Mons. Fernando Ocáriz – L’essenziale e l’accidentale nell’Opus Dei
Il 14 settembre 2017 Mons. Fernando Ocáriz, Prelato dell’Opus Dei, ha rilasciato una lunga intervista ad Alfa y Omega pagina settimanale dell’ABC di Madrid (Teresa Gutierrez de Crebres). Riporto qui la traduzione italiana di un passaggio che, secondo me, è tra i più significativi. Poiché so quanto una traduzione sia pur sempre un “tradimento” riporto, subito di seguito, l’originale spagnolo (nella foto il Prelato quest’estate sul Lago di Como)
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(…) L’Opus Dei è nata come “profezia” tuttavia qualcuno pensa che alla morte del Fondatore, quando si era nel pieno dello tsunami postconciliare, l’Opera si sia aggrappata alla sua fase fondazionale. È possibile che a causa della confusione che visse (e vive) la Chiesa si sia sviluppata in essa una sorte di “sindrome da assedio”?
La fedeltà a Dio è una dimensione che ha illuminato la storia di venti secoli di cristianesimo. La fedeltà alla fede cristiana, che è fedeltà a Cristo, si è mostrata sempre dinamica, innovatrice e trasformatrice. In effetti ritengo che dopo il Vaticano II, al vedere gli effetti dell’ “ermeneutica della rottura” (come la denominò Benedetto XVI in un famoso discorso), la spinta a rinserrarsi in una trincea fosse stata una tentazione che si presentò davvero. In ogni caso sono reazioni del momento che bisogna sforzarsi di superare: sia quella della rottura sia quella della sindrome da assedio. Sono errori che nascono dall’aver ceduto a una mentalità dialettica, politica, che è lontana dal sentire della Chiesa, perché divide e rompe la comunione. Nella Chiesa non ci sono, e non ci devono essere, né parti né partiti. Ma unità nel legittimo pluralismo.
In una società come la nostra che ha perso l’orientamento, il relativismo fa stragi. L’Opera è famosa per la sua fedeltà alla Chiesa e al Papa e questa, in tempi convulsi come i nostri, è una benedizione. Durante la tempesta, sottolineare l’importanza dell’aspetto dottrinale dà sicurezza; d’altra parte, c’è il rischio che questa accentuazione sfoci nel desiderio di avere una vita regolamentata in tutto. Come armonizzare una fedeltà senza cedimenti alla Legge divina con la libertà gioiosa dei figli di Dio?
Molti problemi sorgono quando ci poniamo dilemmi non necessari o, ancora una volta, riduciamo la realtà agli stereotipi della dialettica: fedeltà o creatività, ortodossia o libertà, dottrina o vita… Penso che dobbiamo vivere con l’atteggiamento di chi integra perché far così è davvero cristiano. Non è possibile rinchiudere la realtà in uno schema che tende ad escludere: la realtà ci chiede equilibrio e ponderazione. Oltretutto il desiderio di integrare è anche una qualità dai risvolti molto positivi nel costruire le relazioni tra le persone.
In effetti, la dialettica finisce per far scoppiare cortocircuiti. Guardiamo dunque le cose dal punto di vista di chi vuole integrare. È noto che a lei piace Beethoven: come seguire uno spartito e al contempo però suonare con un’interpretazione personale?
Credo sia del tutto compatibile essere fedeli alla dottrina e, allo stesso tempo, essere aperti alle ispirazioni dello Spirito Santo. La storia della Chiesa è lì a confermarlo visto che la Chiesa, senza perdere la propria identità, è permanente novità. In questo contesto considero importante la libertà di spirito. Che, evidentemente, non consiste nell’assenza di obblighi o di impegni ma nell’amore. È ciò che sant’Agostino voleva esprimere con la celeberrima frase: “Ama e fa ciò che vuoi”. O, come scriveva con linguaggio diverso san Tommaso d’Aquino, “quanto più si ha carità tanto più si ha libertà”.
Quindi, avere fedeltà creativa implica vivere la libertà di amare desiderando aprirsi alla perenne novità dello Spirito…
Sì: i modi di dire e di fare cambiano ma il nucleo, lo spirito, rimangono inalterati. La fedeltà non proviene mai da una ripetizione meccanica: si realizza quando riusciamo ad applicare un medesimo spirito a circostanze diverse. Ciò significa, a volte, mantenere anche ciò che è accidentale; ma in altri casi significa invece cambiare ciò che è accidentale. In questo senso, un discernimento sereno ed aperto alla luce dello Spirito Santo è fondamentale; soprattutto per conoscere i limiti (a volte per nulla evidenti) tra ciò che è accidentale e ciò che è essenziale. (…)
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El Opus Dei nació en la Iglesia con carácter profético. Sin embargo, la muerte del fundador coincidió con los primeros años del tsunamiposconciliar. Parece lógico que la Obra se aferrara a los cimientos. ¿Cabe que se hayan quedado tics de atrincheramiento, ante tanta confusión y caos como ha vivido (y vive) la barca de Pedro?
La fidelidad a Dios es una dimensión que siempre ha iluminado la historia a lo largo de los veinte siglos del cristianismo. La fidelidad a la fe cristiana, que es fidelidad a Jesucristo, se ha mostrado siempre dinámica, innovadora y transformadora. Pienso que efectivamente, después del Vaticano II, al ver las consecuencias de «la hermenéutica de la ruptura» (como la denominó Benedicto XVI en un famoso discurso), se ha planteado esa tentación del atrincheramiento que menciona.
En todo caso son reacciones coyunturales que es necesario superar -tanto la ruptura como el atrincheramiento-. Son consecuencia de haber cedido a una mentalidad dialéctica, política, que es ajena a la Iglesia, porque divide y rompe la comunión. En la Iglesia no hay, no debe haber, bandos ni partidos, sino unidad dentro del legítimo pluralismo.
El relativismo causa estragos en nuestra sociedad desnortada. La Obra es famosa por su fidelidad a la Iglesia y al Papa. Esto supone una bendición en tiempos convulsos. Acentuar la doctrina en medio de la tormenta aporta seguridad; por otra parte, puede desembocar en afán de tenerlo todo reglamentado. ¿Cómo armonizar la fidelidad sin fisuras a la Ley divina con la libertad gozosa de los hijos de Dios?
Muchos problemas surgen cuando planteamos dilemas innecesarios o reducimos la realidad a estereotipos dialécticos. Fidelidad o creatividad, ortodoxia o libertad, doctrina o vida… Pienso que hemos de vivir con una actitud integradora que es, por cierto, muy cristiana. La realidad no se deja encerrar en un esquema excluyente. Exige de nosotros un equilibrio, una ponderación, una integración que acaba siendo muy positiva también en las relaciones entre personas.
En efecto, la dialéctica genera cortocircuitos. Mirémoslo desde un prisma más integrador. A usted le encanta Beethoven: ¿Cómo seguir la partitura haciendo propia la interpretación?
Veo perfectamente compatible la fidelidad a la doctrina con la apertura a las inspiraciones del Espíritu. La historia de la Iglesia lo confirma. Sin perder su identidad, es permanente novedad. En este contexto, considero importante la libertad de espíritu, que, evidentemente, no consiste en la ausencia de obligaciones y compromisos, sino en el amor. Es lo que san Agustín expresó en la famosísima frase: «Ama y haz lo que quieras», o como escribió santo Tomás de Aquino en lenguaje diverso: «Cuanta más caridad tiene alguien, tiene más libertad».
Entonces, una fidelidad creativa supone vivir la libertad de amar deseando abrirse a la novedad perenne del Espíritu…
En efecto, los modos de decir y de hacer cambian, pero el núcleo, el espíritu, permanece inalterado. La fidelidad nunca proviene de una repetición mecánica; se realiza cuando acertamos a aplicar el mismo espíritu en circunstancias diferentes.
Eso implica, en ocasiones, mantener también lo accidental; pero en otros casos induce a cambiarlo. En ese sentido, el discernimiento sereno y abierto a la luz del Espíritu Santo es fundamental; sobre todo para conocer los límites (a veces no evidentes) entre lo accidental y lo esencial.
Tratto da OpusDei.es