Il Foglio – Mons. Galantino: “Depenalizzazione dell’aborto? Sciocchezze”. Ma i primi a dirlo sono i preti
Riporto qui un articolo pubblicato su Il Foglio il 23 novembre, in cui viene citato il mio articolo sull’Huffington Post
Roma. Come prevedibile, l’eco di quelle poche parole messe nero su bianco dal Papa nella sua Lettera apostolica Misericordia et misera promulgata a conclusione del Giubileo straordinario continua a sentirsi assai bene. Svolta, epocale, rivoluzione, passo fondamentale verso l’edificazione di quella chiesa ospedale da campo tanto predicata fin dal giorno dell’insediamento sul Soglio di Pietro. Sono queste le parole che subito, fin dalla pubblicazione della Lettera, hanno campeggiato sui media, quasi che si fosse davanti a due opposte tifoserie, una esaltata e l’altra depressa.
Ma cosa ha scritto il Papa?
“In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”.
Nessuna svolta, dunque. Semplicemente, il Papa ha stabilito che vale per tutti ciò che già da tempo (molto tempo) viene applicato in diverse realtà, quali ad esempio l’Austria e la Germania. Non si passa più dal vescovo che a sua volta delega determinati sacerdoti incaricati di assolvere dal peccato d’aborto. Ora la facoltà di farlo è in capo direttamente al presbitero. Inoltre, elemento poco sottolineato, il Pontefice da nessuna parte ha revocato la scomunica, che resta per un delitto grave come quello d’aborto, benché – negli effetti pratici – risulti depotenziata.
Mons. Nunzio Galantino, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, è intervenuto a Tv2000 (il canale televisivo della Cei) per spiegare che nulla di concreto cambia, cercando di porre un argine alla confusione che si è creata subito dopo la lettura del documento: “Il Papa ha parlato di realtà grave e drammatica e non ha assolutamente depenalizzato il peccato di aborto. Sono sciocchezze che possono mettere in campo soltanto persone che non hanno letto il documento o gente che ha bisogno di dire sempre qualcosa di diverso ma che non corrisponde mai alla realtà”.
Il problema è che non solo “gente che ha bisogno di dire sempre qualcosa di diverso” ha parlato di depenalizzazione del peccato d’aborto, ma anche diversi sacerdoti. Don Mauro Leonardi, ad esempio, scrittore e attivo sui social media, ha affermato che ora “l’aborto sarà un peccato non più grave del delitto di mafia”. Il che significa interpretare la decisione papale come una chiara “depenalizzazione”.
Chi invece è andato oltre è stato padre Enzo Fortunato, francescano e direttore della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi. In un articolo apparso sull’Huffington Post (e ripreso sulla rivista San Francesco), ha scritto “era ora”, riferendosi al provvedimento deciso dal Pontefice, giustificando il plauso con il rimando a un altro ben noto documento papale. Scrive padre Fortunato: “Per capire Papa Francesco bisogna leggere la sua enciclica Dives Misericordia dove cita un episodio dell’Abate Gaston”. Il problema è che Dives (in) Misericordia non è un’enciclica di Francesco, bensì di Giovanni Paolo II (1980), e che di riferimenti all’Abate Gaston in quel testo non c’è traccia.
Tra le lettere indirizzate al direttore de Il Foglio venerdì 25 novembre, riporto quella di Luca del Pozzo che si rivolge a me.
Al direttore – A differenza di don Mauro Leonardi, di cui ha parlato il Foglio (22/11) a proposito della recente decisione di Papa Francesco in tema di aborto, credo che la soppressione di un essere umano nel grembo materno continui a essere un peccato di gran lunga superiore a un delitto di mafia (e lo stesso dicasi in rapporto alla pedofilia). A parte il fatto che la donna di cui ha parlato don Leonardi, che ha abortito perché temeva di non riuscire a sfamare un figlio in più, avrebbe potuto comunque farlo nascere ché una soluzione la si trovava, al limite ricorrendo all’affido temporaneo, il punto qui è semplice: mentre nessuno si sogna neanche lontanamente di “teorizzare” lo scioglimento dei bambini nell’acido, barbara usanza mafiosa ma che rientra né più né meno di altre pratiche raccapriccianti nella categoria delle umane efferatezze, l’aborto al contrario non solo l’abbiamo depenalizzato ma siamo arrivati, appunto, a teorizzarlo, a parlarne come di un diritto. In nome del quale vengono sterminati ogni anno 50 milioni di innocenti in tutto il mondo. E’ questo, il fatto cioè che abbiamo dichiarato ammissibile sopprimere una vita umana indesiderata per i motivi che siano, che rende l’aborto un orrore senza limiti. Molto più, ripeto, del delitto di mafia (o di altri crimini) che per quanto ripugnante sia è un gesto criminale ma non è ideologico, non nasce cioè per aver voluto affermare “a tavolino” che ciascuno è padrone assoluto della propria vita. E bene ha fatto la chiesa ad associare all’aborto la scomunica automatica (per altro tuttora in vigore nonostante certe ricostruzioni giornalistiche ad alto contenuto etilico): essa non soltanto non è un ostacolo sulla via della riconciliazione (né lo era il rinvio al vescovo per essere revocata, come pure qualche volenteroso monsignore ha lasciato intendere) ma anzi – recita l’“Evangelium Vitae” di s. Giovanni Paolo II – “è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un’adeguata conversione e penitenza”. Ecco perché, per tornare a don Leonardi, a una “carità nello scaffale più basso, dove anche un bambino può prenderla”, continuo a preferire una misericordia sullo scaffale più alto, affinché gli uomini possano essere elevati alla statura del Vangelo.
Luca Del Pozzo