Blog / Don Sergio Fumagalli | 20 Giugno 2017

Le Lettere di don Sergio – La “natura” omosessuale e i peccati contro lo Spirito Santo

Da diverse parti ormai si ripete con frequenza un’affermazione che fa leva sui molteplici significati che ha il termine “natura” per travisare alcuni dati scientifici.

Vale la pena di approfondire questi concetti poiché questa ambiguità viene utilizzata per ripetere slogan che sono solo sofismi.

Innanzi tutto la scienza (in questo caso la biologia) osserva che in diverse specie animali e nell’uomo, si riscontra una certa percentuale di comportamenti omosessuali, ossia attrazione sessuale verso individui dello stesso sesso. Questa rilevazione statistica non ha alcun significato di determinazione di una “natura” diversa per quegli individui nei quali sia presente questa tendenza. La natura resta la stessa, gli organi genitali restano gli stessi, le funzioni naturali non cambiano; si potrebbe parlare di una “natura” diversa se, a tali tendenze, fosse associata una diversa funzionalità e una diversa fisiologia, ma non è così. Piuttosto si possono dare dei casi di sviluppo anomalo degli organi sessuali, casi di ermafroditismo, ecc… ma non è ciò di cui vogliono trattare gli omosessuali quando dichiarano di avere una “natura” diversa, che darebbe loro diritto a comportamenti “diversi” secondo la loro “natura”.

Ora mi sembra che tale affermazione sia del tutto fuori luogo, perché il semplice sentire attrazione verso persone dello stesso sesso non cambia la propria natura. Questa affermazione ha valore filosofico, ma anche scientifico nel senso più ampio del termine, poiché la scienza stessa non parla di alcuna “natura” omosessuale, se non nel senso statistico indicato sopra, come rilevazione di una tendenza, a cui evidentemente non è associato alcun modo diverso di procreazione; questa “inutilità” dell’attrazione omosessuale, che negli animali, ma anche nell’uomo, può assumere ben altri significati, non proprio positivi, era giustamente rilevata dalla psicologia come un disturbo, ma da qualche decennio a questa parte, dietro forti pressioni, è stata derubricata come patologia, ma questo non può magicamente farla diventare “utile”, perché non lo è.

Come in tutti i casi di attrazioni, desideri, emozioni, ecc…, si tratta di valutare il significato ed il valore dei gesti che si compiono in conseguenza di queste pulsioni, e la pulsione omosessuale, per quanto uno voglia sforzarsi di sublimarla, non ha alcun significato proprio, se non la ricerca di un piacere “irrazionale”.

Nel non aver nulla di solito da obiettare a queste semplici considerazioni sulla fisiologia umana, spesso si porta il discorso sull’”amore”, un “amore” che giustificherebbe gesti di eccitazione sessuale, perché compiuti per il “piacere” disinteressato proprio e del partner, ma qui si tocca un argomento che è stato ampiamente sviluppato nella “teologia del corpo” di San Giovanni Paolo II e richiamato anche da Amoris Laetitia, in cui si mostra come i gesti umani non possono essere disancorati dal loro significato proprio soprattutto in un ambito così delicato ed intimo quale è quello della sessualità e della procreazione (un ambito così sacrale da essere immagine dell’Amore Trinitario).

Se non fosse così non si capirebbe il perché non sarebbero possibili gli accoppiamenti o le masturbazioni reciproche tra chiunque (giovani, anziani, celibi o sposati): che male c’è, se ci si ama? Se questo fa piacere ad entrambi, perché non farlo? (evidentemente  al solo scopo di piacere, quindi rapporti rigorosamente protetti e non procreativi!).

Un’ultima osservazione. L’uso continuo, insistente, martellante della “propria sofferenza” per giustificare la propria immoralità è arrivato a livelli francamente insopportabili; a questo si aggiunge la distorsione in atto di affermazioni di accoglienza e di tenerezza nei confronti delle persone, che vengono costantemente spostate sui loro vizi, come se fosse la stessa cosa: “Dio ci ama come siamo”, diventa “Dio ci ama non, nonostante i nostri vizi e peccati, ma proprio perché ce li abbiamo” e ce li vogliamo tenere. Ma questo non è Vangelo, ma peccato contro lo Spirito Santo.

Il Nuovo Testamento ci parla dello Spirito Santo come di Colui che “discende” su Gesù, e, in modo analogo, Colui di cui è “piena” Maria e anche gli Apostoli e i profeti; è lo Spirito di Verità, il Consolatore, Colui che rende testimonianza a Gesù, Colui che vivifica la Chiesa, che la santifica, che la rende Una e che, attraverso questa unità, simile a quella di Un Corpo, vivifica anche ogni membro della Chiesa.

Lo Spirito Santo è ciò che unisce, vivifica e santifica, per questo i suoi doni non possono creare divisioni, lacerazioni, particolarismi: San Paolo, parlando dei carismi e dei doni, invita a discernerli e a riconoscerli in vista dell’edificazione dell’unico corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Non ha senso opporre allo Spirito che vivifica la Chiesa un proprio Spirito particolare, una propria luce interiore, facendosi scudo con la propria coscienza. Gesù stesso oppone ai Giudei, che si proclamano figli di Abramo e credenti in Mosè, e che gli rinfacciavano di essere posseduto da un demonio, che sarà la Parola di Dio a giudicarli e che la bestemmia contro lo Spirito Santo non potrà essere perdonata.

Sono parole di Gesù che sembrano molto dure, ma che indicano che per l’uomo è possibile un peccato di superbia che rende impermeabili alla Verità, alla grazia e all’aiuto di Dio, perché si pensa di essere già possessori della verità, di essere già salvati, e di non aver bisogno di niente da nessuno, nemmeno da Dio.

I peccati contro lo Spirito Santo elencano una serie di atteggiamenti di particolare superbia e chiusura alla grazia: alcuni riguardano un autocompiacimento del tutto infondato, come la presunzione di salvarsi senza merito, l’ostinazione nei peccati e l’impenitenza finale, che denotano un atteggiamento di autosufficienza di chi ritiene che tutto gli sia dovuto, che non ha bisogno di cercare la verità ed il bene, perché si pensa di possederli già, per cui non c’è bisogno di alcun pentimento; altri riguardano invece la mancanza di fiducia in Dio come Padre, per cui si dispera della propria salvezza, mentre si invidiano le grazie altrui, come se a noi non ne fosse concessa nessuna.

L’ultimo peccato dell’elenco è qualificato come “impugnare la verità conosciuta”; il senso principale di questa verità riguarda senz’altro le verità di fede, che pur essendo conosciute come tali, vengono rinnegate, ma penso che anche il vivere nella menzogna, per timore o per interesse, alla fine porti ad un atteggiamento di chiusura alla verità ed al bene che sono molto pericolosi: è Gesù stesso che ci mette in guardia dicendo che il nostro parlare deve essere sincero e che il Demonio è il padre della menzogna. L’abitudine alla menzogna nelle relazioni, porta inevitabilmente alla poca propensione a riconoscere la verità su se stessi, a rifuggire dall’esame di coscienza e dal riconoscimento sincero delle proprie debolezze e dei propri peccati, per cui si ricade nel peccato di presunzione.

“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.” (Mt 7, 15 – 20)

Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957 ed è diventato presbitero il 21 maggio 2005. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito