L’angolo del teologo – Etica ragionata
Questo mio scritto prende le mosse dalla seguente affermazione fatta in un articolo di questo blog alcuni giorni fa: “considerare peccaminosi e quindi proibiti gli atti omosessuali è contro la ragione e contro la giustizia”.
Poiché tale affermazione non mi sembra affatto evidente, chiestene le motivazioni, la risposta è stata: “l’amore è qualcosa di potentissimo che prende, l’anima il cuore e la mente; per una persona innamorata l’amore è la vita stessa; se uno è omosessuale, perché proibirgli ciò che è concesso a un eterosessuale, vale a dire unirsi alla persona amata?”.
Deduco quindi che l’irragionevolezza starebbe nel proibire ad una persona di amare e l’ingiustizia nel trattare diversamente due situazioni equivalenti.
Poiché questo modo di vedere le cose è abbastanza diffuso e spesso di fronte ad esso, pur dissociandosi, si ricorre quasi unicamente ad argomenti di fede, vorrei cercare di controbatterlo su un piano puramente razionale, anche se mi rendo conto che il discorso potrebbe diventare un po’ più pesante e difficile da seguire.
L’affermazione che sto criticando è conseguenza di un clima culturale soggettivista che in ambito morale porta a pensare che l’unico giudizio etico valido possa essere portato solo sui propri sentimenti; detto in parole semplici: “è buono ciò che amo ed è cattivo ciò che odio” o anche “faccio il bene se ho sentimenti di amore e di benevolenza e faccio il male se ho sentimenti cattivi”. Una conseguenza di questa impostazione è che le norme morali che non trovassero corrispondenza con i propri sentimenti sono viste solo come imposizioni esterne coercitive e un altro aspetto che complica la questione è che spesso lo stesso termine “amore” viene usato per indicare cose molto diverse tra loro.
Anche una morale sviluppata con la sola ragione può comprendere che il giudizio etico non viene dato solo sui sentimenti del soggetto agente, ma sull’azione completa, che comprende oggetto, fine, mezzi e conseguenze. Tale giudizio porta quindi il soggetto a valutare se tutta l’azione è adeguata al bene di coloro che ne sono coinvolti. In ogni atto che la coscienza giudica cattivo, inizialmente può essere presentato alla volontà un bene parziale, che per quanto ha di buono risulta amabile o desiderabile, ma che poi la ragione stessa riconosce inadeguato al bene complessivo di tutti i soggetti coinvolti. Questo giudizio della ragione, se dato dopo l’atto, può portare al pentimento; se dato prima dell’atto, può portare ad evitare di compiere l’azione. Dire che un atto di unione omosessuale è cattivo significa riconoscere, attraverso la ragione, che, per quanto possa presentare aspetti desiderabili o di piacere, non è adeguato al bene generale delle persone coinvolte. Ho parlato di un atto concreto e non di un amore in generale che può portare a compiere tanti atti diversi e buoni, se adeguati al bene delle persone. Del resto anche diversi atti compiuti in una relazione di amore eterosessuale possono essere giudicati cattivi perché inadeguati al bene delle persone.
Riguardo alla giustizia, se si comprende che il giudizio etico non è dato sui sentimenti, ma sulle azioni nel loro complesso, allora non si può più dire che i due casi siano equivalenti.
Queste riflessioni sono molto sintetiche e parziali, inoltre è ancora da dimostrare che gli atti omosessuali sono cattivi; per ora mi sono limitato a ragionare sul fatto che non è irragionevole considerarli cattivi.
Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957. Laureato in fisica ha insegnato per vent’anni in scuole e licei delle periferie romane. Il 21 maggio 2005 è diventato sacerdote ed ha conseguito il dottorato in filosofia ecclesiastica. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito
Ricordo che anche per “L’angolo del teologo” vale ciò che vale per ogni Lettera, e cioè che l’autore è l’unico responsabile di quanto ha scritto