Articoli / Blog | 30 Agosto 2016

FaroDiRoma – Terremoto. Anche Roma piange i suoi morti

La notte di mercoledì 24 agosto, quando qui a Roma alle 3.36 ci siamo svegliati tutti per la scossa del terremoto che aveva scosso i nostri letti, fatto oscillare i lampadari, fatto cadere qualche quadro, dopo qualche minuto di spavento abbiamo tirato un sospiro di sollievo capendo che tutto ciò che stava succedendo, non ci riguardava davvero perché avveniva lontano.

Poi, la mattina, ci siamo accorti che ci stavamo sbagliando. Non perché la mattina ci fossimo scoperti più generosi ed altruisti di quando eravamo a letto ma perché il terremoto era accaduto a pochi chilometri da noi. Ora che gli elenchi dei colpiti dal sisma sono ufficiali, chiunque può controllare quanto sia frequente la dicitura “Roma”: un’ottantina di volte. E in queste ore i loro funerali si stanno svolgendo nelle parrocchie romane. Nella mia, san Giovanni Battista in Collatino a Casalbruciato, questa mattina. La notte di mercoledì è morta ad Amatrice una signora che conoscevo, una che veniva spesso a messa. Questa mattina c’erano con lei – la sua salma – i parenti più stretti, quelli che erano rimasti sepolti con lei sotto le macerie e che non hanno più sentito la sua voce.

Per Roma, il terremoto del Centro Italia è stato un terremoto diverso da tutti gli altri perché ha ucciso e ferito, nel corpo e nell’anima, anche tanti romani. Oggi la Chiesa era colma. Senza telecamere e giornalisti; senza politici e nomi importanti. Tra di noi. Ed era ancora meglio.

Chi a Roma ha paragonato le foto di Amatrice distrutta ad una scena di guerra, non lo ha fatto per i film. È chi di fronte alle case sbriciolate ha rivissuto i rumori, gli odori, il dolore, dell’ultima guerra: a Roma c’è chi se la ricorda. C’è chi si ricorda le bombe su Roma, quelle delle famose foto con Pio XII.

Tra di noi romani c’è chi ha raccontato di essere sceso in strada ed aver pensato che sembrava una guerra. In queste ore a Roma, sono io a rivivere una situazione di guerra, e non per colpa dell’Isis. Praticamente a Roma, oggi, ogni quartiere ha il suo lutto firmato “terremoto”. Come in guerra quando ogni famiglia aveva il suo caduto.

Ieri qui vicino c’era stato il funerale di una coppia di coniugi. Erano gli storici titolari di un bar di quartiere, di quelli con la pizza bianca da 50 centesimi già pronta e incartata sul bancone alle 7.30, la pizza che intere generazioni di ragazzi passavano a comprare “al volo” per la merenda a scuola.

Una mia conoscente sta aspettando il funerale del marito di un’amica, lei però sta bene. Venivano dall’America ogni anno per passare gli ultimi giorni di agosto con la madre di lui e sono andati ad Amatrice. Perché Amatrice non era un paese fantasma. Era il punto centrale, di riferimento, per le piccole frazioni che gravitavano tutte intorno ed era anche il luogo delle origini di tante famiglie romane che appena potevano ritornavano lì. Meglio di chiunque dice la vicinanza la culinaria. Uno dei piatti romani per eccellenza è lo spaghetto all’amatriciana: lo servono le trattorie romane quando il turista chiede qualcosa di tipico. A tavola si capisce se si è uniti e così a tavola si capisce che Amatrice è vicino Roma. Non “era vicino”: è, anche se ora non c’è più nulla.

Tranne pochissimi, quasi tutti i romani “puri” vengono da luoghi come Amatrice e le altre frazioni distrutte dal sisma.

Mentre alla TV si celebrano i funerali “ufficiali” tra le macerie, a Roma, da giorni, ci sono i funerali “normali”. Quelli delle famiglie normali che si riuniscono nelle parrocchie normali dei quartieri. Intorno ai loro cari. Con pianti normali, senza riflettori e politici.

Vai in un negozietto e chiedi se qualcuno conosce qualcuno che stava ad Amatrice. E scoprirai di sì: che era appena venuto via o stava andando a trovare qualcuno.

La Roma capitale, forse, dimenticherà i terremotati, come avvenuto già tante volte. Ma i romani no. Il terremoto delle Marche è stato anche il terremoto di Roma. Il terremoto dei romani.

Tratto da Faro di Roma