Le Lettere di don Sergio – Seguire la coscienza
Prima di affrontare direttamente il tema della coscienza morale, vorrei esporre una sintesi di quanto già visto.
Per analizzare i diversi elementi che concorrono a determinare il giudizio morale sulle azioni umane, si è fatta una distinzione tra passioni, sentimenti, desideri, ragione, intuizione, ispirazioni, libertà e volontà, per chiarire quale sia il ruolo specifico di ciascuno di essi.
Tuttavia, nella vita questi elementi si danno contemporaneamente, e spesso, anche se non proprio tutti, si danno in ogni singola azione. La distinzione non serve a pensare che ci sia una contrapposizione tra di essi, ma solo a chiarire il ruolo di ogni elemento; anzi l’ideale sarebbe che nel compiere un’azione buona ci sia la concorrenza di tutti questi elementi: la volontà piena, il libero giudizio della ragione, il desiderio soddisfatto, il sentimento appagato e la passione che ne aumenta il piacere.
Nell’affrontare ora il tema del giudizio di coscienza è bene tener presente che spesso nei dibattiti mediatici si tende ad accogliere superficialmente come giudizio di coscienza qualsiasi opinione personale, un “secondo me” che può essere semplice conseguenza di chiusura in se stessi, poca disponibilità ad accogliere punti di vista differenti, mancanza di riflessione e di autentico dialogo.
Il catechismo, nel parlare della coscienza dice che: “l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce […] lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male”(CCC 1776); la coscienza “attesta l’autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l’attrattiva ed accoglie i comandi”(CCC 1777). “L’importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione”(CCC 1779).
Il concreto giudizio morale sulle proprie azioni deve essere frutto di una ricerca sincera della verità e di una apertura alla riflessione fatta con una ragione libera e retta, non condizionata dalle passioni. Per questo si dice:
“L’uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali. L’uomo non deve essere costretto “ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso” [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 3]. La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. […] Essa formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. L’educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi. L’educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. […] Un’educazione prudente insegna la virtù; preserva o guarisce dalla paura, dall’egoismo e dall’orgoglio, dai risentimenti della colpevolezza e dai moti di compiacenza, che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani. L’educazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore”(CCC 1782-4).
Può tuttavia succedere che la coscienza formuli un giudizio erroneo:
“All’origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa ad una malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto dell’autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e di carità. Se – al contrario – l’ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è senza responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla persona non può esserle imputato. Nondimeno resta un male, una privazione, un disordine. E’ quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi errori” (CCC 1792-3).
Direi quindi che ci sono molti elementi sui quali ciascuno di noi è chiamato a riflettere e meditare, prima di poter affermare di “avere coscienza” di ciò che si sta affermando o facendo. Anche se fosse vero, se ciò che poi si fa è male, la colpevolezza non ci sarebbe, ma le conseguenze del male resterebbero tutte.
Evidentemente il giudizio definitivo sarà quello di Dio, davanti al quale ci sarà ben poco da dissimulare. Però, a questo punto, nell’allontanarsi da ciò che la Chiesa insegna esplicitamente, è importante distinguere tra chi si dichiara “cattolico”, quindi non isolato, ma partecipe di una comunità gerarchicamente strutturata, Corpo Mistico di Cristo, e vivificata dallo Spirito Santo, e chi invece si ritiene un “più o meno credente” qualsiasi (che non per questo perde la sua dignità ed il suo bisogno di salvezza).
Nel secondo caso, se ci allontana dall’insegnamento della Chiesa, di che cosa ci si proclamerebbe testimoni, anche con tutta umiltà? Solo di se stessi e delle proprie idee (di un Gesù Cristo “secondo me”, che non è quello della Chiesa).
Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957 ed è diventato presbitero il 21 maggio 2005. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito
Ricordo che anche per “L’angolo del teologo” vale ciò che vale per ogni Lettera, e cioè che l’autore è l’unico responsabile di quanto ha scritto.