Blog / M. Céline C. | 11 Agosto 2017

Le Lettere di M. Céline C. – La sfida della libertà nella rete

A Marzo mi sono messa alla prova. Tempo di Quaresima. Per me un’occasione per educarmi alla libertà.

Fare esperienza di digiuno è sempre un educarsi, e la libertà se non la costruisci sulla rinuncia resta solo una sensazione, non diventa una condizione esistenziale, uno stato.

L’obiettivo era ribaltare la coscienza con il digiuno, non metterla a posto con una formale obbedienza. Volevo accompagnare un po’ il mio Amico in quei quaranta giorni, volevo “resistere” e imparare a “resistere” e liberarmi da qualcosa che mi teneva attaccata, mi faceva materialmente dipendere e mi distoglieva dal mio rapporto con Lui. Avevo bisogno di un deserto in cui la mia libertà potesse fiorire più forte.

E come di fronte a un cambio di stagione (esperienza che mi distrugge periodicamente), quando cerchi di selezionare quello che non va più bene,  mi sono data un ultimatum e non ho avuto dubbi: non potevo che rinunciare ai social.

Era diventato un automatismo frequentare la rete, e mi privava di un sacco di tempo per me e soprattutto privava le persone che mi stanno intorno “di me”, almeno per un’ora al giorno.

E un’ora al giorno, sparsa qua e là nella giornata di una mamma che lavora, vi garantisco è quasi paragonabile a “patrimonio dell’UNESCO”.

Come ogni deserto che si rispetti, i primi giorni li ho vissuti in crisi di astinenza e anzi, è proprio in quella crisi di astinenza che ho avuto la controprova che avevo fatto centro, c’era una dipendenza fatta di automatismi che teneva in ostaggio la mia libertà deconcentrandomi inconsapevolmente dalla mia vita reale.

Queste parole in realtà le scrivo proprio per raccontarvi cosa sia successo durante e dopo il deserto virtuale e cosa io abbia imparato e stia imparando da un digiuno che poteva finire il giorno di Pasqua e che invece ho deciso di prolungare ad oltranza.

Primo impatto concreto: immediata dilatazione del tempo.

Ho guadagnato un’ora, già nell’arco delle 24 ore di un giorno…che, moltiplicato per un anno solare fa 365 ore, cioè 15 giorni di tempo riconquistato!

Non so se vi rendete conto……mi ero regalata 15 giorni di libertà all’anno!

Ma vediamo di capire: libertà da cosa e per fare cosa?

Mi rivolgo agli amanti della libertà con la “L” maiuscola, quella che si guadagna con la rinuncia, quella che necessita di un lavoro su di sé, che ha bisogno di uno sguardo autocritico, di consapevolezza della propria fragilità, quella che implica fatica, a volte molta fatica……

Quando frequenti i social tocchi con mano quanto sia distorto il concetto di libertà. Ti “senti” libero perché puoi scegliere quando connetterti e quando no, ti “senti” libero quando ti trovi in mezzo a tanta gente che condivide il tuo pensiero, in mezzo a un numero sempre crescente di “amici”, che poi, siamo sinceri: “potresti definire amica una persona che non vedi dalla quinta elementare?”

Il punto è che ti “senti” libero. Ma “sei” veramente libero?

La libertà si gioca molto sulla questione del consenso, strutturata sapientemente e subdolamente con i “like” o i “tweet”, di immediato e facilissimo utilizzo.

Ragioniamoci un attimo.

Mi chiedo: “ma perchè io dovrei aver bisogno di scendere in piazza, allestire una mostra sulla mia vita o una mostra su qualcosa che mi sta a cuore, ultimamente vanno tanto di moda “le idee” e aver bisogno che qualcuno mi dia il suo consenso?”

La dinamica che crea dipendenza nei social sta proprio nell’innescare, in chi posta, l’attesa del consenso, spesso mascherato anche dalla ricerca del confronto, soprattutto quando il post ha una valenza volutamente provocatoria e, in chi legge, la necessità del giudizio immediato e del voyerismo spesso inconsapevole.

La questione del “consenso”, della necessità di creare “comunità primarie virtuali” è istintiva e fa molta presa perché nella vita relazionale è molto più difficile che si realizzi veramente. Quindi in definitiva nasce da un “bisogno” che spesso nella vita reale non trova compimento e fa emergere tutta l’istintività della dinamica di relazione.

E quando si parla di “bisogno” occorre tirar sù le antenne perché è lì che siamo più vulnerabili.

Analizziamo una dinamica concreta: “andreste a casa di un amico a riempirlo di complimenti e giudizi su qualsiasi cosa lo riguardi e abbia in casa sua oppure a contestarlo, a volte anche duramente e volgarmente, per le sue idee, contrarie alle vostre?”

Scrivere sul profilo e sul blog di una persona significa andare a casa sua, entrare perché ha lasciato la porta aperta, entrare nella sua casa e nella sua vita.

E che questa persona te la lasci la porta aperta è già un miracolo, considerata l’epoca di diffidenza in cui viviamo.

Mi viene da fare un balzo indietro per capire com’è cambiata la relazione tra le persone negli ultimi 60 anni o anche più.

Penso al mio paese d’origine, un piccolo paese dove la gente, una volta, abitava per lo più nei centri, attorno a una piazza, al piano terra, e viveva lasciando la porta di casa aperta, aperta proprio perché chiunque potesse entrare “in relazione”. E la sera, invece di internet, nelle serate estive, accompagnate dal canto delle cicale, ci si faceva compagnia tra vicini di casa, facendo salotto sui marciapiedi, davanti all’uscio, mentre i bambini schiamazzavano e giocavano a nascondino per i vicoli silenziosi e poco illuminati. Gli adulti stavano lì per ore fino a che il primo non sbadigliasse, commentando la propria giornata o la giornata degli altri, vite, istantanee umane passate al vaglio del bisogno di relazione.

Il cuore dell’uomo non è mai cambiato. Aveva “bisogno” di relazione allora e ha “bisogno” di relazione oggi.

Quello che la rete ha eliminato, essendo priva di una presenza pienamente “umana”, è quella forma di “pudore” che rendeva l’uomo più rispettoso di se stesso e dell’altro secondo dei canoni di “riservatezza e tolleranza” che garantivano ai rapporti tra le persone, a mio avviso, una dose equilibrata di “educazione “ e di conseguenza assicuravano un buon grado di civiltà e convivenza.

Perchè io noto che la “sensazione” di libertà spesso può privarti proprio delle basi del “bon ton”. Più mi “sento” libero e più assecondo il mio istinto di esprimere me stesso a discapito del rispetto per l’altro. Questo è “sentirsi” liberi, non esserlo veramente.

Se rinuncio all’istintività della reazione, e cerco di capire cos’è che muove l’altro a raccontarsi in un determinato modo forse il tempo di un “clic” non basterebbe per entrare in relazione vera con l’altro.

Il vero inganno credo sia proprio in questo “sentirsi” liberi perché -tanto la rete non è un mondo reale- pensano in molti. E all’inizio è sempre così….pensi che, o ci sei o non ci sei, non se ne accorge nessuno, poi col tempo però ti accorgi che c’è qualcuno che ti segue, qualcuno che ti vede muoverti e crescere in questo mare di pesci, scopri che ha un impatto e per chi è solo, anche molto importante a volte, al punto che rischia di sostituirsi allo sforzo di creare rapporti veri.

Un altro degli errori che si commettono con più ingenuità poi, è la cristallizzazione di una persona con quello che posta, tagga, tweetta, con una sua istantanea.

Hai postato una foto o un commento su una foto e resterai per sempre quello che ha fatto quel commento, soprattutto quando il commento è d’impatto.

Questo conferma la regola spietata del “clic”.

In questo la rete stimola l’emotività, l’istinto, e lo traveste da “sensazione” di libertà.

E da qui, con questa sensazione, il salto è breve per vivere appieno il bisogno di etichettare la realtà e le persone, vivere virtualmente con la necessità di creare schieramenti.

E anche chi gli schieramenti li vuole demolire spesso cade vittima dello stesso tranello: quello di rafforzarli addirittura in una battaglia corpo a corpo.

Nella vita reale schieramenti non ce ne sono e non ce ne possono essere. Perchè la stessa persona che oggi esprime un giudizio, il giorno dopo, quando si trova a vivere nell’esperienza quella situazione che ha giudicato, potrebbe essere costretto, se si apre umanamente e liberamente al reale,  a ricredersi completamente, per l’entrata in gioco di fattori che neanche immaginava.

Personalmente non ho ancora avuto il tempo di approfondire Zygmunt Baumann ma c’è una definizione che è proprio affine alle mie corde, la definizione di modernità e società come “società liquida”, una società che sfugge al controllo, frenetica, che vive in continuo dinamismo, costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa e vittima delle regole del consumismo.

E qui il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale nella realtà. Se uno non ha tempo e non si dedica tempo non potrà che seguire il branco più nutrito di pesci che segue la corrente. E quel branco spesso ha dei paletti rassicuranti, si muove entro limiti ben precisi, forza la voce, urla più forte.

In una società dove saltano i punti di riferimento la sfida della libertà mi sembra irrinunciabile per vivere pienamente la nostra umanità!

Ed è altro dal “sentirsi” liberi! E’ altro che seguire la logica del bisogno e l’appagamento che deriva dai beni di consumo subito fruibili.

Una libertà vera, fatta anche di “tempo”, un tempo di riflessione. Sì, perché del tempo da dedicarci lo possiamo ancora scegliere!

Scegliere, con autonomia, è l’atto in cui la libertà si struttura.

Scegliere di amare quello che facciamo, quello che diciamo, quello che siamo. Tempo per imparare a sentirci “amati”. Tempo per avere a cuore l’altro. Tempo per pensare alle conseguenze che il nostro istinto provoca sugli altri.

La vera libertà non può nascere dalla mia reazione, non può nascere da un’idea ma in ultimo dall’esperienza che scaturisce dal rapporto col Mistero, quel Mistero che ti ribalta le carte faticosamente messe una sull’altra a costruire il più incredibile e meraviglioso dei castelli.

Quando il Mistero ti si fa presente e ti costringe a farci i conti, se sei abituato a etichettare tutto e solo a reagire, rischi di non riconoscerLo, di continuare a sentire la “tua” voce e di perdere per sempre l’occasione di incontrare l’altro, di cogliere il volto umano dell’altro.

E’ tutta una questione di amore……non ci giro più intorno.

La radice della libertà sta nell’amore, in quell’amore che scardina i paletti rassicuranti, anche violentemente a volte, se è necessario.

Quell’amore che è capace di stare accanto agli altri non in astratto, non virtualmente, ma nel concreto, e proprio partendo dalla consapevolezza dei limiti dei giudizi umani. E oltre quelli siamo chiamati ad andare, è quello il sentiero più faticoso per cercare di costruirci la libertà, anche nella rete.

Mi sono resa conto in questo deserto virtuale che la rete ha delle potenzialità enormi, come quella dell’imparare a stare di fronte ad una realtà complessa e dinamica, a stare con la gente e, se conosciuto, se non abusato e non subìto, può essere uno strumento per accompagnarsi proprio mettendo in relazione persone distanti.

Il mio augurio perciò è che, nel mondo virtuale, si possa vivere con quello stesso pudore, quel desiderio di convivenza, quella responsabilità, quell’umanità che animava quelle serate dei piccoli centri, quando non c’era altro se non un sano desiderio di farsi compagnia nel cammino della vita.