Blog / Ciro Di Sarno | 09 Settembre 2017

Cartolina da Ischia – L’assenzio di Degas

Edgar Degas, L’assenzio (1876), olio su tela, 92 x 68 cm. (Museo d’Orsay, Parigi)

L’opera pittorica che forse più di ogni altra rappresenta il “tempo perduto”, con i sogni cullati da sempre e mai realizzati, è “L’assenzio”, di Edgar Degas dipinto nel 1786 a Parigi. La scena si svolge all’interno di un bistrot di Place Pigalle ed è stata eternata sulla tela come una fotografia; una istantanea di una minuta parte di realtà tra infinite altre scattata da un tavolo vicino.

I protagonisti sono una prostituta ed un clochard oppressi da una silenziosa disperazione, eco muta di un dolore umano profondo, la cui misura è data proprio dall’assenza di ogni atteggiamento drammatico. Lei è patetica nel suo abitino pretenzioso, con quelle guarnizioni vistose di trine e stoffa increspata e con i pompon sulle miserabili scarpe. Ha le braccia abbandonate lungo i fianchi, cadenti di lato e la schiena curva sotto il fardello degli anni passati. Lui è corpulento, sanguigno, volgare, pronto alla lite.  La loro marginalità sociale è evidente e ben sottolineata sulla tela dallo spazio tra i due piani di marmo dei tavolini nel quale la donna pare incunearsi un po’, sorta di abisso tra la loro flebile e scarna esistenza e lo spazio che si perde a sinistra. Le due figure sono eccentriche rispetto al centro della scena, esiliate verso destra dalla peculiare costruzione prospettica; ciò contribuisce anche al loro isolamento figurativo, che si rispecchia nel nulla dello spazio occupato dalle fredde e nude superfici marmoree dei tavolini. Su una di queste si erge una bottiglia appena vuotata; sull’altra c’è una baguette porta giornali, vergata con la firma dell’autore, ed un’altra baguette ancora, su cui è stato arrotolato il giornale, è in bilico sull’orlo del tavolino più in primo piano.

Pur vicinissimi su un divano in velluto bordeaux, i due sono separati da una solitudine incolmabile; non si guardano, non si parlano. Lei ha uno sguardo attonito, indecifrabile, che affonda lontano negli anni della sua gioventù perduta. Conta le cento e cento

 volte che è stata comparata, usata, umiliata. Lui fissa qualcosa o qualcuno fuori scena, con occhi che paiono riemergere dal torpore, come scossi d’improvviso da una voce, un rumore o un olezzo familiari. Fuma la pipa che è tagliata dal margine destro della tela che taglia pure le sue mani e parte del tavolino su cui esse poggiano. Ciò induce l’osservatore a prolungare la visione della scena; ad immaginarla tra altra gente che, tra rumori di bicchieri e fumo di sigarette,  parla, ride, osserva.  

Le loro nitide ombre riflesse nella vetrata retrostante, paiono distanziare ancor più quelle miserabili esistenze, nunzio di una fine ineluttabile che scivolerà lenta sul piano inclinato dell’alcolismo, della promiscuità, dei bisogni, sino a giungere al fondo con estenuante lentezza.  

Un bicchiere colmo di verde assenzio è dinnanzi alla donna che, attonita e spenta, già dà mostra degli effetti tossici della bevanda appellata come: la “fata verde” dei bohémiens ed assai in voga tra i ceti poveri per il suo prezzo conveniente. E’ un distillato alcolico di anice, menta e assenzio che stordisce la coscienza e placa i desideri e allucina la mente.

Edgar Degas (1834-1917) a differenza degli altri Impressionisti, predilige la pittura di atelier più che il cimento “en plain air” dei vari Monet, Pissarro, Sisley, Renoir o della Berthe Morisot. Lavora su immagini che cattura soprattutto sul palco dei teatri, tra ballerine in prova e nelle più svariate pose; oppure nella cavea degli orchestrali che riprende in primo piano o addirittura di nuca. Attinge anche dai caffè parigini dove scova “impressioni” tenui, caduche, cangianti i cui protagonisti sono popolani “bloccati” in un delle mille e mille espressioni del vivere di tutti i giorni.

I suoi quadri non sono una denuncia di condizioni sociali né un manifesto di rivalsa sindacale; egli non giudica né condanna, ma nemmeno si impietosisce; più semplicemente e forse involontariamente, ci dona istantanee della realtà vera. Degas, oltre che pittore e scultore, è anche fotografo e di ciò se ne avvale anche in quest’opera. La fotografia suscitò un enorme entusiasmo tra gli impressionisti e in Degas in particolare, in quanto strumento infallibile per raccogliere i dati visivi utili ai loro scopi. Lo “scatto” coincide con l’esigenza realista di quei pittori, di rappresentare fedelmente la natura con immagini non ritoccate, ma percepite nella loro assoluta realtà di luce e di contrasto cromatico.

La posizione eccentrica dei personaggi de “L’assenzio” e la prospettiva con la quale è costruita la scena rispetto all’ambiente circostante, è di fatto un’immagine fotografica sulla quale poi, il pittore ha lavorato. Colui che l’ha scattata è esterno al quadro; è fuori scena, al di qua della tela, dietro al tavolino in basso a sinistra, e deve aver appena smesso di leggere il giornale inastato sulla lignea bacchetta che ha dovuto posare sul tavolo. Colui che l’ha scattata è in piedi, come suggerisce la costruzione prospettica della scena il cui punto di osservazione è alto e decentrato e con un impareggiabile effetto di approfondire lo spazio reale in cui la prostituta occupa la posizione preminente.

L’alienazione della donna nel dipinto di Degas non può non richiamare immediatamente, La bevitrice di assenzio di Picasso, dipinto nel 1901. La donna del pittore spagnolo ha in comune con la donna di Degas la medesima solitudine e lo stesso sordo  distacco dal mondo circostante. Entrambe le donne sono chiuse in se stesse con i propri pensieri che rumoreggiano nel silenzio dello scarno arredo circostante. I pensieri dell’una, dopo 25 anni, certamente sono gli stessi pensieri dell’altra. 

Picasso figura nella sua bevitrice di assenzio, la sua solitudine di quei  giorni attuali. Degas prefigura nella sua bevitrice di assenzio, la tetra solitudine che lo accompagnerà cieco e indigente, negli ultimi anni a venire della sua esistenza.

La bevitrice di assenzio di Degas; La bevitrice di assenzio di Picasso, 1901 (olio su tela), 73 x 54 cm, Hermitage San Pietroburgo

 

Salve, sono Ciro Di Sarno e vivo ad Ischia, una delle isole più belle al mondo. Venite a trovarmi e vi racconterò il resto della mia vita