Blog / Sandokan | 04 Marzo 2017

Le Lettere di Sandokan – Seduzione

«Pensavo all’effetto straordinariamente liberante che ha il voler piacere solo a uno (o ad una) se tutto questo è ricambiato. Certo gli amori umani sono precari, e però fanno capire qualcosa sulla felicità. Il vero miracolo è che questo effetto liberante finisce per farti piacere a molti proprio per il fatto che non ti preoccupi di piacere loro».

«Una specie di tattica di seduzione».

«Sì, lo so, c’è chi ostenta indifferenza o distacco per farsi cercare, ma io non parlo di questo. Non credo molto nella seduzione come strumento attraverso il quale tenere legate le persone, per appropriarsi di ciò che non è proprio. Ci si può riuscire, ma è un atteggiamento, un modo di essere, che produce una tensione che, a lungo andare, rovina la vita anche se può regalare qualche comodità. Ti costringe a spararle sempre più grosse, a gonfiare le conversazioni con frasi ad effetto, a riempire le persone a cui vuoi piacere di complimenti, a rifarti le tette, ad arredare salottini, a leggere Shakespeare per darti un tono, a copiare la vita e i pensieri di chi c’è l’ha fatta, a comprarti un Rolex, a guardare con sospetto chi hai il presentimento che sia come te e ti voglia derubare di qualcosa che tu hai rubato con tanta fatica. Ma c’è chi non sa fare altro e finisce per vivere nell’unico modo in cui sa vivere, per non restare solo».

«E allora, se non è una tattica di seduzione il ‘non preoccuparsi di piacere’, cos’è?».

«Secondo me tu centri troppo il discorso sul ‘non preoccuparsi di piacere’ e lo fai diventare il fine di tutto. E invece il punto è il volere piacere solo a uno (o ad una) e il resto è semplicemente una conseguenza. Ma anche il verbo ‘volere’ non è adeguato a spiegare quello che ho in mente di dire».

«Capisco che voler piacere soltanto a uno ti libera nelle relazioni che hai con gli altri e ti mostra come sei davvero, o come vorresti essere: piacevole per natura e non per scopo, per volontà. Ma perché non ti piace il verbo ‘volere’?».

«Perché il ‘voler piacere’ soltanto ad uno non è una vera scelta, un atto di volontà, ma semplicemente la constatazione di un fatto. Un giorno ti svegli e scopri che è così, e che magari era così da tanto e tu neanche lo sapevi ma, improvvisamente, tutto diventa chiaro. Tuttavia può anche succedere che uno mai faccia una scoperta del genere, non so perché. Forse perché è un egoista, o un superbo che non cerca nulla fuori di sé, solo calore o consolazioni, o perché non ha avuto le giuste occasioni. E però so che se non lo scopre non è che possa imporsi con la volontà di ‘voler piacere’ soltanto ad uno (scegliendolo tra i tanti) per vivere meglio, per giustizia o simili. Non si può ‘voler piacere’ a nessuno, come lo intendo io, neanche a Dio».

«E’ come la chiami questa volontà ‘involontaria’ di voler piacere soltanto ad uno?».

«Mi prendi in giro, e so che è difficile spiegare ciò che uno è o come si sente. E’ difficile ed è anche inutile perché non è che tu possa fare tuo il mio sentire, come invece potresti far tuo quello che io possiedo o che conosco. Non puoi, non ti servirebbe e neanche mi importa che tu lo faccia. E magari neanche ti interessa ascoltarmi, non so. Questa volontà ‘involontaria’ io la chiamo amore, con la ‘a’ minuscola, perché è come la radice di tutto il resto, sepolta come tutte le radici da un po’ di terra, che non vede nessuno. Non è la definizione dell’amore, che non si può definire, ma è il principio dell’amore, che poi si sviluppa in ogni vita».

«E la tua volontà non conta nulla?».

«No, conta. La volontà, il voler bene ad altri, esiste, ma diventa poi come una conseguenza di questo amore ‘primario’, non so come chiamarlo, che non nasce da un atto di volontà. Se lo si inquadra come atto di volontà lo si immiserisce e diventa una cosa come le altre. Io voglio amare tanti, è una decisione mia, questa. Ma chi amo davvero non lo voglio amare. L’amore vero si impone, lo si può constatare. Questo non vuol dire che uno lo subisca e basta, ma comunque è qualcosa di cui ci si fida e da cui ci si fa guidare. E misuro la mia volontà di amare gli altri con questo amore scoperto, constatato, non scelto, ed è questa misura che dà verità alle mie parole e ai miei comportamenti con tutti. Per ‘misurare’ l’amore serve una unità di misura, come per misurare la lunghezza. Per essere esatti intendo. Questa unità di misura va però scoperta personalmente, mentre si vive, e non c’è chi possa passarla ad altri o depositarla nella teca di un museo, come si è fatto con il ‘metro’ al Bureau International des Poids et Mesures a Sèvres di Parigi».

«Sai che cosa mi viene da pensare? Che il peggior inganno è dire a qualcuno che lo si ama quando invece lo si vuole amare».

«Lo capisci ora qual è il punto? Non lo so se è il peggior inganno, ma è una cosa molto dolorosa. Uno dovrebbe gioire per il fatto che un altro ti vuole amare o si impegna ad amarti. Ma, se tu lo ami, quel suo impegno ti offende. Poi puoi anche decidere di accettare e perdonare l’offesa, perché magari non sa fare di più – come fa Gesù con san Pietro … lui a chiedere ‘mi ami?’ e l’altro a rispondere ‘ti voglio bene’ – e lo accetti come si accetta il fatto che un muto non sappia parlare. Ma ti offende lo stesso».