FaroDiRoma – Francesco in missione di pace. Il viaggio in Georgia e Azerbaigian
Papa Francesco partirà venerdì prossimo per un viaggio che lo porterà in Georgia e Azerbaigian, cioè nel Caucaso.
Bosnia, Armenia, Corea del Sud, Albania, Turchia, Sri Lanka, Ecuador, Lesbo, Lampedusa, Caucaso. Tolte un paio, se fossi un’agenzia di viaggi queste non sarebbero le prime tappe che consiglierei per un viaggio di piacere. Non è questione di bellezze naturali ma di bruttezze umane.
Noi uomini abbiamo fatto di posti meravigliosi, di popoli ricchi di cultura, luoghi di guerra, di dopoguerra, di povertà, di divisioni, di emigrazione, di immigrazione, di divisioni politiche, sociali, religiose, insomma ne abbiamo fatto le “periferie” del mondo.
Papa Francesco ci parla spesso di periferie, di come noi cristiani siamo chiamati ad uscire, ad andare, a non aver paura, a non fare quelli del recinto, quelli dell’unica pecora pettinata con le altre 99 così fuori che non le vediamo e non le sentiamo più. Ce ne ha parlato spesso e con i suoi viaggi ce lo fa vedere. Borsa nera in mano e via. Le periferie sono lontane. Metaforicamente e no.
Per andarci bisogna muoversi, lasciare casa, lasciare ciò che si conosce e andare. Metaforicamente e no. Cosa farà Papa Francesco in questo viaggio?
“Il Papa porta un messaggio di riconciliazione per tutte la regione”. Le parole del direttore della Sala stampa vaticana, Greg Burke, sintetizzano così il senso ‘politico’ del viaggio che papa Francesco farà nuovamente, da venerdì a domenica prossimi, nelle Repubbliche ex sovietiche del Caucaso, in particolare in Georgia e Azerbaigian, seconda tornata del suo tour nell’area dopo la visita del giugno scorso in Armenia.
Sarà un viaggio di pace, questo è certo, e la pace si fa andando in guerra. Non puoi mettere pace se non sporcandoti con la polvere dei posti dove c’è la guerra. Non basta parlare di pace, non basta neanche predicarla. Devi andare lì dove la pace non c’è, lì dove si sono firmati i trattati di pace, perché i propositi di pace fermano la guerra ma la pace è un’altra cosa. La pace non è “semplice” assenza di guerra, la pace non è una tregua, la pace è l’unico terreno buono di ogni parabola del vangelo. La pace è feconda e nutre. È inutile avere semi buoni se non hai un terreno buono. La pace porta terra buona e il Papa va lì per quella terra. Le parole e i modi li sentiremo da venerdì.
“Io parlerò agli azeri della verità, di quello che ho visto, di quello che sento. E incoraggerò anche loro. Io ho incontrato il presidente azero e ho parlato con lui. E dirò anche che non fare la pace per un pezzettino di terra – perché non è una gran cosa – significa qualcosa di oscuro… Ma lo dico a tutti, questo: agli armeni e agli azeri. Forse non si mettono d’accordo sulle modalità di fare la pace, e su questo si deve lavorare”.
Mi piace questo parlare di una verità fatta di quello che “ho visto e che sento”. Perché per testimoniare la Verità bisogna avere occhi e orecchie che ci dicono e ci fanno vedere la verità che è la realtà. Perché per testimoniare la verità bisogna incontrarsi con l’altra parte. Perché parlare fa di due parti avverse, due parti. E bisogna essere almeno in due per fare la pace.
Papa Francesco ha anche molto apprezzato la mediazione esercitata recentemente da Mosca: “Sono stato anche molto contento, la settimana scorsa, quando ho visto una fotografia del presidente Putin con i due presidenti armeno e azero: almeno si parlano”, aveva detto sempre di ritorno da Erevan. “Almeno si parlano”: la speranza è una virtù che nasce piccola. Nasce in chi ci crede. Nasce da chi riesce a gioire di un “… almeno si parlano”.
“È la prima volta che una delegazione lì in Georgia parteciperà alla Messa del Santo Padre. E anche il Patriarca sarà all’aeroporto quando il Papa arriverà”, ha spiegato ancora Burke in un briefing con i giornalisti al seguito, per sottolineare il valore ecumenico della tappa a Tbilisi – in un paese a maggioranza ortodossa, dove i cattolici sono l’8 per cento di una popolazione di cinque milioni di persone – e dell’incontro con Ilia II, catholicos e patriarca di tutta la Georgia, primate della Chiesa apostolica autocefala ortodossa georgiana. In Azerbaigian, poi, dove i cattolici sono poche centinaia, è centrale la dimensione del dialogo interreligioso. Momento forte a Baku sarà infatti la visita alla moschea e l’incontro con lo sceicco dei musulmani del Caucaso. E così si capisce che questo viaggio in periferia sarà un grande viaggio. È fatto per l’8% di una popolazione di cinque milioni di persone ma sarà un grande viaggio. Un grande viaggio per una pecora. Una pecora che ha smarrito la pace e che si trova all’altro capo del mondo, all’altro capo del recinto.
Perché per un cattolico il recinto è il mondo.