Cartolina da Ischia – Hic sunt leones: gli immortali del club Nike
C’è stato un tempo in cui un piccolo club per ragazzi spopolava sui campi di calcio della nostra isola e della terraferma, tanto da far credere a quei calciatori in erba, di essere come gli “Immortali” rossoneri Gullit e Van Basten, Maldini e Costacurta, Seedorf e Pirlo e tanti campionissimi ancora. Erano gli anni in cui il Napoli orfano di Maradona, era già troppo lontano dai fasti degli scudetti e dei trionfi in coppa, per cui i giovanissimi non potevano che identificarsi negli invincibili giocatori del Milan dei tanti trofei.
Quel club nacque per caso o forse no, in un pomeriggio di ottobre quando, tornando dal lavoro, trovai nel salone di casa a giocare con la play station, un gruppetto di 6 o 7 ragazzini della classe elementare del primo dei miei figli. Erano concentratissimi sulla partita di calcio virtuale, e taluni facevano un tifo da stadio per l’uno o l’altro dei due contendenti che in quel momento si sfidavano.
Mi fermai a guardarli nel fracasso che facevano e mi chiesi se tanta energia, anziché far vibrare i vetri della libreria, non potesse essere convogliata su un prato verde. Tempo qualche giorno e con l’appoggio di qualche volenteroso papà, fu costituito il “club Nike”, nome vincente, è il caso di dire, passato ai voti contro il più naturalistico “Ippocampo” e il roboante “Panters” che racimolarono pochi consensi.
L’intento era quello di promuovere l’attività sportiva in modo diverso dalla comune offerta delle società di calcio o di basket o di nuoto che pure erano attive sul nostro territorio. La nostra idea puntava ad utilizzare il calcio come elemento per amalgamare ragazzini e famiglie, per poi coinvolgere tutti, anche in altre attività di svago o di vera e propria formazione.
Il nostro club aveva precise regole che poi, in occasione dei tanti tornei organizzati valevano per tutti. In primo luogo era ritenuta disonorevole oltre ogni grado la simulazione; poi, in caso di errore come tirar fuori un rigore o fare una papera in porta, era vietato fare commenti di ogni tipo; assoluto rispetto dell’arbitro e dell’avversario cui andava sempre data la mano in caso di contrasto di gioco falloso. Sostanziale l’assenza di ruoli legati al fisico. Il classico ragazzotto sovrappeso, un po’ goffo e con i pantaloncini stretti non era un prescelto dal fato per il ruolo di portiere, come di solito si fa per quelli poco dinamici. Io schieravo spesso in attacco il più grasso e goffo dei miei ragazzi che nei rari casi in cui segnava un gol, era festeggiato alla grande.
Allenamento di due ore due volte la settimana su un campetto preso in affitto ad un prezzo conveniente. Qualche sponsor tra gli amici albergatori ci consentiva un minimo di cassa per non far pagare nulla ai ragazzini e, come si vede dalla foto dello squadrone prima di un incontro, completo rosso e blu delle “Furie Rosse” spagnole in onore di un santo dal quale chiedevamo la benedizione prima di ogni gara.
Durante l’anno si organizzavano diversi tornei e soprattutto in estate, questi erano gettonatissimi. I ragazzi delle diverse squadre che giungevano dal Lazio, dalla Calabria, dalla Sicilia, vivevano in camping per tutta la durata dei tornei. La mattina era dedicata agli incontri di calcio mentre il pomeriggio si passava al mare oppure in escursione in montagna o a visitare musei o monumenti.
In serata, prima della cena, si passava un’oretta a fare formazione spirituale e civica. Tra gli accompagnatori, vi erano ragazzi più grandi capaci di dialogare in gruppi su tematiche religiose o culturali, coinvolgenti e di ampio respiro. La mattina, dopo colazione, messa in paese e poi tutti a piedi sul campo di gioco. La domenica, dopo la messa, incontro con un sacerdote dei centri dell’Opus Dei di Napoli ed a seguire, spiaggia per buona parte della giornata.
Naturalmente ognuno metteva in campo tutto se stesso per vincere. Il campo non ammette mollezze! L’agonismo si respirava come l’aria e non poco impegno costava spegnere i momenti di forte tensione tra i ragazzi. La discussione anche spigolosa era accettata durante il gioco; la volgarità mai ed era punita con il rosso diretto.
Ciascuna squadra si faceva precedere da un motto. La nostra scelse frase latina “Hic sunt leones”.
A fine torneo, premiazione della squadra vincitrice ma grande attenzione per chi si era comportato secondo le regole. Previsti sempre, un premio per la squadra più corretta (quella che beccava meno espulsioni e ammonizioni) e per l’allenatore meno agitato. In ogni caso per tutti i ragazzini, sempre una medaglia ricordo.
Ed i ragazzini di allora? Sono oramai laureati o bravi artigiani o impiegati. Qualcuno è un valente fisioterapista, altri uno chef in albergo, altri ancora un medico, un economista e un avvocato. Mi incontrano per strada e mi vengono vicino; mi stringono la mano come qualche anno fa quando avevano 12 o 15 anni. Tutti chiedono di qualcuno del glorioso gruppo. E tutti mi dicono che non si sono mai sentiti coì importanti come quando giocavano per il Club Nike: la squadra degli immortali.
Salve, sono Ciro Di Sarno e vivo ad Ischia, una delle isole più belle al mondo. Venite a trovarmi e vi racconterò il resto della mia vita