FaroDiRoma – Il delitto di Vasto. Ci vorrebbe un codice della strada anche per Internet
L’incidente stradale dove morì Roberta Smargiassi (34 anni) fa un altro morto e un’altra vita rovinata per sempre: quella di Fabio Di Lello, marito di lei, che ha ucciso con tre colpi al cuore Italo d’Elisa, 21enne, l’investitore.
Mons. Bruno Forte individua nella lentezza della giustizia la causa di questa ulteriore sciagura: “Con un intervento rapido della giustizia e una punizione esemplare la tragedia si sarebbe potuta evitare”. Ma le responsabilità, a mio parere, non sono solo quelle della magistratura o di un eventuale buco legislativo. Ce ne sono almeno altre due.
La seconda è il mancato supporto psicologico che si deve necessariamente dare a chi subisce un lutto del genere. Si legge che Di Lello era depresso, andava tutti i giorni al cimitero, a volte rimanendoci anche per delle ore e che, prima di autodenunciarsi, ha portato la pistola sulla tomba della moglie. Una persona così non doveva essere lasciata sola ad affrontare la depressione e lo shock. Ingigantiti, e qui veniamo al terzo elemento, dalla pressione dei social che chiedono vendetta.
Quando Roberta era morta, attorno al papà, alla mamma, ai fratelli e al marito Fabio ora omicida, si era stretta l’intera città. Centinaia di persone avevano prima reso omaggio alla salma nella camera ardente e poi partecipato al corteo funebre. La manifestazione pubblica del dolore però non si era fermata lì: una quindicina di giorni dopo, era partita una fiaccolata proprio dall’incrocio dove Roberta era stata travolta; e poi, sui social, c’erano stati continui incitamenti alla vendetta con la gente divisa in fazioni che si indignava perché l’imputato della morte era a piede libero: con Fabio, l’omicida di ieri che postava sul suo profilo Facebook le foto della loro storia, le mani intrecciate, le fedi nuove, il vestito bianco, i sorrisi.
Chi sono quindi i responsabili di queste morti? Di chi ha guidato in maniera dissennata, certamente; di chi non ha fatto leggi adeguate, di sicuro; di una giustizia lenta (ma questo va verificato perché, a quanto pare, il percorso della giustizia stava avanzando con i tempi e i modi previsti); di tutti loro. Ma non solo. Anche di noi. Di quelli che non imparano che su internet non puoi parlare come parli a casa tua, tra quattro pareti, dove chi ti ascolta sa se stai esagerando, se sei esasperato o se fai sul serio, perché ti conosce e fa la tara. Quando scrivi sui social il tuo messaggio non sai chi coglie. Potenzialmente può arrivare a chiunque. Internet è qualcosa di fantastico che permette a noi tutti di comunicare ma deve anche risvegliare in tutti noi un più forte richiamo al senso di responsabilità.
Ci vorrebbe un codice della strada anche per internet: un codice per i social sia per chi scrive sia per chi legge così come esiste un codice della strada sia per chi guida sia per chi va a piedi: per un codice stradale infranto che ha ucciso Roberto, c’è forse anche un codice mediatico non ancora stipulato che ha ammazzato Italo e rovinato la vita di Fabio.
Tratto da farodiroma