Blog / Lettere | 28 Novembre 2016

Le Lettere di Claudio Consolini – Perché voterò Sì al referendum

Claudio Consolini – che non conosco personalmente – scrive spesso su Twitter di cose politiche e legate alla città di Roma: traffico, nettezza urbana e così via. Con l’approssimarsi del Referendum mi ha chiesto di pubblicare sul blog queste sue considerazioni. Per mantenere la posizione di equidistanza del blog rispetto al Referendum, gradirei che qualche utente scrivesse a favore del No o inviasse articoli in quella linea. Grazie

Domenica prossima voteremo sulla Riforma costituzionale. La riforma sembrava necessaria soprattutto per garantire la formazione di governi di legislatura, che avessero il tempo di attuare un programma coerente. Negli ultimi 70 anni abbiamo avuto 63 governi. Si discuteva di riforma già negli anni novanta, ma finora tutti i tentativi sono falliti. La stessa frammentazione che abbreviava la vita dei governi rendeva difficile la formazione della maggioranza necessaria per modificare le costituzione.

Si è cercato perciò di dare stabilità ai governi modificando la legge elettorale. Quest’ultima è una legge ordinaria: dal Mattarellum all’Italicum, le leggi elettorali possono essere approvate in Parlamento con la metà più uno dei voti e possono essere eliminate o corrette con referendum abrogativi. Mediante referendum parzialemente abrogativo nei primi anni Novanta la legge elettorale del Senato fu trasformata in maggioritaria uninominale. L’elezione della Camera venne regolata con legge ordinaria detta Mattarella, che introduceva il maggioritario uninominale di collegio. Con quella legge abbiamo votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Lo scopo delle leggi maggioritarie era quello di premiare la compagine più votata, attribuendole un numero di seggi superiore a quello che avrebbe avuto col proporzionale puro. Il governo Berlusconi che fu in carica dal 2001 al 2006 trasformò la legge uninominale in una legge proporzionale con premio di maggioranza attribuito alla coalizione più votata. Con questa legge abbiamo votato nel 2006, nel 2008 e nel 2013.

Abbiamo elementi sufficienti per valutare se le correzioni alla legge elettorale siano state efficaci oppure no. Con l’eccezione della legislatura 2001-2006, in cui la vittoria di Berlusconi fu netta sia alla Camera che al Senato, la regola è stata che chi guadagnava la maggioranza alla Camera non l’aveva al Senato o viceversa. Nel 1994 Berlusconi aveva la maggioranza alla Camera, ma non al Senato. Il governo nacque con il sostegno di alcuni senatori a vita, ma cadde in sette mesi. I governi successivi nacquero da accordi parlamentari. Nel 1996 l’Ulivo vinse nettamente al Senato, ma non alla Camera. Per nascere, il governo ottenne il sostegno esterno di Rifondazione comunista di Bertinotti, con i cui voti raggiungeva alla Camera 318 seggi su 630. Nel 1998 Bertinotti ritirò il sostegno e il governo cadde. I governi successivi nacquero da accordi parlamentari. Nel 2006 si votò con la legge Calderoli, nota come Porcellum. Poiché la Costituzione vigente non permetteva di attribuire al Senato un premio di maggioranza alla coalizione più votata a livello nazionale, i premi di maggioranza venivano attribuiti regione per regione, con il risultato che si potevano annullare a vicenda, producendo risultati casuali. Alla Camera l’Unione di Prodi prevalse per 23000 voti ed ebbe 340 seggi. Al Senato Berlusconi prevalse per 170.000 voti, ma la loro distribuzione favorì l’Unione. Al Senato non c’era maggioranza e il governo nacque grazie al voto dei senatori a vita. Durò solo due anni. Nel 2008 vinse di nuovo Berlusconi in modo netto, ma la maggioranza si sfaldò alla Camera per la scissione di 30 deputati di Fini. Ci fosse stata solo la Camera, il governo sarebbe caduto. Ma la maggioranza al Senato restava salda, e Berlusconi tirò a campare fino all’avvento di Monti.

Conclusione: né con la legge maggioritaria uninominale, né con una legge proporzionale con premio di maggioranza si riesce a dare stabilità al governo. Il motivo è che il Senato è eletto da un corpo elettorale diverso da quello della Camera: sono esclusi dal voto i cittadini dai 18 ai 25 anni. Inoltre, la Costituzione vigente (art. 57) prestabilisce il numero di senatori eletti dalle regioni o province più piccole (Val d’Aosta, Trentino, Alto Adige, Molise). Le altre regioni eleggono non meno di sette senatori. Il risultato è che la Basilicata, che ha meno di 600.000 abitanti elegge lo stesso numero di senatori dell’Abruzzo, che ha 1.700.000 abitanti. Per il Senato, il voto di un Lucano conta come quello di tre Abruzzesi. La stortura è iscritta nell’articolo 57 della Costituzione e non può essere corretta dalla legge elettorale, che è di rango inferiore perché legge ordinaria. Per questi motivi è molto difficile avere una maggioranza omogenea alla Camera e al Senato.

Se si vuole conservare la forma di governo parlamentare, nella quale il governo ha bisogno della fiducia del Parlamento, l’unico soluzione è riformare la Costituzione, togliendo la fiducia a uno dei rami del Parlamento. Non si può togliere la fiducia alla Camera senza togliere con ciò i diritti politici ai cittadini fra i 18 e i 25 anni. Rimane solo una possibilità: togliere dalla Costituzione un Senato che ha le stesse funzioni della Camera.

Ciò si può fare abolendo del tutto il Senato, oppure facendone un organo di raccordo fra lo Stato e le Regioni, che sono state create negli anni Settanta. Voterei a favore dell’una o dell’altra soluzione. Entrambe sono meglio del sistema attuale, che ci condanna all’ingovernabilità. Poiché il 4 dicembre la scelta è fra le Costituzione vigente e la Riforma che modifica le funzioni del Senato, facendo un organo di dialogo fra Stato e Regioni, voterò sì.

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Claudio Consolini su Twitter dice di essere: amante della libertà, cittadino italiano, seguo il mondo Apple, ma non credo nel riscaldamento globale antropogenico Tyrant slayer, Apple lover, climate skeptic