giornata inizia con un momento di preghiera, una meditazione predicata, e la Santa Messa. Il ritmo è intenso perché prevede un alternarsi di lezioni e sessioni di lavoro che ruotano attorno alla centralità di Cristo nella vita degli uomini e delle donne dell’Opus Dei. Parteciperò a questi giorni di lavoro insieme a cinque mie collaboratrici.
Immagino che, sulla spinta di Papa Francesco, cercherete di avere, rispetto all’Opera, uno sguardo non autoreferenziale: quindi non vi chiederete “come va l’Opus Dei”, “quante sono le vocazioni”, o cose del genere ma: “cosa chiede Dio all’Opus Dei nella società di oggi e nella Chiesa di oggi?”. Oppure: “i problemi del nostro tempo quali valori interpellano del carisma dell’Opera?” : mi sbaglio?
Ha proprio azzeccato don Mauro: ho sentito più volte commentare all’attuale Prelato, in precedenza Vicario generale dell’Opus Dei, che l’Opus Dei è a servizio della Chiesa e della società. Nell’ascoltarlo ho percepito una grande consapevolezza che solo guardando ai problemi del mondo e all’universalità della Chiesa, solo così si può comprendere il messaggio dell’Opus Dei e il contributo che può dare. Chiaramente, come credo anche altre realtà della Chiesa, siamo in cammino per affrontare le sfide che la realtà in cui viviamo ci propone e sulle quali il Papa sprona la Chiesa di Gesù
L’Opera è in Italia da tanti anni. Molti in questi decenni si sono avvicinati ad essa ma molti se ne sono anche allontanati e alcuni con ferite profonde. Il Papa ci chiede di integrare tutti, per cui penso che una delle vostre prime preoccupazioni sarà anche quella di pensare come riavvicinare all’Opus Dei quelli e quelle che l’hanno lasciata, le loro famiglie e i loro amici feriti e turbati da certi comportamenti, è così?
Guardi, proprio oggi ho pranzato a casa di una di queste persone, cosa che faccio abbastanza frequentemente e grazie anche alla sua benevolenza abbiamo recuperato una relazione autentica e collaboriamo insieme per un importante progetto dell’Opera. Io sono più giovane degli anni dell’Opera in Italia, ma sono consapevole che alcune persone sono rimaste ferite. Soffro con loro. Nell’Anno della Misericordia indetto da Papa Francesco abbiamo organizzato insieme alle persone con cui lavoro alcune attività sul tema della comprensione e del perdono, per elaborare insieme queste ferite, “toccare la carne sofferente dell’altro” e poter così ripartire insieme. Hanno partecipato a queste attività molte persone, non tutte chiaramente anche perché il numero di fedeli o di persone che frequentano l’Opus Dei in Italia è per fortuna molto maggiore rispetto al numero di “feriti”, anche se tutti ci portiamo dalla vita qualche cicatrice.
Ci ha raccontato che ha imparato da suo padre una grande sensibilità sociale e per gli altri. Questa mattina alla radio sentivo dire che molti osservatori ritengono che Angela Merkel passerà alla storia per aver guidato la Germania nel vincere la scommessa dell’integrazione di tanti immigrati per quella nazione. So bene che, per il suo ruolo, lei non vuole fare discorsi politici ma ho fatto questo esempio per contestualizzare la domanda che le sto per fare: le sembra che ultimamente le persone dell’Opera in Italia abbiano, rispetto ai migranti, il “cuore aperto” di cui ha parlato il Papa in aereo di ritorno dalla Colombia? Sa di persone dell’Opus Dei impegnate concretamente nell’integrazione? Conosce qualcuno che ha messo qualche proprio bene – case per esempio- a disposizione di extracomunitari?
Le case messe a disposizione mi sembra siano state per i terremotati italiani. So invece di beni messi a disposizione, per esempio da una coppia di piccoli imprenditori lombardi, Rita e Bruno, per favorire africani. Durante le vacanze natalizie il Collegio universitario Viscontea di Milano diretto da persone dell’Opera ha messo a disposizione la propria sala da pranzo per ospitare famiglie siriane. Donatella, una signora appartenete all’Opera, lavora da anni per “Farsi prossimo”. Mi risulta che nel Campus Bio-medico di Roma opera apostolica dell’Opus Dei ci sia una rete solidale all’accettazione degli ambulatori perché i poveri, italiani e migranti, possano pagare il ticket e accedere alle cure mediche.
Certamente la scommessa dell’integrazione lo è anche per l’istituzione: mi piacerebbe che nei prossimi anni in Italia si potesse avvertire una profonda intelligenza sociale capace di affrontare l’integrazione insieme a un “cuore aperto” a vivere la virtù della cittadinanza così come l’ha insegnata san Josemaría (mi viene in mente a questo proposito il capitolo “Cittadinanza” del suo libro “Solco” e la sua omelia “Amare il mondo appassionatamente”).
Lo specifico dell’Opus Dei è, a partire da una profonda consapevolezza del proprio essere “figli di Dio”, trovare “quel qualcosa di divino” – così si esprimeva il Fondatore – che c’è nel lavoro e nell’amicizia. A me sembra che scommettere su questi due valori trasversali sia un grande dono che lo Spirito Santo potrebbe fare al nostro paese, attraverso la Prelatura. Perché essere amici, svolgere bene la propria professione supera le distanze create dalla diversità di razza, di religione o di orientamento sessuale, condivide questo mio pensiero?
Sì personalmente lo condivido. Ha sintetizzato così bene lo specifico dell’Opus Dei che non aggiungo altro.
Si legge nelle biografie sul Fondatore che, scherzando, ebbe a dire a san Giovanni XXIII che “non aveva imparato l’ecumenismo da sua santità”. Questa affermazione nasceva dalla soprannaturale intuizione dei “cooperatori acattolici”: persone che, pur essendo atee, non credenti o di altre religioni possono partecipare attivamente al “fare”. Mi riferisco a tante iniziative sociali che fedeli della Prelatura, insieme a tanti altri cattolici, pongono in essere. Le sembra che in questi ultimi anni, per esempio da quando lei è Segretaria Regionale, promuovere la cooperazione attiva con tante persone lontane sia stata una delle priorità dell’Opus Dei?
Vuol dire, in poche parole, lontane dalla fede, ma vicine nella missione… Direi che questa dei cooperatori acattolici non è stata una priorità dell’Opus Dei in Italia nello scorso decennio, dove si è lavorato di più sul coinvolgimento dei giovani e sull’educazione, ma è un aspetto dell’intuizione carismatica del Fondatore che va rilanciato. So che il Papa apprezza molto il lavoro ecumenico che l’Opus Dei fa, per esempio, nei paesi scandinavi. In Italia abbiamo già alcuni cooperatori acattolici che ci aiutano e hanno promosso con noi iniziative come università e scuole.
La grandissima parte delle persone dell’Opus Dei sono sposate e comunque, in ogni caso, tutti, anche noi celibi, proveniamo da una famiglia. Oggi a tutti capita di avere un figlio, un nipote, che convive e non si può sposare in Chiesa o non vuole farlo; oppure, una sorella divorziata risposata o magari siamo noi stessi separati. Inoltre, grazie alla maggior tolleranza che cerchiamo di avere un po’ a tutti i livelli, è cresciuta anche nel nostro paese la visibilità delle persone omosessuali. Ho fatto un breve elenco di persone rispetto alle quali Papa Francesco ha avuto gesti – a volte anche clamorosi – di grande rispetto ed apertura. Le sembra che l’Opus Dei in Italia operi già sufficientemente per un’adeguata integrazione di ogni genere di persona e in particolare di queste?
Come lei dice, oggi capita a tutti. Quindi a tutti i fedeli dell’Opus Dei, senz’altro alle donne, è successo o accade di vivere in famiglia una di queste situazione: le persone vengono aiutate individualmente a comprendere, a rispettare i vissuti e quindi a integrare. Un anno e mezzo fa abbiamo organizzato anche un’attività di formazione per fedeli della Prelatura in cui Auretta Benedetti docente e autrice del libro “Diario di una sposa irregolare” (IPL ed., 2016) ha raccontato la sua storia di donna sposata con un uomo divorziato. Ha testimoniato appunto come si possa vivere un percorso di fede autentico, affermando “Con Francesco mi sento capita e so di essere comunque parte della comunità”.
Io stessa frequento amiche conviventi o divorziate risposate che sono accompagnate spiritualmente dai sacerdoti dell’Opera.
Lo stesso genere di domande le rivolgo pensando alle persone che vivono il dramma di avere il marito o un figlio che cade nella ludopatia oppure non riescono ad arrivare a fine mese per mancanza di soldi essendo disoccupati o sotto occupati. Le persone dell’ Opera, per quanto ne sappia, sono adeguatamente sensibilizzate su questi argomenti?
Le persone dell’Opera ricevono periodicamente un mezzo di formazione cristiana insieme, il circolo di studio, che prevede di trattare temi di attualità nella prospettiva di un cristianesimo vissuto. Vengono sensibilizzate a queste sfide sociali e, oltre a pregare, cercano di documentarsi e di emettersi in gioco. Per esempio, un’insegnante dell’Opera mi ha raccontato di avere accompagnato a Siena un disoccupato al centro per l’impiego e si è fatta carico di seguirlo finché non ha trovato un lavoro.
Un aspetto della vita sociale sul quale l’Opera si impegna da sempre è quello dell’accoglienza familiare. Immagino che nei centri dell’Opera si presti grande attenzione a rispettare le sensibilità vegane o anche solo quelle vegetariane: questo atteggiamento rende il cucinare un po’ più complicato ma ormai è una questione decisiva della nostra vita quotidiana, e lei che abita a Milano lo sa perfettamente. Crede che integrare anche su questo aspetto sarà una sfida importante per i prossimi anni?
Riguardo alle tendenze culturali che si susseguono nella storia, ogni persona dell’Opera viene incoraggiata a farsi la propria opinione con libertà (consiglio vivamente di leggere lo scritto di Josemarìa Escrivà, L’avventura della libertà, che, pubblicato nel 1969, rimane molto attuale): ci impegniamo a non avere e a non trasmettere un pensiero unico su tematiche che non riguardino verità della fede definite dal Magistero della Chiesa, o aspetti centrali ed essenziali dello spirito dell’Opera. Sugli aspetti che lei ha citato, che riguardano atteggiamenti nei confronti dell’alimentazione, le assicuro che nelle residenze dirette dall’Opus Dei il personale che si occupa delle cucine si aggiorna professionalmente per rispondere alle esigenze dei residenti, con rispetto e cura degli aspetti di salute, culturali o religiosi. Ricordo con gratitudine l’attenzione che in questi ambienti si ha per i residenti di religione musulmana, nella quotidianità e in particolare nel periodo del Ramadan: si sentono trattati con rispetto e con amore. .
A volte decidere nelle famiglie, se avere o no un amico a quattro zampe, può creare tensioni. Spesso i mariti dicono di sì ma non lo fanno con la dovuta presa di coscienza perché non pensano che dovranno anche loro farsi carico della cura di queste creature che il Signore ci ha messo accanto. Condivide questa preoccupazione? Ha qualcosa da raccomandare? Nel lavoro di formazione dell’Opus Dei si fa qualcosa a questo proposito?
Raccomando che chi prende un animale in famiglia, per esempio un cane, lo faccia non per usarlo come un “peluche” o come uno status symbol. “Il cane è il migliore amico dell’uomo” dice il detto popolare, è fatto per starci vicino e condividere con noi i passi della vita. Sento l’esigenza anche che l’uomo riscopra la vicinanza con gli altri esseri umani, la fratellanza, per poter così vivere in armonia con tutte le creature di Dio.
Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna molte cose belle sugli animali.
Queste riflessioni ci introducono al grande tema della responsabilità verso l’ambiente. Quest’estate il Papa ha fatto chiudere le fontane del Vaticano perché l’Italia – e Roma in particolare – è stata colpita dalla siccità. Le sembra che quei piccoli suggerimenti concreti che Papa Francesco dà nella Laudato Si: un golf in più ma tenere il riscaldamento moderato, curare la raccolta differenziata, non sprecare l’acqua, siano sufficientemente ricordati alle persone dell’Opus Dei. Le faccio queste domande – soprattutto le ultime – perché penso che le donne siano già arrivate ad avere la sensibilità su questi ambiti che dovremmo avere tutti.
Per molti secoli, normalmente, le donne si sono prese più cura degli ambienti: forse per questo, pare ovvio che anche ora siano più sensibili alla custodia della “casa comune”, il Creato. Credo però che noi tutti, uomini e donne, persone dell’Opera comprese, possiamo fare di più per vivere la sobrietà di vita che ci chiede Francesco e quindi anche un’ecologia integrale. Il Prelato dell’Opus Dei nella sua Lettera programmatica del 14 febbraio 2017 ringrazia il Papa per questo esempio nel vivere con austerità e per spingerci a vivere tutti “un po’ più poveri” per far vivere tutti un po’ meglio.
Dott.ssa la ringrazio del tempo che ci ha donato. Le suggerisco, se crede e le sarà possibile, di dare un’occhiata a quanto le persone potranno scrivere nei loro commenti perché penso che sarà un bel modo per tutti di partecipare – oltre che con la preghiera – alle importanti giornate che vi attendono.
Certo! Grazie. So che ciò che verrà scritto mi e ci arricchirà. Non so se sarà in grado di interagire con i commenti perché sarò un po’ assorbita dal lavoro e io non sono una nativa digitale… ma sicuramente leggerò con grande interesse!
FaroDiRoma ha ripreso dal blog l’intervista e l’ha pubblicata