Rocco Buttiglione – Dj Fabo: la giustizia e l’amore
Con il desiderio di parlarne con noi, Rocco Buttiglione anticipa per il blog questo articolo che uscirà domani su Il Dubbio
Un amico mi chiede di commentare la vicenda di dj Fabo. Era molto malato, voleva morire, per farsi aiutare a morire è andato in Svizzera, dove il suicidio assistito è permesso e lì, infine, è morto. Come faccio io a commentare la vicenda di un uomo che non ho mai conosciuto? Non ho mai visto il colore dei suoi capelli, non ho mai sentito il timbro della sua voce, non ho conosciuto le sue gioie e non ho condiviso il suo dolore. Non ho conosciuto i suoi amici e soprattutto la sua donna che, a quanto mi dicono, non è stata una “donna” ma una vera sposa e moglie, che sia passata o no davanti al parroco o all’ufficiale di stato civile. Non conosco tutte queste cose e tante altre ancora e chi sono io per giudicare? Posso solo pregare Dio che lo accolga nella sua pace. Ma chi mi chiede di commentare sa che io sono contrario alla eutanasia. Sa che sono intervenuto in Commissione Affari Sociali contro un progetto di legge che introduce nel nostro ordinamento l’eutanasia e sa che voterò contro l’eutanasia se mai questa questione fosse sottoposta al giudizio della Camera. La domanda è in realtà: non si commuove il tuo cuore davanti a questo caso pietoso? Come fai ad essere ancora contro l’eutanasia? Sei ancora contro l’eutanasia? Proviamo a rispondere, anche se non è facile. Sì, il mio cuore si commuove e piange insieme a quelli che a dj Fabo hanno voluto bene. No, non cambia il mio giudizio sulla eutanasia. È possibile? Sì, è possibile. Proviamo a ragionare insieme.
Se gli amici di dj Fabo gli avessero dato un veleno per farlo morire accondiscendendo alle sue richieste e io fossi stato chiamato a giudicarli, probabilmente non avrei avuto cuore di condannarli. Dico probabilmente perché della vicenda so solo quello che ho letto sui giornali e dei giornali ho imparato a non fidarmi, o almeno non interamente. È possibile assolverli sulla base della legge esistente in Italia? Certamente. Il codice penale prevede numerose cause di esclusione della punibilità per mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Chi può negare che chi si trova per anni a dovere assistere, spesso da solo, una persona cara gravemente malata, che soffre, che chiede di morire, è sottoposto ad una pressione psicologica che può diventare irresistibile? Chi si sentirebbe di condannarlo? Chi potrebbe dire: io al suo posto avrei fatto di meglio? Io mi sentirei con tranquilla coscienza di assumere la difesa di chi davvero avesse agito in quel modo e di chiederne l’assoluzione.
Come legislatore invece voterei contro una legge a favore della eutanasia. È sempre sbagliato fare le leggi sotto la pressione emotiva che deriva da un “caso pietoso”. I casi pietosi esistono per davvero e l’ordinamento giuridico deve essere abbastanza flessibile da tenerne conto. Ogni regola ha le sue eccezioni e, come abbiamo visto, la legge italiana già prevede questa possibilità. Se esistono dei “casi pietosi” esistono però anche dei bricconi che strumentalizzano i casi pietosi per ingannare la pubblica opinione e sovvertire il rapporto fra l’eccezione e la regola facendo della eccezione la regola e facendo venire meno delle difese e delle protezioni essenziali per la salute e la vita di tutti i cittadini.
Immaginate una Italia in cui la eutanasia sia ammessa dalla legge ed assimilata dal costume, come avviene quasi inevitabilmente in una società secolarizzata in cui si va smarrendo la distinzione fra ciò che è giusto eticamente e ciò che è permesso legalmente. Immaginate un anziano che vive a fatica ed ha bisogno del sostegno materiale e morale dei suoi familiari, dei vicini, della assistenza e della sanità pubblica. Quanto è più facile, davanti alla depressione ( una volta si diceva disperazione) che talvolta lo assale, dirgli : ma perché non la fai finita e non liberi te stesso dalla sofferenza e noi dalla fatica di starti vicino? Il sistema sanitario e pensionistico, in una società in cui diminuisce il numero dei lavoratori ed aumenta quello degli anziani, diventa sempre più costoso. Ogni anziano che abbrevia la sua esistenza comporta un risparmio interessante per i politici che hanno il compito di fare quadrare i conti della sanità. Invece di educare il personale medico ed infermieristico al dialogo con il paziente terminale, invece di preoccuparsi di offrirgli assistenza psicologica ( e, perché no? , anche religiosa) basterà convincerlo a farsi fare una ultima iniezione. È curioso il fatto che tante voci si sollevino (peraltro giustamente) contro l’accanimento terapeutico e così poche invece contro l’abbandono terapeutico. Siamo sicuri che stiamo facendo tutto il possibile ed il necessario per dare a tutti i pazienti il massimo della terapia e della cura di cui siamo capaci? Certo, tutte le proposte di legge sottolineano che il paziente deve liberamente dare il suo consenso alla eutanasia. Ma sarà così difficile carpire questo consenso ad un soggetto sfibrato dalla malattia e prostrato dalla depressione? L’anziano pensa (è tentato di pensare) che la sua vita non ha valore per nessuno e quindi non può avere valore neppure per lui stesso. La offerta istituzionalizzata della eutanasia conferma questa convinzione. Invece di dirgli che si sbaglia e di mostrargli che la sua presenza è preziosa la società conferma quello che la depressione dice.
Ma è poi vero che l’eutanasia è, almeno formalmente, volontaria? Nei paesi che la eutanasia la hanno legalizzata già da qualche anno già affiorano i primi casi di pazienti uccisi contro la loro volontà. Il consenso del tutore sostituisce quello del paziente. Il World Catholic Register del 7 febbraio riferisce di foto orribili che stanno facendo il giro del Web e che mostrano una donna olandese immobilizzata dai familiari mentre dei medici le fanno una iniezione mortale. L’ispettore generale della salute in Olanda sta investigando 10 casi analoghi. I giornali però di questo “caso pietoso” non parlano. Che i potenti della situazione informazione si siano già messi d’accordo per
farci digerire l’eutanasia?
Far morire un essere umano non è mai la cosa giusta da fare, anche se può essere giusto esentare dalla pena chi lo fa in particolari circostanze. La legge non può legittimare e suggerire questo cammino. La legge deve indicare invece un altro percorso: quello di una compagnia rispettosa ed attenta nell’ultima fase della esistenza, con una medicina palliativa che stronca il dolore fisico ed una compagnia umana che allontana la depressione. C’è una canzone di Fabrizio de André che dice che “quando si muore si muore soli”. C’è però anche un libro di Philippe Ariès, grande storico della transizione alla età moderna, che ci dice il contrario: la morte è (può essere) un atto sociale: si può morire dentro una compagnia umana carica di significato. È questa la vera “morte dolce” , che è poi il significato etimologico di “eutanasia”.
Questo articolo uscirà su Il Dubbio del 28 febbraio 2017