L’HuffPost – Accanto alle vergini di Aleppo che preferiscono suicidarsi invece di essere stuprate
Qual è il momento peggiore di una vita? Quando morire sembra l’unico modo per vivere con dignità da uomini. Nella mia vita incontro questo momento con i malati terminali o con i loro familiari. Conosco una persona che mi chiede di pregare perché in un paese estero accolgano la sua richiesta di suicidio assistito.
Quando la malattia sfinisce per il dolore, lungo, inarrestabile, senza tregua o sollievo, sembra che solo la morte possa essere l’unica medicina, l’unica porta aperta verso la pace. Se vuoi che presto arrivi la morte per una persona che ami e che soffre terribilmente non vuoi darle la morte ma vuoi darle la vita: darle la vita perdendola tu, lasciandola andare.
Ma ora, ieri, leggevo che ci sono momenti nella vita ancora peggiori di quelli che conosco, è quando la guerra porta a chiedere la morte per vivere. Leggevo delle ragazze di Aleppo che chiedono ai loro padri, fratelli, capi religiosi di potersi suicidare prima che arrivino gli stupratori.
Lo racconta Muhammad Al-Yaqoubi.. Io so che in questi casi non bisogna parlare, non c’entrano i sì e i no: c’entra solo stare, stare lì con chi soffre. Quelle ragazze, non è che vogliono morire: non vogliono vivere stuprate.
Vogliono che qualcuno le accompagni in un’altra vita e, per questo, si rivolgono a loro padre, al loro capo religioso, si rivolgono cioè a chi ha dato loro la vita. Vogliono che sia chi ha dato loro la vita, vogliono che sia qualcuno che le ama, a dar loro un’altra vita. È una richiesta di morte, sì, ma per avere la vita. Sappiamo tutti che i veri suicidi li trovi già morti e senza bigliettini. Le ragazze di Aleppo chiedono di vivere, cioè di non sopravvivere da stuprate e da vendute come schiave di sesso per l’Isis.
Io cerco di stare, non di parlare o di spiegare o di argomentare. Di stare. Leggere il libro di Giobbe non fa capire nulla di più sul senso del dolore rispetto all’incomprensibile che già chiunque di noi “non capisce” anche senza leggere il libro di Giobbe. Il libro di Giobbe insegna solo a stare, nel dolore, accanto a Giobbe. Fa capire quanto sia assurdo il comportamento di chi parla spiegando, e come abbia solo senso stare lì accanto, soffrire con chi soffre.
Ma tu allora, don Mauro, che faresti? Io prenderei per mano mia figlia e con lei andrei nella zona di Aleppo dove più numerose cadono le bombe: andrei proprio dove cadono le bombe o dove sparano i cecchini più infallibili. Andrei con lei, cercando di darle tutto il coraggio e la calma e la pace che non ho. Ma che troverei per lei.
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