Articoli / Blog | 02 Settembre 2017

Agi – Una riflessione sull’ultimo outing di Bergoglio

All’inizio del pontificato, quando gli venivano chieste le ragioni della sua scelta di vivere a Santa Marta invece che nei Palazzi Vaticani, Papa Francesco rispondeva che era “per motivi psichiatrici”. Quella che sembrava solo una battuta di spirito si rivela invece oggi una verità, almeno parziale. È lo stesso pontefice a raccontarlo a Dominique Wolton(«Politique et société», edizioni L’Observatoire) spiegando che all’età di 42 anni, per sei mesi ogni settimana, ha incontrato una psicanalista. Erano gli anni tra il 1978 e 1979 ed era quando aveva concluso la non facile esperienza di capo dei gesuiti del suo paese.  

La psicanalisi è stata – e per alcuni cattolici integralisti lo è ancora – un terreno di scontro tra fede e scienza. Spesso la si giudicava come un’antagonista della fede e della preghiera tanto che psicologi e psichiatri erano visti con sospetto e le persone bisognose di cure erano bollate come individui con poca vita spirituale, con scarso abbandono alla Provvidenza, con poca capacità di pregare e di “amare la Croce”. Per questi cattolici, un problema della psicanalisi era che il padre fondatore di tale scienza aveva scoperto due verità oggi inoppugnabili: da una parte che ognuno di noi ha una parte “inconscia” non dominabile dalla ragione, dall’altra che lasessualità è un elemento di fondamentale importanza fin dalla più tenera infanzia per ciascuno di noi e che non è confinabile solo alla “finalità riproduttiva”.

Bergoglio, con il  suo ultimo “outing”, porta a compimento un processo per cui il papa smette di essere un’autorità da sedia gestatoria, lontana anni luce dalla normalità e dalla fragilità umana, e diviene una persona come le altre, un prete come gli altri benché con una particolare autorità spirituale. 

Aveva cominciato papa Giovanni XXIII con la sua carezza ai bambini e aveva continuato papa Luciani con la sua tenerezza, con la sua allusione alla maternità di Dio, con la sua morte improvvisa. Giovanni Paolo II introdusse una serie di attività irrituali per un “papa spirituale”: sciava, aveva fatto il poeta e l’attore, aveva amicizie femminili mai nascoste: la sua ferma impostazione dottrinale sul celibato sacerdotale non gli impediva di dire che per un sacerdote era importante il contatto con le donne e avere una serena conoscenza e coscienza della sfera sessuale. Benedetto XVI, infine, aveva saputo riconoscere la fragilità umana e l’aveva incarnata con l’umiltà propria dei grandi: di coloro che sanno lasciare incarichi di prestigio quando si rendono conto di non avere più la forza per portare a termine il compito. 

Adesso viene papa Bergoglio. Il papa che si annuncia al mondo con un semplice “buonasera”: un papa che ama stare tra la gente, telefonare agli amici di sempre, avere relazioni di dialogo anche con i lontani. Un papa che non ha timore di dire di aver vissuto momenti di difficoltà e di essersi rivolto ad una psicanalista. Una specialista donna e di religione ebrea. Alla faccia di quei cattolici che dovendo ammettere a denti stretti che la psicanalisi è a volte necessaria, concedono l’aiuto di un analista solo se cattolico praticante e del medesimo sesso del paziente. Il Papa che va in analisi spiega nel modo più lampante che la preghiera è una cosa bellissima ma non è una terapia. E, ovviamente, non si vergogna di dire che il suo psicologo era una donna di religione ebrea.

Si vede proprio che il Papa ci tiene al suo essere uomo e non solo al suo “essere anima”. E non ha paura di dirlo perché non c’è niente di male ad avere bisogno di una mano: anzi, c’è molto di male a indurre le persone a vergognarsi di avere necessità di una terapia psicanalitica. Non è un caso che una visione così serena e normale della propria umanità si coniughi, in Bergoglio, con il costante richiamo positivo al valore della laicità. È la laicità che ci aiuta a separare “ciò che è di Cesare da ciò che è di Dio“. La laicità ci aiuta a distinguere la preghiera – che è dialogo con Dio – dalla scienza che cura il corpo e la psiche.  La laicità ci aiuta a distinguere fondamentalismo da autentico fervore. Soprattutto ci aiuta ad essere autentici. A essere noi stessi. A non vergognarci di dire che siamo tutti – papi e non – poveri peccatori che hanno bisogno di un Padre.

Tratto da Agi

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