Blog / Ciro Di Sarno | 20 Agosto 2017

Cartolina da Ischia – L’Angelus di Millet

J.F. Millet, L’angelus (1859) Olio su tela, 0,55 x 0,66 m.
Parigi, Musèe d’Orsay.

A partire dal 1830 e quasi fino a fine secolo, un piccolo paese presso Fontainebleau, a circa 60 km a sud-ovest di Parigi, è il centro di gravitazione di numerosi giovani pittori che eseguono i loro studi della natura, muovendosi tra la lussureggiante foresta ed i campi coltivati tutt’intorno. Questo piccolo centro è Barbizon e il movimento artistico di cui fu matrice fertilissima, è il Realismo.

In antitesi al concetto romantico “dell’arte per l’arte”, comincia a farsi strada, in quegli anni, l’idea che l’arte debba prendere coscienza della propria “missione speciale”. Indubbiamente la sanguinosa rivoluzione parigina del 1848, con la nascita della Seconda Repubblica, e le incalzanti sollecitazioni del Positivismo di quegli anni di metà secolo, favoriscono la diffusione del Realismo in tutti i campi culturali ma è in quello delle arti figurative, che troverà maggiore espressione. I barbizonniers, riproducono la natura con spontaneità e con la massima esattezza, anticipatori di quella tecnica “En plain air” che sarà caratteristica dell’Impressionismo. Dunque i realisti dipingono direttamente sul posto, dentro il paesaggio da riprodurre, quindi, non più nell’atelier dell’artista dove rielaborare un’immagine mentale o una sommaria stesura del quadro fatta in campo aperto. Essi, in altri termini, aggiungono al culto romantico della natura, lo studio attento della sua immagine esteriore.

 

Jean-François Millet, fu tra i massimi esponenti del “nuovo corso” contribuendo grandemente con la sua opera, a riconciliare l’arte con la realtà del suo tempo. Protagonista dei suoi quadri, è il contadino perennemente legato alla propria terra così ben trasposto dai campi alla tela, da far vergare allo scrittore Herman Broch che: “ All’eroe tragico ha fatto seguito la tragedia dell’uomo legato alla terra”.

 

La giovane coppia di contadini in preghiera de “L’Angelus”, datato intorno al 1859, è un esempio paradigmatico della capacità di Millet di cristallizzare il realistico scenario di un attimo rubato alla fatica quotidiana, per eternarlo in una pittura contadina dalla forte connotazione etica. Le due figure sono in primo piano, grandi, quasi “michelangiolesche”, essenziali ed in risalto sullo sfondo del paesaggio. Le tinte sono ben accostate e opache, direi terrose, simili al colore naturale della materia prima che hanno momentaneamente finito di lavorare, di zappare, di arare. Della donna assorta in preghiera, si intuiscono le dita nodose delle mani giunte, solcate da antiche ragadi; dei piedi allineati, si intuiscono i ruvidi e consunti zoccoli ove trovano alloggio piedi marmorizzati dalla fatica. Ha il ventre che spinge il grembiule ricordo dei parti e delle bocche da sfamare. Il capo è chino e gli occhi dischiusi sui solchi appena segnati dal vomere legnoso. Di fronte, di scorcio, c’è l’uomo di lei con il cappellaccio floscio tra le mani in decorosa attesa di essere riposto sulla fronte sudata.  Le dita ne stringono la falda consunta, la rigirano lentamente e un po’ la stropicciano. Ai piedi più che calzature, paiono orpelli di stoffa insignificanti e una giacca ruvida e una camicia, sempre quella, ne esauriscono lo scarno corredo. Sullo sfondo la cupola di una chiesa; si odono i tocchi di campana. Ma che ore sono?  Le 6 del mattino, mezzogiorno o le 6 di sera? Non si sa ! Certo però che è l’ora dell’Angelus.

Della sua opera, Millet ha detto: “L’Angelus è un quadro che ho dipinto ricordando i tempi in cui lavoravamo nei campi e mia nonna, ogni volta che sentiva il rintocco della campana, ci faceva smettere per recitare l’angelus in memoria dei poveri defunti “.

 

La preghiera dell’Angelus Domini (L’Angelo del Signore) del mattino, del mezzogiorno e della sera, ha una storia molto bella. Fu cara a sommi Pontefici, in particolare al Papa Paolo VI, e “carissima” a Papa Giovanni Paolo Il che l’ha costituita momento d’incontro con i fedeli di tutto il mondo, in piazza san Pietro, per le sue esortazioni paterne, per le sue conversazioni amichevoli, confidenziali.

La prima notizia dell’Angelus Domini risale al 1269, al tempo in cui era Generale dell’Ordine francescano san Bonaventura da Bagnoregio, detto il “dottore serafico”. Fu un Capitolo Generale dei Frati Minori tenutosi a Pisa in quell’anno che prescrisse ai religiosi di salutare la Madonna ogni sera con il suono della campana e la recita di qualche Ave Maria, ricordando il mistero dell’Incarnazione del Signore.
La pia usanza si estese un po’ dovunque. La notizia giunse agli orecchi di Papa Giovanni XXII (1245-1334) il quale non solo la incoraggiò, ma diede ordine al suo Vicario Generale di Roma di far suonare la campana ogni giorno, perché la gente “si ricordi” di recitare tre Ave Maria in onore dell’Annunciazione di Maria, detta comunemente “il saluto dell’Angelo”

I due contadini di Millet hanno smesso di lavorare per pregare il Mistero dell’Incarnazione; riconoscono che il Creatore è il Padrone del loro tempo. Nonostante la fatica e gli stenti, sanno su chi appoggiarsi per non cadere. Sembrano dirci che c’è un tempo per pregare ed un tempo per lavorare e che non c’è ristoro senza Dio. I due contadini di Millet ci insegnano a pregare.

La chiesa del Soccorso, fondata nel 1350,  è uno dei luoghi simbolo dell’isola d’Ischia. Si trova nel comune di Forio e sorge su un piccolo promontorio a picco sul mare. E’ dedicata al culto della Madonna della Neve.