Blog / Sandokan | 15 Ottobre 2016

Le Lettere di Sandokan – Freddo

Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.
Mi è tornato in mente questo versetto dell’Apocalisse mentre ascoltavo, per caso, una intervista concessa dal pianista Stefano Bollani presso l’Istituto italiano di cultura di Parigi il 12 febbraio 2016.
Bollani ha scritto un libro, di recente, in cui parla di alcuni musicisti scelti secondo il suo gusto e raccontati secondo quelle che erano le loro passioni e la loro vita. L’intervista è bellissima e penso valga la pena di essere ascoltata anche se c’è da dedicarle più di un’ora. Ci sono innumerevoli spunti per riflettere ed è anche molto divertente, perché Bollani è così.
A un certo punto lui racconta delle difficoltà che spesso hanno i musicisti a comunicare tra loro “oltre la loro musica”, perché spesso uno si trova davanti a «una persona diversa da “quello che suona”». Paragona il suonare assieme a un altro al fare all’amore: «Alle volte uno si accorge, dopo aver suonato o dopo aver fatto l’amore, di non avere null’altro da dire».
Lui ricorda un suo compagno di conservatorio di 16 anni, violoncellista, che quando suonava era austero, pignolo, attento ai “moti dell’animo” (li chiamava così) che il compositore voleva trasmettere con la sua musica – e che lui applicava anche al suo volto, mentre suonava – sempre intento a correggere chi lo accompagnava, qualora non gli sembrasse in sintonia con la sua sensibilità. Appena finiva di suonare si sbracava sulla sedia e, in toscano, diceva a chi gli stava attorno, toccandosi le palle con la mano: «Oh bolla, allora stasera che si fa? Si va a figa?».
I musicisti del suo libro non sono come questo suo compagno di conservatorio. Non perché più educati (alcuni non lo erano), ma perché somigliavano alla musica che suonavano. Non volevano essere di esempio per nessuno e non importava loro nulla di essere imitati e questo perché avevano dovuto lottare con la pretesa, di molti attorno a loro, che vivessero imitando qualcun altro.
Erano uomini liberi, nel senso più “basso” del termine, cioè uomini che avevano lottato per fare nella vita quello che avevano voglia di fare, senza farsi mettere i piedi in testa da chi avrebbe voluto che fossero come Beethoven, come Mozart, come Liszt, come qualcun altro. Avevano dovuto impegnarsi per essere se stessi.
Adesso sono morti e sono parte della storia della musica e rischiano di diventare il monumento di se stessi e il tormento della vita di qualcun altro, perché molti li indicano come esempio da seguire per avere successo.
Ma lui, Bollani, in questo libro non ha voluto “pietrificarli”, ma ha voluto mostrare il legame tra la loro musica e la loro vita. Lo spiega così: «Non ho voluto farne un monumento. Un monumento è una erezione senza sfogo. I monumenti non vanno da nessuna parte, sono fatti di marmo e quindi possono solamente crollare, non è che hanno un’altra possibilità. Non hanno un possibile futuro. Non servono a nulla se non a fare diventare di marmo una persona che invece era una persona viva che aveva scritto musica con entusiasmo e passione e non per raccontare ai posteri che cosa bisogna ascoltare e cosa no, oppure qual è la vera musica e quale no».
C’è un senso più alto della parola libertà, lo so, ed è legata al bene. Ma “ciò che è in alto non si regge senza ciò che è in basso” e io credo che qui stia la sostanza dell’elogio del “freddo” che sta nei versetti dell’Apocalisse: nell’indicare che solo chi vive questa libertà bassa, piccola, potrà un giorno capire, davvero, con molta fatica, cosa voglia dire la parola “amore”.
Se è vero che è la verità a rendere l’uomo libero, è dovere di verità “somigliare alla musica che si suona”. E’ una cosa, questa, che ha sempre conseguenze importanti nella propria vita e nella vita degli altri, e non tutte piacevoli. E’ una vita di lotta e non di abbandono alla volontà di altri su di te … o alla “volontà di Dio”.
La “volontà di Dio” … così parlavano di Beethoven nei conservatori che frequentava Bollani, come se fosse Dio. E quindi “odiare” Beethoven, o qualche sua musica, era come bestemmiare. A ribellarsi a questa “volontà di Dio” si diventa scomodi, nei conservatori e ovunque.
Io ho capito una cosa, di non avere letteralmente idea di cosa un altro debba fare nella vita e anche sulla mia di vita ho qualche dubbio se alzo gli occhi e mi penso tra dieci anni. Non ho piani da seguire, progetti da disegnare, obiettivi da raggiungere, se non quello di provare a fare, sul serio quello che ho voglia di fare. E quello che ho voglia di fare a molti dispiacerà e, forse, mi farà male.
E anche a Gesù non è che importi molto delle mie scelte di vita, le lascia a me. Ma non come se fossi solo al mondo. Dalla mia scelta non dipende la sua scelta di starmi vicino e, starmi vicino, non sarà sempre facile. Vorrebbe che non mi facessi male, come mia madre, questo sì. Ma sono adulto, ho i miei talenti e ho diritto a usarli come meglio credo, sopportando le conseguenze delle mie scelte.
Qualcosa invece ho capito sulla vita che lui vuol vivere con me. Sulla volontà che Dio ha sulla sua vita.
Ho capito che vuole starmi vicino finché io lo vorrò. Vuole starmi vicino quando esco di casa, per esempio, a fare quel cazzo che mi pare, però sapendo che qualsiasi torto possa ricevere, qualunque cattiveria mi possano dire, qualunque dolore mi possano procurare, qualunque peccato o errore io possa commettere, io ho un modo per rasserenarmi e un luogo per piangere o per ridere. Mi vorrebbe bastare con la sua semplice presenza, senza dire una parola.
E’ un desiderio che conosco, perché è un desiderio che ho.

Ecco il video integrale dell’incontro con Stefano Bollani presso l’Istituto italiano di cultura di Parigi