Articoli / Blog | 03 Aprile 2017

ilSussidiario.net – PAPA/ Cosa c’entrano le macerie dell’Emilia con le chiacchiere di giornali e blog?

Nel giorno del dodicesimo anniversario della morte di Giovanni Paolo II, Papa Francesco a Carpi ne raccoglie ancora una volta l’eredità, rendendola sempre nuova e di nuovo feconda. Francesco riprende quel “varcate la soglia della speranza” che si trasforma e si evolve in un’ azione più forte: stare assieme a Cristo a togliere la pietra dal sepolcro di Lazzaro; ascoltare le sue parole e uscire dal tumulo delle nostre pure, dei nostri dolori, per passare all’azione e agire.
Cinque anni dopo, le macerie del terremoto in Emilia diventano metafora delle macerie che a volte si abbattono sulle nostre vite: è questo il punto di vista secondo cui il vescovo di Roma legge le parole del vangelo di Lazzaro. “Non lasciamoci imprigionare dalla tentazione di rimanere soli e sfiduciati a piangerci addosso: c’è chi si lascia chiudere nella tristezza e chi si apre alla speranza. C’è chi resta intrappolato nelle macerie della vita e chi, come voi, con l’aiuto di Dio solleva le macerie e ricostruisce con paziente speranza”: così si rivolge alle sessantamila persone che lo ascoltano, a sessantamila persone che, nel recente passato, dopo un terremoto, si sono rimboccate le maniche e hanno ricostruito.

Di fronte al dolore personale e del mondo, di fronte alla sofferenza imprevedibile e senza ragione simboleggiata dall’evento sismico che colpì l’Emilia nel 2012, il romano pontefice scuote l’uomo dalla tentazione dell’atteggiamento passivo e falsamente provvidenzialistico e lo invita a trovare Dio dentro se stesso: a guardare quell’impronta di Dio che ci rende a immagine e somiglianza del Padre e che ci fa capaci di credere di poter creare là dove c’è stata distruzione; di aiutare, laddove c’è dolore; di costruire ponti, laddove c’è lontananza ed incomprensione.
Francesco rifonda e propone una teologia dell’azione dove la preghiera è innanzitutto carità operante: carità che significa fare tutto ciò che è possibile fare, non arrendersi, seminare fiducia a partire da gesti concreti, fattibili per tutti.
Davanti a chi parla di tramonto dell’Occidente, di crisi dei valori, di relativismo, il Papa propone un “alziamoci in piedi” che non è in primo luogo un’azione dimostrativa, non risponde alla logica di chi ideologicamente si contrappone ma è proprio e semplicemente, innanzitutto, un’ azione concreta che rende visibile l’immagine della Chiesa come ospedale da campo, come Madre che va incontro a ciascuno e custodisce. Tutti si possono sentire coinvolti dalle parole di Bergoglio perché ogni uomo – anche l’ateo – se ha buona volontà sente dentro di sé quest’aspirazione ad agire, a costruire per il bene comune: si tratta di essere non solo predicatori di pace, ma operatori di pace. Per il credente, il discorso di Bergoglio ha però qualcosa in più: non si tratta solo di agire con un atteggiamento di ricostruzione, di speranza e di positività; si tratta anche di consentire a Gesù di venire dentro le nostre macerie, dentro di noi e nelle nostre relazioni.
Ieri, però, non erano molti i giornalisti a sapere che quanto ho appena raccontato, il desiderio del Papa di riscostruire e prendersi cura in primo luogo delle relazioni, era stato oggetto di impegno proprio tra il Papa e mons. Cavina, il vescovo che domenica ha accolto Francesco a Carpi.

Questi, il cui nome ricorre più volte negli atti del processo Vatileaks 1 e nell’inchiesta dei tre cardinali 007 nominati all’epoca da Benedetto XVI, era stato molto chiaro nel raccontare al Pontefice il disagio sperimentato da alcuni sacerdoti per il modo di comportarsi del vescovo di Roma. Era avvenuto nel maggio 2015 durante l’assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana. Doveva rimanere un discorso a porte chiuse ma invece la notizia era trapelata e i giornali avevano parlato di “attacco verso Francesco” da parte di Cavina. In realtà quest’ultimo aveva solo voluto obbedire alla richiesta di “paressia” che il Papa ha più volte invocato nella Chiesa. Infatti il pontefice non solo non aveva manifestato alcun risentimento ma, quando le parole del presule erano state indebitamente diffuse e distorte, aveva telefonato a monsignor Cavina per manifestargli la sua stima per avere espresso lealmente e con franchezza il suo pensiero. In seguito, attraverso altri incontri personali, il Papa aveva più volte manifestato al vescovo di Carpi la sua fiducia ed il suo affetto. E l’abbraccio di ieri è stato l’ennesimo insegnamento che dice come nessuno debba rimanere chiuso nelle macerie di un fraintendimento, di un equivoco, di un dissapore.

Tratto da ilSussidiario

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