Blog / Scritti segnalati dal blog | 09 Novembre 2016

A proposito di Cavalcoli & C. – Cambiamo l’atto di dolore?

Nelle polemiche attorno al caso Cavalcoli si è non poche volte menzionato “L’atto di dolore” per difendere il domenicano: perché ce la si prende con lui dal momento che lo stesso concetto, quello dei “castighi meritati”, viene espresso nell’atto di dolore e lo ripetiamo quando ci confessiamo?
Ora, quelli che dicono così non sanno forse che esistono molte persone nella Chiesa che vorrebbero che l’atto di dolore “tradizionale” – in realtà inventato nel XVII secolo – venisse cambiato.
Addirittura tale operazione è stata portata a compimento dal Concilio Vaticano II in maniera ufficiale, nell’edizione tipica latina, ma, misteriosamente, in italiano, è rimasta la vecchia formulazione. In questa lettera di Famiglia Cristiana del 17.02.2008 c’è la miglior spiegazione “semplice”, data da don Silvano Sirboni, che ho trovato finora

Domanda – Mio figlio si prepara alla Comunione e impara l’Atto di dolore che dice «perché peccando ho meritato i tuoi castighi». Fatico a credere in un Dio che si offende e castiga.
Guglielmo C.

Risposta – Ciò che lanciamo contro il cielo ci ricade inevitabilmente addosso. Il peccato non intacca la grandezza di Dio, ma offende l’uomo. Dio non ha bisogno e non ama castigare. Compiendo il male ci castighiamo da noi stessi. I discepoli offesi per non essere stati bene accolti in un villaggio di Samaritani avrebbero voluto che Dio inviasse su di loro il fuoco. Ma Gesù li rimproverò severamente. È soprattutto nella parabola del padre misericordioso e dei due figli (conosciuta come parabola del figlio prodigo) che Gesù ci ha rivelato il volto e il cuore di Dio. Un’antica orazione liturgica (VII secolo), ancora oggi nel Messale romano, dice: «O Dio, che riveli il tuo volto nell’avere misericordia e nel perdonare sempre…» (in latino: cui proprium est miserere sempre et parcere).
L’immagine di un Dio vendicatore, simile agli uomini, è purtroppo ancora assai radicata, al punto che sulle nostre labbra risuona sovente la frase: «Che ho fatto di male per meritare questa disgrazia?». Immagine che è stata annullata quando di fronte al cieco nato e alla domanda dei discepoli: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori?», Gesù risponde: «Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9,1-3).
L’Atto di dolore è un testo la cui formulazione risale alla fine del XVII secolo. Risente di quel particolare contesto culturale che tendeva a omologare Dio ai monarchi assoluti. È sintomatico che in quella stessa epoca si diffonda la rappresentazione del Dio-Trinità come un occhio grande, vigile e severo racchiuso in un triangolo: un dio-gendarme! Ora, il ritorno a una spiritualità più biblica e a un’esegesi (interpretazione) che aiuta a discernere la parola di Dio dalle parole dell’uomo, conduce a rendersi conto di come anche nella stessa storia del popolo d’Israele ci sia stata lenta e progressiva purificazione dell’idea di Dio, fino alla venuta di Cristo perfetta «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15). Purificazione sempre necessaria di fronte alla tentazione di farci un dio a nostra immagine e somiglianza.
L’edizione tipica latina del Rito della Penitenza (1973) ha rivisto il vecchio testo. In esso non compare più la frase «perché ho meritato i tuoi castighi». Il nuovo Atto di dolore (in una mia personale e letterale traduzione) suona così: «Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore di tutto il male che ho fatto e del bene che ho omesso di fare». La conclusione fa riferimento alla mediazione di Cristo: «Per i meriti della passione del nostro salvatore Gesù Cristo, Signore, abbi misericordia di me».
La traduzione italiana del Rito della Penitenza (1974) non ha recepito questa modifica. Tuttavia, accanto al vecchio testo dell’Atto di dolore colloca altri otto testi desunti dalle Scritture. Un esempio: «Signore Gesù, che volesti essere chiamato amico dei peccatori, per il mistero della tua morte e risurrezione liberami dai miei peccati e donami la tua pace perché io porti frutti di carità, di giustizia e di verità». Il modo di pregare esprime e fonda l’idea di Dio.

66 risposte a “A proposito di Cavalcoli & C. – Cambiamo l’atto di dolore?”

  1. Un Cireneo ha detto:

    Grazie don Mauro, avevo letto questo questo articolo.
    Credo postato da Sandokan.

    A mio avviso l’errore delle persone è vedere nel termine castigo la punizione di Dio, sulla quale per altro l’Antico Testamento insiste molto (d’accordo che noi leggiamo l’A.T. alla luce di Cristo, però credo che qualche spunto di riflessione positivo vi possa essere).

    Se il castigo è invece il modo in cui Dio, tra le infinite modalità, si rende presente nella nostra vita e ci invita a convertirci, allora la preghiera assume un altro significato.

    La questione della traduzione è figlia dei tempi.
    Abbiamo modificato la Bibbia edulcorando i termini sgraditi. Eclatante è il caso di Lc14,26 in cui è utilizzato letteralmente il termine odiare che è stato ri-tradotto con amare. Ora, ogni traduzione è sempre un falsare. Io preferisco l’originale o la traduzione letterale del testo.

    Capisco che in questi tempi bui, di angoscia, pensiamo che la luce venga (anche) abbellendo le traduzioni ed utilizzando parole e concetti che si sembrano rassicuranti.
    Per quel che mi riguarda, la migliore luce e rassicurazione deriva dalla rappresentazione il più oggettiva possibile della realtà delle cose umane e divine, anche laddove possa fare maggior fatica a comprenderle ed accettarle.

  2. mauroleonardi ha detto:

    @Un Cireneo
    Sì, il merito di questo post è di Sandokan

  3. sandokan ha detto:

    Ci sono su Internet un’infinità di commenti a quel passo dell’Atto di dolore.

    Alcuni decifrano la frase “ho meritato i tuo castighi” non come un riconoscimento del fatto di essere stato castigato da Dio per i propri peccati, ma come un atto di consapevolezza del penitente che riconosce come giusto il fatto che Dio lo castighi per quello che ha fatto. Un po’ come avviene col figliol prodigo che tornando al casa dice al Padre di “trattarlo come l’ultimo dei suoi servi” e non pretende il perdono come un suo diritto.

    Ma in questo caso “merito i tuoi castighi” sarebbe più chiaro di “ho meritato i tuoi castighi”.

    PS Poi il padre della parabola non castiga nessuno ed è evidente che il figlio torna dal Padre non perché consapevole dei suoi torti, ma perché faceva una vita da cani e non la reggeva più. Quindi il suo è un pentimento piccolo, ma il Padre lo perdona perché è tornato, non perché è perfetto.

  4. sandokan ha detto:

    Nessuno ha diritto ad essere perdonato.

  5. Doremì ha detto:

    Il mio parroco mi insegnava che ognuno ha diritto al perdono altrui. Del resto il Padre nostro condiziona il perdono di Dio solo al proprio personale perdono. Quindi posso dire che se io perdono al prossimo ho diritto al perdono di Dio.

  6. sandokan ha detto:

    Le parole delle preghiere vocali sono importanti, soprattutto se uno riflette su quello che dice. Se uno non riflette e le ripete come se fossero una musica senza parole, allora può dire quello che vuole e non ha importanza. Non è neanche importante che le reciti.

    Ma quando uno le recita bisogna che si renda conto se crede a quello che dice. In passato ho un po’ criticato il mondo visto come “valle di lacrime” nella Salve Regina. Il mondo ha i suoi dolori e non è il paradiso, ma il mondo è stato creato da Dio e nel mondo Dio c’è, vivo. C’è una omelia del fondatore dell’Opus Dei, pronunciata in un giorno di Pasqua, nel quale lui proclama che Cristo vive nei cristiani. Come può essere una valle di lacrime un posto dove c’è Dio.

    Io capisco il senso di quelle parole del Salve Regina, ma io non ho bisogno di vedere il mondo come una valle di lacrime per desiderare il Cielo e mi infastidisce chi mi obbliga a farmi piacere parole che non sono mie e mi fa sentire, se lo dico, come se non avessi fede o non credessi in Dio. Io non vado da nessuno a dire quali preghiere uno debba recitare, ma se io non lo faccio e spiego il perché gradirei non essere considerato uno di un’altra religione. Non è che mi importi molto di come vengo considerato, ma magari esistono altri obbligati a dire parole che non sono loro e magari si sentono compresse e venendo a sapere di non essere sole al mondo possono decidere di smettere di essere ossessionate dalle parole di altri.

  7. Un Cireneo ha detto:

    Come può essere una valle di lacrime un posto dove c’è Dio?
    Dio stesso, in Cristo, si è fatto valle di lacrime.

    Non so chi ti abbia considerato di un’altra religione.
    Certo, se tutti rispettassero tutti, mettendocela tutta per rendere vero e vivo il dialogo, sarebbe bello.
    Le offese arrivano da tutte le parti: è necessario indossare un elmetto di kevlar quando si scrive.
    Forse è bene che ognuno parta da se stesso, facendo autocritica.

  8. Betulla ha detto:

    Ripeto a Sandokan che esprime e porta avanti con passione e con vero cuore le sue ragioni, che per me l’atto di dolore cosi come mi è stato insegnato dal catechismo ha valore, e vedo e ho sempre visto in quel “ho meritato i tuoi castighi” , l’essermene allontanato che è essere privato della sua presenza, per me vero castigo.Una volontà intrinseca del peccato. La presenza di Dio è avere questa sensibiltà che consste nell’avere la coscienza di perderlo non solo con le azioni ma con i concetti che vanno contro la Verità, nel senso che l’occultano. Questo è meritare il castigo nel senso che io con le mie azioni dettate da un pensiero e non da un raptus, ho determinato il suo allontanamento. Ho meritato ciò che io ho determinato.

  9. Betulla ha detto:

    Certo , vorremmo che una preghiera alla Madonna fosse tutta rose e fiori, ma il versetto ” in questa valle di lacrime” ci rcorda la presenza delle conseguenze che porta il male e cioè l’essere peccatori. Se saltiamo a piè pari questa dimensone, è perchè vorremmo questa terra fosse un paradiso, che qui non è purtroppo, ma che invece possiamo guadagnare con lotta e fatica.U n percorso che consste in pass i dell’amore verso l’Amore.

  10. sandokan ha detto:

    Non so chi ti abbia considerato di un’altra religione.
    ———————————
    La mitica Stefania, che mi ha chiesto di che religione io sia.

  11. sandokan ha detto:

    Le offese arrivano da tutte le parti: è necessario indossare un elmetto di kevlar quando si scrive.
    Forse è bene che ognuno parta da se stesso, facendo autocritica.
    —————————————
    Io posso dire, UnCireneo, che tu hai detto una cazzata se lo penso, ma non ho mai detto né pensato che tu sia di un’altra religione o che tu dica eresie. Semplicemente non mi muovo a questo livello e non è mio compito (e neanche mi interessa) stabilire la cattolicità di nessuno.
    A me pare invece che anche in te ci sia questa preoccupazione dell’eresia strisciante (anche in quello che dici tu, sei preoccupato di essere ortodosso), di stabilire cosa sia cattolico e cosa non lo sia.
    E’ una cosa diversa dire a una persona “non la penso come te” oppure dirgli “sei fuori dalla Chiesa”.

  12. Martina ha detto:

    A proposito del tema dei castighi, si dice spesso che questi sono presenti solo nell’Antico Testamento mentre spariscono con l’avvento del Verbo Incarnato e la Redenzione operata da Cristo. In realtà c’è un brano degli Atti degli Apostoli che mi ha sempre interrogato (qualcun altro forse direbbe “scandalizzato”), perché sembra contraddire in modo patente questo assunto. Mi riferisco all’episodio dei coniugi Anania e Saffira, narrato nel capitolo quinto, versetti da 1 a 11. La colpa di questi poveracci (mi sia lecito chiamarli così) è stata di trattenere per sè una parte dei propri beni nel momento in cui affermavano di averli donati tutti agli Apostoli. Una bugia, insomma, non un peccato particolarmente grave, sembrerebbe: i beni erano loro, non li avevano ricevuti da altri, quindi – come del resto sottolineato dallo stesso Pietro – potevano farne quello che volevano, darli tutti, parte o niente. L’unica cosa che viene rimproverata ai due coniugi è di aver mentito: ripeto, certamente una cosa non bella, ma, insomma, non così grave e tantomeno irreparabile. Eppure arriva il castigo divino, immediato, severo e definitivo: la morte. E si badi che il castigo viene proprio dal cielo, non è Pietro o qualcun altro che li uccide, egli si limita infatti a denunciare la colpa e in più, nel caso di Saffira, a profetizzare la morte imminente. Ma non alza un dito contro di loro. Dopo la morte dei due, gli Atti degli Apostoli sottolineano per due volte che un grande timore si impadronì degli astanti e di tutti i fedeli.
    Ecco, mi piacerebbe che la discussione, molto ricca e interessante, che da un po’ di tempo è presente su questo blog sull’argomento “castighi” si soffermasse su questo brano (non una parabola, ma un avvenimento narrato da Luca) e lo tenesse in considerazione. Io non ho risposte, semplicemente il brano mi ha sempre inquietato (un po’ come i cristiani che ne furono testimoni diretti del resto).
    Aggiungo che non è nemmeno l’unico episodio “inquietante”. Per esempio, sempre negli Atti degli Apostoli (12, 20-25), c’è il caso del re Erode che , per essersi dimenticato di dare gloria a Dio, viene colpito da un angelo del Signore e muore “roso dai vermi”.
    Ripeto, io non ho risposte, solo domande. Grazie.

  13. Onda ha detto:

    Al Catechismo ci viene dato da insegnare solo l atto di dolore classico quello riporta il libro del Catechismo e così ho fatto Perche peccando ho meritato il tuo castigo ,cioè ho disubbidito quindi metterei u a punizione,non sono più in grazia di Dio Quindi per me vanno bene le tesi di Sandokan,ci puniamo da soli,perche ci allontaniamo da Dio,aspettiamo un castigo,che Dio essendo misericordioso no.n ci darà.M i piace come l ha cambiata don Mauro e andrebbe rivista questa preghiera ,come il Padre nostro ilnon ci indurre in tentazione.

  14. Onda ha detto:

    Meriterei non metterei una punizione scusate correttore

  15. Un Cireneo ha detto:

    Dimmi, Sandokan, dove ti ho detto che, a mio avviso, sei fuori dalla Chiesa?

    A me non preoccupa l’eresia delle altre persone se non nella misura in cui posso confrontarmi e cercare di capire, intanto, se uno dei due sta sbagliando (non è detto, come spesso affermo. Le strade che portano al Signore sono tante quante sono le persone) e se qualcuno sbaglia e capissi che fossi io, mi muoverei per correggermi. Se invece penso che siano le altre persone, la libertà di fare o non fare è per me inviolabile in quanto riconosciutaci da Dio.

    Ti riconosco intelligenza, il saper scrivere ed una visione di Dio e dell’uomo per molti tratti interessante, dalla quale posso certamente crescere, una volta maturati ed introdotti nel mio pensiero e nella mia vita gli aspetti che ritengo veri ed utili.

    Mi sembra però che tu, nonostante sia molto attento agli altri e sia un fautore del dialogo, presti più attenzione a qualcuno e meno ad altri. Ad esempio, poco sopra, hai espresso un giudizio mascherato da parere.
    Così come per il dialogo. Con qualcuno lo sviluppi, con altri la butti facilmente sull’offesa.
    Nessuno è perfetto e tutti siamo chiamati a migliorarci, almeno finché avremo un alito di vita.

  16. Un Cireneo ha detto:

    Scusa, non avevo letto che mi avevi risposto sopra riguardo la persona che ti ha detto che sei di un’altra religione.

  17. Paolo ha detto:

    La famiglia è un modello esemplare in questi casi.
    Il papà che castiga il figlio lo fa per il suo bene , per salvarlo dalle tenebre.
    L’imperfezione della famiglia umana ci fa dubitare di questo e allora occorre essere esempi di amore divino per gli altri.Se provo a pensare a chi è esempio di amore divino per me e immagino il suo castigo non posso in alcun modo dubitare che sia per odio e capriccio.Chi ha questo dubbio non conosce l’amore di Dio.Per chi conosce Dio non c’è alcun problema nel parlare dei suoi castighi.Viceversa per chi non lo conosce anche parlare di Amore non serve a nulla.Se dico “ti voglio bene” ad una persona che non sa amare magari si sentirà sminuita e mi dirà che voglio solo rimarcare che io sono capace di amare e Lei no.Ciò che è castigo per gli uomini è salvezza per Dio.Chi direbbe che Gesù non è stato castigato? E chi direbbe che non ha acconsentito?A Pietro che gli diceva “non sia mai” ha risposto come sapete.

  18. renato pierri ha detto:

    Martina, quegli episodi non sono da prendersi alla lettera. E’ una sciocchezza pensare che Dio li abbia fulminati. Ben altre persone sarebbero da fulminare e Dio se ne sta tranquillo e lascia fare.
    Ma lo logica di Dio… i disegni di Dio… Ma sì, ma sì… e poi?

  19. sandokan ha detto:

    Ciao Martina, io penso che il Dio dell’AT sia uguale a quello del NT e che non castigasse nè prima, nè dopo.

    Credo che la vita di Gesù ha offerto a tutti la possibilità di leggere i fatti della vita – quelli raccontati dall’AT, come anche quelli narrati negli Atti degli apostoli, ma anche i fatti della mia e della tua vita –  da una nuova prospettiva.

    Gesù non da mai l’impressione di volere la morte fisica di nessuno, neanche quando alcuni attorno a lui sembrano suggerirglielo, neanche quando viene messo a morte.

    I fatti di cui parli probabilmente furono letti da tutti quelli che vi parteciparono in un certo modo. È il modo giusto? È quello vero?
    Non ho risposte da dare al posto di un altro.

    Non credo che Dio, che non ha fatto morire i crocifissori di suo figlio, poi dia la morte Saffira e ad Anania, anche se leggo che entrambi morirono dopo essere stati rimproverati da Pietro (nel caso di Anania Pietro predisse la sua morte). Ma tu credi a ciò che ti sembra più credibile.

  20. Onda ha detto:

    Bellissimo !@Sandokan è sempre stato così,sono gli uomini che hanno girato a convenienza Dio,Lui è sempre stato come Gesu l ha presentato Padre Misericordioso Perché oggi anche così succede?Si ognuno (vedi Cavernicoli)si fa tante volte un Dio a sua misura,a suo uso!

  21. Giovanni C. ha detto:

    Forte sta Martina, no? Ora si che la questione si complica…. Sandokan, la tua risposta mi sembra insoddisfacente. Qualche don che legge vuole illuminarci, please….?

  22. Betulla ha detto:

    Poi c’è chi oscilla tra prendere alla lettera quando gli torna comodo, e non alla lettera quando non può dare interpretazioni fantasiose.
    Forte Martina!

    .

  23. Paolo ha detto:

    Castigo vuol dire rendere puro.La morte non è la fine , la dannazione lo è.La morte può salvare dalla dannazione.

  24. sandokan ha detto:

    Sandokan, la tua risposta mi sembra insoddisfacente.
    ————–
    Mi dispiace Giovanni C., è l’unica che soddisfa me al momento ;-)

  25. sandokan ha detto:

    Poi c’è chi oscilla tra prendere alla lettera quando gli torna comodo, e non alla lettera quando non può dare interpretazioni fantasiose.
    ———————-
    Non so a chi tu ti riferisca (non è vero, ma facciamo finta che sia così) però non si tratta che le cose tornino comode per farmi dare ragione. Si vive serenamente pure stando dalla parte del torto. Si tratta di vedere le cose partendo da Gesù. Anche la Chiesa fa così e interpreta le scritture a volte nel loro senso letterale e a volte no.

  26. sandokan ha detto:

    Non so se ti sei accorta Betulla, ma le tue parole sono uguali a quelle di Renato che dice che la Chiesa interpreta le scritture a volte letteralmente e a volte no a seconda dei suoi comodi. Ora io capisco che a tuo parere la Chiesa ha l’autorità per farlo e Renato invece no, ma Renato non è del tuo parere.

  27. sandokan ha detto:

    Quando si parla di Dio è fondamentale partire dalla vita di Gesù, come ho provato a fare.
    Perchè se gli ebrei ringraziavano Dio perchè sterminava i suoi nemici, faceva la stessa cosa che facevano i faraoni ringraziando i loro dei dopo le loro vittorie in guerra. Ma Dio non è forse anche Dio dei nemici di Israele? E Gesù ha mai dato l’impressione di essere uno sterminatore?
    E se i discepoli di Gesù attribuirono a Dio certi eventi a cui hanno assistito, questo Dio che fulmina i disobbedienti somiglia al Gesù del vangelo?

  28. sandokan ha detto:

    Chi sono i “cattivi” del Vangelo, i primi che vi vengono in mente? Le prostitute? I ladri? I romani?

  29. sandokan ha detto:

    Certe volte ho l’impressione che non si creda davvero che il peccato sia un castigo, ma si abbia bisogno di sentire la frusta. Uno pensa: quello si è divertito coi suoi peccati e invece io qui a trattenermi e lui non si prende manco due frustatine per punizione?

    L’ho già detto, è come l’operaio della vigna che è stato tutto il giorno a lavorare e che si lamenta di aver ricevuto lo stesso salario di chi ci è stato un’ora. Il padrone della vigna gli dice “fatti i fatti tuoi” ma avrebbe potuto dirgli: “il salario è lo stesso, ma tu sei stato un giorno con me e lui invece un’ora soltanto. Non sei stato bene con me? Solo della fatica ti ricordi? E del salario? Ma della mia compagnia non ti ricordi mai?”

  30. sandokan ha detto:

    Castigo vuol dire rendere puro.La morte non è la fine , la dannazione lo è.La morte può salvare dalla dannazione.
    ————-
    Tranquillo Paolo, moriremo tutti. :-)

  31. Betulla ha detto:

    Sandokan hai preso una cantonata. Non pensavo neanche lontanamente a te.

  32. sandokan ha detto:

    Chiedo scusa

  33. Betulla ha detto:

    Era solo una precisazione.

  34. mauroleonardi ha detto:

    La formula classica è studiata a tavolino per diffondere un messaggio “dottrinale” che però, a ben guardare, poco ha a che fare con la vita. Prendiamo per esempio “fuggire le occasioni prossime di peccato”. Direi che è una delle frasi più utopistiche dell’intere vita cristiana dal momento che, spessissimo, non è possibile cambiare praticamente nulla di sostanziale della propria vita reale, soprattutto in poco tempo.
    Mi spiace poi che sia dia invece così poco importanza alla vera radice della vita cristiana che è il vangelo: “Abbi pietà di me peccatore” è invece – non come le formule studiate a tavolino – reale e veramente salvifico.

  35. Letterio ha detto:

    In effetti la formula “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore” – che poi corrisponde alla classica modalità della preghiera del cuore degli orientali – ha il vantaggio di focalizzare l’attenzione non tanto sui singoli peccati (che hanno già formato oggetto della confessione, quanto sulla mia radicale e irreversibile (sinché siamo in itinere) condizione di peccatore. Al di là della singola colpa, viene alla luce il fatto che io sono costitutivamente peccatore, noi produciamo il peccato come l’ape produce il miele, lo riversiamo da tutte le parti senza magari nemmeno accorgercene. Così la formula lunga e settecentesca va forse meglio per uno che si sia da poco riavvicinato ai sacramenti e muove i primi passi nel cammino di conversione. Chi ha più familiarità con la confessione, e solitamente confessa peccati veniali scelti fior da fiore (la completezza non è richiesta per le colpe lievi) è più proficuo porre l’obiettivo sulla mia condizione intrinseca di homo peccator, bisognoso continuamente di salvezza e conversione.

  36. Un Cireneo ha detto:

    Don Mauro, non sono d’accordo con quanto affermi.

    Se “fuggire le occasioni prossime di peccato” fosse utopico, allora andiamo tutti al mare a sollazzarci nelle nostre miserie.
    Ma mandiamo al mare anche Gesù, possibilmente in una spiaggia diversa dalla nostra.

    Infatti:
    1) La formula, se condivisa con il cuore, è preghiera rivolta a Dio con cui manifestiamo davanti al Suo ministro che, in quel momento, è schermo alla Sua presenza, il nostro fermo proposito di allontanarci dal peccato.
    2) Dal momento che siamo deboli e consapevoli di questa debolezza, la preghiera recita: “Propongo, con il tuo Santo aiuto […] di fuggire le occasioni prossime di peccato”.
    Le occasioni le fuggiamo non da soli, ma con il Santo aiuto di Dio.

    Affermare quanto dici, mi sembra si possa intendere come se Dio non ci aiutasse o fosse sordo.
    Non è così.
    Se le parole sono dette con il cuore, l’aiuto arriva anche se tu ben sai che l’azione di Dio si manifesta, generalmente, con tempi lunghi. O meglio lunghi sono i tempi necessari per vedere i frutti. Perchè Dio opera immediatamente, non è sonnacchioso né distratto. Può essere interessante discutere perchè i tempi siano lunghi e non risolva tutto con uno schiocco delle Sue dita. Diciamo che più si è immersi nel vizio, più serve tempo per uscirne. È come un argano che, lentamente, solleva un carico molto pesante. Se sollevasse rapidamente, il carico potrebbe cadere.

    Il messaggio dottrinale è, a mio avviso, corretto.
    Ed ha molto a che fare con la vita di un credente che ha fede, cioè colui che si affida alla potenza di Dio e rimette nelle Sue mani tutto il proprio desiderio di allontanarsi da ciò che è male ai Suoi occhi. Nella consapevolezza che la decisione della volontà di per sé è inefficace senza la Grazia che ci sostiene nel cammino (ma che continua a lasciarci liberi se scegliamo nuovamente di ricadere nel peccato).

  37. Un Cireneo ha detto:

    Sì, è proprio una bella preghiera. Veramente bella.

    Ringrazio tutti per le osservazioni contrarie perché mi hanno permesso di riflettere su alcuni aspetti che, da solo, avevo trascurato di approfondire.

    Se dovessi parlare del senso positivo del dialogo qui, nel blog, è proprio questo. Dalle osservazioni intelligenti ed educate di chi la pensa diversamente, si può arrivare a modificare un punto di vista o rafforzare ed irrobustire quanto si pensava prima.

  38. Paolo ha detto:

    Tranquillo Paolo, moriremo tutti. :-)

    ————-

    E saremo tutti salvi? :-(

  39. sandokan ha detto:

    Sul giudizio, Paolo, non ho competenza ;-)

  40. Paolo ha detto:

    :-)

  41. Betulla ha detto:

    Non è detto che già S.Pietro ti abbia adocchiato dall’alto . ;-)

  42. mauroleonardi ha detto:

    @Un Cireneo
    “… perché peccando ho offeso te…”

    E su questa non abbiamo nulla da dire? cioè: se io chiedessi perdono a Dio dei miei peccati “perché peccando ho offeso te” farei un atto di dolore perfetto, la così detta contrizione, che, è noto, rende superfluea la confessione.
    Vabbeh…
    Ma di cosa stiamo parlando? direbbe Cruciani….

  43. Giovanni C. ha detto:

    Questa della confessione superflua è gagliarda…. a DonMa’, ma sicuro che sei prete cattolico de’ santa romana chiesa?!?

  44. mauroleonardi ha detto:

    @Giovanni
    È Agostino: grazie alla Confessione l’attrizione diventa contrizione. Per sè il dolore perfetto dei peccati merita il perdono di Dio: quindi la confessione è superfluea.
    Il problema è che la contrizione (cioè il dolore perfetto dei peccati, quello dell’atto di dolore…) è praticamente impossibile

  45. Giovanni C. ha detto:

    “attrizione Nella dottrina cattolica relativa alla giustificazione, il dolore del peccato commesso, che grava come un peso sull’animo del penitente, conscio di avere perduto i benefici divini e meritato il futuro castigo.

    Provenendo dalla considerazione della negatività del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene, è denominata anche ‘contrizione da timore’, distinta dalla contrizione di carità o contrizione perfetta, che si ha quando il dolore per il peccato proviene dall’amore di Dio amato più di ogni cosa. La contrizione di carità rimette le colpe veniali e ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la decisa risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale, mentre l’a., da sola, non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza, in quanto essa può dare inizio a un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento con l’azione della grazia, mediante l’assoluzione sacramentale.”

    Così, per dire… senza scomodare il catechismo… persino la Treccani… don Mauro, don Mauro….

  46. Giovanni C. ha detto:

    Ah, Sandokan, mi perdoni? Ho fatto copia e incolla…. sono pieno d’attrizione….

  47. sandokan ha detto:

    Giovanni C, io ti perdonerei pure. Purtroppo però tu non hai capito quello che hai citato.

    La contrizione da timore è quando uno chiede perdono perchè ha timore dell’inferno o, in generale, della pena conseguente al peccato.

    La contrizione perfetta dei peccati sta a indicare il dispiacere dei peccati e il pentimento, per una mancanza di amore di Dio.

    Ora quando uno dice di pentirsi ‘molto più perchè ho offeso te, infinitamente buono …’ non credi che si stia pentendo per non aver amato Dio?

  48. sandokan ha detto:

    Ora quello che ha scritto Mauro è che la contrizione perfetta è molto rara (non voglio dire impossibile, non so) e invece recitando quel verso in un Atto di dolore che dicono praticamente tutti si ‘costringe’ la maggior parte dei penitenti a dire una bugia.

  49. sandokan ha detto:

    Che le norme prevedano che occorra comunque confessarsi anche dopo un atto di contrizione perfetta non significa che l’atto di contrizione perfetta in sè non basti, perchè se uno muore dopo aver fatto un atto di contrizione perfetta (oppure vive in un’isola deserta) va in cielo uguale. È come per il matrimonio. Se due persone su un isola deserta vogliono unirsi per sempre, sono sposi. Poi, se paracaduteranno un prete sull’isola, celebreranno pure il rito nuziale.

  50. sandokan ha detto:

    Dire ‘ti amo’ a una persona che non si ama, ma che si teme, è una cosa brutta. Meglio dire la verità, penso io. Perchè le parole non cambiano la realtà e io, sebbene possa convincermi che ‘devo’ amare Dio più che aver paura di lui, devo trasformare questo convincimento razionale in realtà. E nessuno che ama davvero lo fa per dovere. Dio non ci deve amare. E se io devo amare come lui mi ama, neanche io ‘devo’ amarlo.

  51. sandokan ha detto:

    È un discorso complesso Giovanni e, se è vero che Mauro lo ha semplificato con una battuta ma poteva spiegare di più, è anche vero che è brutto dire a un prete cattolico che non sia un prete cattolico.

  52. sandokan ha detto:

    PS Per questi motivi uno non può essere certo che una persona che non si è mai confessata non sia in Cielo. Perchè può aver compiuto un atto di contrizione perfetta prima di morire, che non vuol dire aver recitato un Atto di dolore, non vuol dire recitare formule. Atto di contrizione perfetta vuol dire dire ‘ti amo’ a chi si ama. E la misura della parola amore è l’amore con cui Dio ci ha amato. Non è una cazzata che uno può risolvere dicendo frasette.

  53. sandokan ha detto:

    Sarebbe un punto interessante per confessarsi bene cominciare a dire ‘ti amo’ a chi si ama giá su questa terra, a qualcuno che è parte della nostra vita. Per esercitarsi praticamente dico, per non dire bugie al nostro prossimo . Che se si fa così, non dire bugie a Dio ci viene meglio.

  54. sandokan ha detto:

    Detto questo se uno sente che l’Atto di dolore che recita parli di sè, allora viva l’Atto di dolore, per lui.

  55. Giovanni C. ha detto:

    Sandokan… e che è! Eppure, nel mare di spiegazioni pleonastiche che hai dato il senso del mio breve inciso l’hai colto.
    Il problema che ho sollevato è che era stato omesso il particolare che prevede la disposizione d’animo alla confessione sacramentale appena possibile per essere giustificati. Non basta la contrizione perfetta in sé. Omettere di dire ciò è quel dire e non dire che, purtroppo, leggo spesso dalla penna di don Mauro. E se da una parte questo permette di strizzare l’occhio a chi possa leggerlo come “basta confessarsi con Dio, vedi anche don Mauro dice che il confessore, in fondo, può essere superfluo”, dall’altra permette quell’aura di modernismo mondano che fa tanto chic.
    Non pensavo fosse necessario far sfoggio d’erudizione… comunque, bravo!

  56. sandokan ha detto:

    Allargando il discorso, la questione dell’amore per il prossimo, del cercare di dire ti amo a chi si ama e che vediamo, ha una certa utilità soprattutto perchè costui ci risponde, ci fa capire se lui trova un collegamento tra le nostre parole e i nostri comportamenti, mentre i nostri ‘ti amo’ a Dio veicolati dentro le nostre preghiere potrebbero essere tutta una serie di palle che diciamo a Lui per sentirci bene, approfittando del fatto che lui mai ci manda a fanculo (ce lo dirà a suo tempo, ci dirà ‘non ti conosco’), mentre se io dico ‘ti amo’ a @Distorsore Pazzo c’è il forte rischio che lui mi mandi a cagare.
    Dal fatto che lui mi mandi a cagare posso dedurre che il problema sia suo … che non è ben formato, che non distingue l’amore vero dal falso amore e tutta una serie di menate che potrebbero anche essere vere, potrebbero. Ma non è che il fatto che lui mi stia ‘menando’ sia la prova certa che io sia come Gesù che è stato rifiutato dal mondo. Esiste la possibilità che @Distorsore Pazzo – che non è un granchè, sono d’accordo, è un peccatore :) – mi meni perchè sono un coglione che parla di amore sputando veleno e bugie.

  57. sandokan ha detto:

    Mi rendo conto che non sto usando un linguaggio teologico, ma mi ha detto Tremalneik – che non so come fa a sapere ste cose – che san Tommaso d’Aquino diceva tante parolacce in convento, quando non scriveva la Summa. Per esempio quando gli finiva l’inchiostro era solito esclamare a voce alta ‘sto cazzo d’inchiostro non dura niente, se mi capita quello stronzo che ce lo fornisce …’. Ma rimaneva sempre san Tommaso d’Aquino. Posso promettere che quando inizierò la stesura della via versione del De Trinitate sarò inappuntabile.

  58. sandokan ha detto:

    Giovanni, io sono pleonastico, per il mondo … figurati le mie spiegazioni :-)

  59. sandokan ha detto:

    E se da una parte questo permette di strizzare l’occhio a chi possa leggerlo come “basta confessarsi con Dio, vedi anche don Mauro dice che il confessore, in fondo, può essere superfluo”, dall’altra permette quell’aura di modernismo mondano che fa tanto chic.
    ———————–
    Questo lo pensi tu perché hai sistemato don Mauro nel catalogo dei preti modernisti mondani. Ma l’argomento di questo discorso era cosa recitare come atto di dolore nel rito della penitenza. E si stava esaminando una formula criticandola.

    Tra l’altro il senso della critica di Mauro era che l’atto di contrizione perfetta è ‘impossibile’, sono parole sue, e quindi è un invito a confessarsi con il sacerdote, non a fare da sé.

  60. sandokan ha detto:

    Uno può leggere nelle parole di un altro ciò che vuole, Giovanni, il problema è capire il peso che diamo alle parole degli altri nella nostra vita.

    Non possiamo costringere nessuno a dire le cose come sembra meglio a noi, così come non possiamo costringere san Paolo a non dire che non saranno le opere a portarci in Cielo o i nostri meriti, anche se qualcuno da queste parole ha dedotto che le opere non servano a nulla.

    Non possiamo costringere sant’Agostino a non dire ‘ama e fa quel che vuoi’ perché questa frase potrebbe confondere i semplici.

    Non sto paragonando Mauro a nessuno e pure lui, in questo caso, poteva spiegare di più, ma non è detto che non lo abbia fatto per i motivi che pensi tu.

  61. Un Cireneo ha detto:

    Don Mauro, forse Cruciani si esprimerebbe in modo diverso, o non si esprimerebbe proprio, perché stiamo parlando di cose serie.

    La mia osservazione del 10 Novembre nasceva dalla tua affermazione di considerare utopico il fuggire le occasioni prossime di peccato.
    Il tema della contrizione perfetta non mi sembra si leghi perfettamente a ciò.

    Sull’atto di contrizione non ho molto da aggiungere a gli interventi di Giovanni C.
    L’atto di contrizione perfetta vale in circostanze eccezionali, ad esempio in punto di morte non avendo avuto il tempo di confessare i peccati.
    Non dovrebbe valere se vissuto con l’intenzione di rendere superfluo il sacramento della riconciliazione.
    Il condizionale è d’obbligo perchè parliamo del Giudizio di Dio che, per fortuna, non dipende dalle nostre idee.

  62. mauroleonardi ha detto:

    @Giovanni C.

    Invece scomodiamolo il Catechismo (poi, quando avrò tempo, aggiungerò la Somma Teologica di san Tommaso)

    n. 1452 – Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta « perfetta » (contrizione di carità). Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale (44)

    Nota (44) Cf Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento Paenitentiae, c. 4: DS 1677.

    P.S. il fermo proposito di ricorrere alla confessione è necessario perché è impossibile essere certi della contrizione perfetta: quindi se qualcuno potendosi confessare non lo facesse (questo significa “appena possibile”) vorrebbe dire che sarebbe superbo perché presumerebbe una certezza che non può avere: e quindi non avrebbe fatto un atto di contrizione perfetto

  63. Giovanni C. ha detto:

    ed alla fine, come vedi, Don Mauro, sei arrivato a dire proprio quello che avevo precisato. Ed è questo l’insegnamento che mi aspetto da un presbitero di Santa Romana Chiesa. Omettere il particolare “del qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale” fa nuovi follower, ma cambia totalmente il messaggio. Non credi?

  64. Nuccio Gambacorta ha detto:

    Forse m’inserisco nell’argomento andando fuori tema ma gli è che a me l’Atto di dolore mi riporta ad una fede di quand’ero ragazzino e che ora è differente. per me l’atto di dolore così com’è oggi mi suona “infantile”. Piuttosto passo ad un’altra preghiera che m’interessa molto: “L’eterno riposo” A un certo punto, molti anni or sono, mi son detto perchè mai i morti si debbano “liquidare” con un’orazione così scarna e succinta che ti viene la tristezza solo a pensarla. Dunque, in privato, l’ho arricchita e quando rivolgo il pensiero a chi non c’è più io la recito così: “L’eterno riposo dona loro o Signore e splenda ad essi la luce perenne del tuo Santo Volto, riposino in pace nella tua Vita, nella tua Gioia, nel tuo Amore continuando ad operare se tu lo vuoi, nell’attesa della beata finale
    risurrezione. Amen. Sulla famosa frase del Padre Nostro “non c’indurre in tentazione” non so poi quante altre trasformazioni si potrebbero effettuare, poichè non ha senso che il Padre celeste ci induca in tentazione.

  65. mauroleonardi ha detto:

    @Giovanni C.
    Saprai certamente che esiste la massima “per confessio ex attrito fit contritus” e cioè grazie alla confessione si passa dal dolore imperfetto al dolore perfetto. Significa che la confessione ottiene il dolore dei peccati perché porta il dolore da imperfetto a perfetto. Se non ci fosse neppure un minimo di dolore imperfetto la confessione non sarebbe valida se ci fosse il dolore perfetto la confessione di per sé sarebbe superfluea (è quello che ho scritto in quel commento che ti ha infastidito – cfr post del 10 novembre 2016 ore 23.12)). Poiché non è mai possibile saper con certezza se si ha o no un dolore perfetto è necessario per prudenza confessarsi sempre: con il mio ragionamento però volevo mostrare che l’elemento decisivo è il dolore.

    Perché se c’è dolore perfetto non è necessario confessarsi? Perché il dolore perfetto è l’amore, cioè la carità, cioè – sinteticamente – Dio. Ovviamente se c’è la carità non c’è il peccato: proprio questo è il senso della massima “per confessio ex attrito fit contritus”. La massima che ho riportato, siccome è una massima, è molto diffusa. Io ricordavo fosse di sant’Agostino ma per esserne certi bisognerebbe fare delle verifiche che al momento non sono in grado di fare. In ogni caso posso fornira una citazione inoppugnabile che è di un Papa, che è anche santo e che ti piacerà molto (anche a me piace molto, tra le altre cose perché mi ha ordinato, ma non sono di quelli che lo citano di continuo per dire che dire che Papa Francesco non sbaglia dal moment che dice lo stesso suo): è san Giovanni Paolo II nella Reconciliatio et Poenitentia: “Per accostarsi al sacramento della Penitenza è sufficiente l’attrizione, ossia un pentimento imperfetto, dovuto più al timore che all’amore; ma nell’ambito del sacramento, sotto l’azione della grazia che riceve, il penitente “ex attrito fit contritus” (dal dolore imperfetto si passa al dolore perfetto), sicché la Penitenza opera realmente in chi è ben disposto alla conversione nell’amore” (Reconciliatio et Poenitentia nota 185).