Blog / Scritti segnalati dal blog | 28 Novembre 2016

Referendum – “Perché no” di Rodolfo Casadei

Un lettore del blog che preferisce rimanere anonimo, a seguito della Lettera di Claudio Consolini, segnala questo articolo di Casadei sul n. 668 di Studi Cattolici

Le ragioni per votare No al referendum sulla riforma costituzionale sono tante. Di forma e di sostanza. Per quanto riguarda la forma, modificare 47 articoli su 139 di una costituzione richiederebbe un largo consenso, un patto fra le forze politiche e sociali di una nazione, invece la riforma Boschi è il frutto dei soli voti dell’attuale maggioranza di governo, più il soccorso dei deputati di ALA, il gruppo parlamentare di transfughi creata da Danis Verdini. Anziché creare il consenso più ampio, si è fatta la guerra a chi obiettava: senatori critici della riforma sono stati cacciati dalla Commissione Affari costituzionali del Senato; per evitare votazioni di emendamenti si è applicato il “supercanguro”, come se si trattasse di una normale legge di indirizzo politico e non di un procedimento di revisione costituzionale. L’iniziativa della riforma è stata governativa, quando secondo il nostro sistema costituzionale sarebbe dovuta essere di iniziativa parlamentare. E non va dimenticato che la legge con ci è stato eletto l’attuale Parlamento è stato (tardivamente) dichiarato incostituzionale: ciò non delegittima formalmente il Parlamento, ma avrebbe comunque dovuto ispirare un po’ di umiltà in chi invece non ha avuto remore a far approvare da deputati e senatori eletti con una legge decaduta la più importante riforma della Costituzione dalle sue origini. Infine, sconcertano dichiarazioni come quella dell’ex presidente Napolitano e della ministra Boschi  che hanno affermato (come anche altri esponenti politici e della società civile) che la riforma non è perfetta e richiederà aggiustamenti, ma intanto va approvata dagli italiani nel referendum. Queste uscite denotano poco rispetto per la Costituzione, che è la legge fondamentale di un Paese e non un work in progress al quale si può metter mano quando viene l’ispirazione, e poco rispetto per gli italiani, chiamati a dire sì a un testo che si confessa essere pasticciato.

Per quanto riguarda i contenuti, i difetti mortali della riforma sono tre: non semplifica il funzionamento delle istituzioni e non aumenta la governabilità, anzi li deteriora; annienta l’autonomia regionale e ripropone il centralismo statalista; il combinato-disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale (l’Italicum) provoca effetti distorsivi su tutto il sistema istituzionale, creando le condizioni per lo strapotere senza contrappesi di chi magari al primo turno ha preso poco più di un quarto dei voti. Gli autori della riforma cercano di far credere che il depotenziamento del Senato, ridotto a 100 membri, scelto con elezioni di secondo livello, privato del potere di sfiduciare il governo, faciliterà l’approvazione delle leggi. Non è così, perché a seconda della materia il Senato sarà chiamato a intervenire, col risultato che i procedimenti legislativi passeranno dagli attuali tre (normale, di conversione dei decreti legge e costituzionale) ad almeno otto (alcuni costituzionalisti ne contano addirittura undici). Ciò causerà contenzioso, che finirà inevitabilmente davanti alla Corte costituzionale. Ma la paralisi potrebbe verificarsi sin dall’inizio del procedimento: secondo la nuova Costituzione in caso di contrasti sul procedimento decidono l’intesa i presidenti di Camera e Senato. E se non riescono a intendersi? Non ci crederete, ma non è prevista nessuna soluzione.

Per quanto riguarda le regioni le Regioni, sono state eliminate le materie concorrenti e aumentate di numero quelle di competenza esclusiva dello Stato centrale, nell’errata convinzione che questo produca efficienza e risparmi. In realtà l’enorme contenzioso Stato-Regioni già esistente riguarda contrasti sulle materie di competenza esclusiva, che si riproporranno anche con la nuova Costituzione dove le materie di competenza statale sono salite a una cinquantina. In violazione dell’art. 5 della Costituzione (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, rimasto inalterato come tutti quelli della prima parte della Costituzione), lo stato si è impadronito di materie che riguardano il cuore di ogni assetto autonomistico come le politiche sociali, la tutela della salute, il governo del territorio, l’ambiente e il turismo. Ed è stata pure introdotta una clausola di supremazia statale, di modo che lo Stato può decidere di legiferare in una materia riservata alle Regioni “quando lo richieda la tutela dell’unita giuridica o economica della Repubblica”. Ciliegina sulla torta, nel mentre che accentra alla sabauda tutta l’amministrzione, la nuova Costituzione lascia intatti i privilegi delle cinque Regioni a statuto speciale: la Sicilia potrà continuare ad accumulare i suoi deficit sanitari e ad avere cinque volte più personale della Lombardia con la metà della popolazione, mentre quest’ultima che ha i conti della sanità in ordine perderà tutta la sua autonomia.

Infine, la questione dell’interazione tra nuova Costituzione e legge elettorale: l’Italicum prevede un premio di maggioranza pari al 54% dei seggi della Camera per la lista che vince al ballottaggio (se al primo turno nessuna lista ha superato il 40%), pari a 340 deputati su 640. Di quei 340, almeno 100 sono uomini di fiducia del segretario del partito, perché il sistema prevede 100 collegi plurinominali con capilista bloccati. Si noti che per l’elezione del presidente della Repubblica, la riforma Boschi prevede che dal quarto scrutinio è sufficiente il 60% dell’assemblea, dal settimo il 60% dei votanti. L’Italicum è evidentemente una legge pensata su misura per il PD trionfante del segretario dominus Renzi che, libero da vincoli di coalizione e forte della mancanza di alternative politiche a causa della crisi del centrodestra, potrebbe conquistare tutto il potere, contrappesi istituzionali compresi, con un risultato di poco superiore a un terzo dei voti al primo turno. L’accentramento amministrativo e l’abolizione di fatto delle autonomie regionali sono funzionali alla consacrazione del presidente del Consiglio come unico regista e tesoriere della politica italiana: ogni opera, ogni finanziamento, ogni erogazione di denaro dovranno apparire come munificenze dell’uomo (o donna) che siete a Palazzo Chigi. 

Rodolfo Casadei