MIO n. 32/Un prete per chiacchierare – Il bisogno di lavorare
Mauro Leonardi (Como 1959) è sacerdote dal 29 maggio 1988 e abita a Roma presso l’Elis centro di formazione per la gioventù lavoratrice sito accanto alla parrocchia di san Giovanni Battista in Collatino. È cappellano del Liceo dell’Accoglienza Safi Elis. Da anni pubblica racconti, articoli, saggi e romanzi. Scrive su internet su The Huffington Post e su ilsussidiario.net. Il suo blog si chiama Come Gesù. Il compenso per la rubrica, questa settimana va a una famiglia povera del quartiere di Casalbruciato (Roma) che ha bisogno di indumenti. Il ricavato di questo numero va ad una anziana signora che ne ha bisogno per la spesa alimentare quotidiana
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Carissimo don Mauro, da più di due anni ho perso il lavoro. Ho fatto altri lavori, ma non sono stato pagato. Ho provato tutte le strade, ma quando si ha la mia età (61 anni), si trovano solo le porte chiuse. Ti fanno perdere la dignità, ti fanno sentire un fallito, un niente.
Michele, Trepuzzi (Lecce)
Carissimo Michele, la tua storia non ha bisogno di una risposta ma di un lavoro. E io non ho né la prima né la seconda. Anche io vivo tra i miei affetti questo dolore che tu descrivi così bene e altrettanto bene conosco il senso di impotenza che si prova nel non poter aiutare persone che come te chiedono di vivere da uomini. Posso solo dirti che ho visto aprirsi porte lì dove tutto sembrava chiuso e disperato. Continua a chiedere, a proporti, a cercare e scusa se le mie parole sono inadeguate perché sono solo parole. Il Papa dice che la disoccupazione è frutto dell’idolatria del denaro, e io penso che abbia ragione. Significa che molti imprenditori, che potrebbero investire e dare lavoro, preferiscono speculare e usare il proprio denaro per arricchire ancora invece che creare occasioni di impiego. Dobbiamo cercare di far cadere questa idolatria ma è molto radicata e diffusa, per cui i risultati tardano a vedersi.
Caro don Mauro,
io non approvo che i sacerdoti in genere diano la comunione nelle mani dei fedeli. Non mi pare bello, anzi, le dirò che mi pare sacrilego…
Beatrice, Fermo
Beatrice buon giorno. Dare la Comunione in mano non è “sacrilego” perché è permesso dalla Chiesa. L’Eucarestia si può ricevere direttamente in bocca stando in ginocchio o in piedi, oppure in mano. Io rispetto le diverse sensibilità e distribuisco la comunione come mi chiedono i fedeli perché così mi dice di comportarmi chi ha autorità nella Chiesa. Sacrilega è la parola o il gesto con cui offendiamo il nome o le “cose” di Dio e quindi sacrilego è tutto ciò che offende Dio. Dio è Amore, è Padre. Tutto ciò che sporca volontariamente, per deturpare, questo amore, questo legame, è sacrilego. La Cei ha stabilito con un indulto che si possa dare la comunione in mano, per cui distribuirla così non è sacrilego. Oltretutto, con le mani accudiamo i nostri cari, ci accarezziamo, prepariamo il cibo e lavoriamo. Con le mani, quindi, alcuni di noi, prendono Gesù per metterlo in bocca. Io non sono di quelli che fanno una campagna a favore di una cosa piuttosto che di un’altra: visto che ci sono diversi modi possibili io li rispetto tutti. Che dire della comunione in mano? Io ci vedo un gesto quotidiano: Gesù è nelle mie mani come è nella mia vita. Se nel cuore c’è un intento sacrilego lo sa Dio.
Gentile don Mauro,
mio nipote è sempre al computer, anche quando viene a trovarmi o col computer portatile o con un altro più piccolo che si chiama tablet. Io gli dico che non va bene, perché ha perso i suoi amici, ma lui dice che ne ha tanti digitali. Ma in che mondo viviamo?
Nonna Nives, Cles (Trento)
Buon giorno Nonna Nives. È bello che tuo nipote stia con te e che parliate del suo mondo, mondo in gran parte anche digitale. Internet non è un mostro ma uno strumento grandioso di conoscenza e condivisione. Ripeto: è uno strumento. Fa parte di te nonna e dei suoi genitori e di tutti noi adulti, educare ed educarci all’uso di questo strumento. Viviamo in un mondo che abbiamo costruito noi, noi dobbiamo abitarlo e renderlo vivo. Internet serve per avere e mantenere relazioni ma la qualità e la “veracità” di quelle relazioni sono sempre nella nostra carne, nella nostra quotidianità.