La Rivista del Clero Italiano, Aristide Fumagalli – La «via caritatis» Sul capitolo ottavo di «Amoris Laetitia»
Il numero 7/8 2016 de La Rivista del Clero Italiano 2016 dedica un lungo saggio di Aristide Fumagalli al cap. VIII di Amoris Laetitia.
Aristide Fumagalli è membro del comitato di redazione della Rivista del Clero Italiano e docente di teologia morale nel seminario e nella facoltà teologica di Milano. La Rivista del Clero Italiano è edita dall’Università Cattolica di Milano ed è diretta da tre vescovi: Franco Giulio Brambilla, Gianni Ambrosio e Claudio Giuliodori. Il primo, già docente di punta della facoltà teologica di Milano, è dal 2011 vescovo di Novara. Il secondo, specialista in sociologia della religione, è vescovo di Piacenza. E il terzo è attualmente assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica. Direttore responsabile della rivista è il biblista Bruno Maggioni. Coordinatore esecutivo è Aurelio Mottola. E nel comitato di redazione figurano personalità di spicco della teologia e della cultura cattolica, come PierAngelo Sequeri, Mauro Magatti, Armando Matteo, Massimo Naro, Giovanni Cesare Pagazzi, Gian Luca Potestà, Saverio Xeres, Giuliano Zanchi.
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Dedicato ad Accompagnare, discernere e integrare le fragilità, il capitolo VIII di Amoris Laetitia tratta il tema più dibattuto e controverso affrontato nella duplice assise sinodale. Esso ha calamitato ben presto l’attenzione della stampa ma anche quella di pastori e fedeli che da tempo attendevano una parola nuova a proposito della disciplina delle ‘irregolarità’ matrimoniali. L’intervento di don Aristide Fumagalli,
docente di Teologia morale presso il Seminario di Venegono e la
Facoltà Teologica di Milano oltre che membro della Redazione, offre
qui un’attenta e calibrata ermeneutica del capitolo, situandolo nel
contesto dell’Esortazione, del magistero di Francesco e dei due precedenti
pontefi ci. In questa prospettiva il criterio più adeguato per
interpretare il discreto riferimento del testo riguardo l’accesso ai
sacramenti dei fedeli divorziati risposati sembra essere quello di collocarlo nella logica del discernimento, la ‘porta stretta’, che sola può condurre a percorrere, in verità, il cammino dell’amore cristiano.
«L’indicazione dell’esigente via del discernimento particolare invece
che quella della normativa generale non è l’abdicazione di Francesco
alla sua autorità magisteriale, ma il coinvolgimento nel cammino della
Chiesa della responsabilità di tutti: dei fedeli interessati, che dovranno
interrogarsi in coscienza circa la loro situazione matrimoniale;
degli operatori pastorali, che li accompagneranno nel cammino di
maturazione personale; dei presbiteri con cui condurranno il discernimento; dei Vescovi, cui compete di indicare gli orientamenti che
integrino, a benefi cio delle Chiese locali, l’insegnamento del papa».
L’autore elenca infi ne alcuni criteri orientativi, consapevole che il
processo aperto dall’Esortazione ha carattere profondamente innovativo. Esso va affi nato anche con la proposta di parametri che possano fungere da riferimento comune, soprattutto per i presbiteri, e favoriscano, pur nella singolarità dei processi di inculturazione, una certa omogeneità nella cura pastorale dei fedeli divorziati risposati.
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La disciplina della Chiesa cattolica circa i fedeli che vivono coniugalmente senza il sacramento del matrimonio, tipicamente nella semplice convivenza, nel matrimonio civile e, specialmente, in una nuova
unione coniugale dopo il fallimento di un precedente matrimonio
sacramentale, rappresenta da lungo tempo un ambito sofferto della
pastorale matrimoniale. La normativa stabilita da Giovanni Paolo II
nell’Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris Consortio (1981)
e ripetutamente confermata dal Magistero, sino ancora nell’Esortazione
apostolica post-sinodale di Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis
(2007), non ha sopito ogni interrogativo e posto fi ne alla discussione
ecclesiale. Non è un caso che il processo sinodale promosso da
Francesco e scandito dalla duplice Assemblea, straordinaria (2014) e
ordinaria (2015) del Sinodo dei vescovi sull’intero orizzonte contemporaneo delle sfi de, della vocazione e missione della famiglia abbia conosciuto proprio su questo tema le sue maggiori tensioni.
La disciplina delle situazioni cosiddette ‘irregolari’ è solo una delle
sfi de, e nemmeno la più decisiva della pastorale matrimoniale. «Oggi
– scrive Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris
Laetitia – più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture» (307)1,
cosicché «la pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale
devono essere prima di tutto una pastorale del vincolo, dove si apportino
elementi che aiutino sia a maturare l’amore sia a superare i
momenti duri» (211).
L’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia verte principalmente, come precisa il titolo completo, «sull’amore nella famiglia »2. La debita attenzione al capitolo ottavo3, dedicato alla fragilità delle situazioni matrimoniali, non corrisponde al miope intento di chi riduce la sua ricchezza al punto dell’accesso o meno dei divorziati
risposati alla comunione eucaristica, quanto piuttosto al desiderio di
considerare come quella ricchezza illumini i vissuti coniugali più accidentati e tribolati, nella consapevolezza che «spesso il lavoro della
Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo» (291)4.
Il punto focale
La nuova via pastorale prospettata al capitolo ottavo di Amoris Laetitia
per accompagnare, discernere e integrare la fragilità dell’amore matrimoniale è indicata come via caritatis. «In qualunque circostanza,
– afferma Francesco – davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via
caritatis» (306).
La via caritatis è, anzitutto, la via sulla quale «l’amore incondizionato
di Dio» (311) si fa prossimo a quanti sono «segnati dall’amore
ferito e smarrito» (291). La carità divina, riversandosi sulle fragilità e
le miserie degli amori umani, risalta come «misericordia “immeritata,
incondizionata e gratuita”» (297). In essa brilla «la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (311).
Sulla via caritatis la Chiesa esce per «annunciare la misericordia di
Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere
il cuore e la mente di ogni persona», cosicché «a tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno
di Dio già presente in mezzo a noi» (309).
L’annuncio della misericordia di Dio invita coloro che ne fanno esperienza
a «vivere di misericordia», cosicché la via caritatis diviene la strada
sulla quale la Chiesa accompagna i suoi «fi gli più fragili» (291).
La via caritatis non è un’altra via rispetto a quella che tutti i cristiani sono raccomandati di percorrere. Essa è, infatti, la via del comandamento nuovo di Gesù, che adempie ogni legge (cfr. Gal 5,14) e vale
per tutti: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli
altri» (Gv 13,34).
Per tutti i cristiani che vivono una situazione matrimoniale, l’unica
via caritatis si specifi ca come via caritatis coniugalis. Di essa Francesco offre un vivido ritratto nel capitolo quarto, meditando sulle caratteristiche
del «vero amore» decantato da San Paolo nel celebre inno alla
carità in 1Cor 13. Percorrendo la via della carità coniugale, i coniugi
inscrivono nel loro amore l’amore stesso di Cristo, amandosi l’un l’altro
e amando i loro fi gli come Cristo dona e chiede di amare.
La carità coniugale, in quanto via da percorrere è orientata, incammina
cioè in una precisa direzione, il cui punto focale è dato dal «matrimonio,
rifl esso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa». Così inteso,
il matrimonio si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società (292).
Come il faro di un porto che orienta la rotta dei naviganti, specialmente
nella tempesta (cfr. 291), questo «ideale pieno del matrimonio» è
irrinunciabile per la Chiesa, che mancherebbe di «fedeltà al Vangelo»
qualora lo proponesse con «tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo,
o un eccessivo rispetto» (307)5. D’altro canto, sempre proponendo la
«perfezione» e invitando a una «risposta più piena a Dio», la Chiesa,
mentre ritiene che «ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la
volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi fi gli» e della doverosità di accompagnarli «con attenzione e premura» (291).
Il cammino graduale
L’ideale pieno del matrimonio, dati i limiti e le fragilità della condizione storica, può essere vissuto solo incompiutamente dai coniugi, giacché il suo compimento è escatologico, in corrispondenza all’avvento
defi nitivo del Regno dei cieli. Lungo il corso della storia, il matrimonio, anche sacramentale, è solo un «segno imperfetto dell’amore tra
Cristo e la Chiesa» (72), una sua «analogia imperfetta» (73).
Stante il già e non ancora che caratterizza la storia della salvezza,
«nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta
per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità
di amare» (325). In questo senso, rispetto all’ideale pieno del matrimonio
nessuna situazione è perfettamente regolare e ogni situazione,
data la sua imperfezione, può essere detta «irregolare»6.
L’incompiutezza storica dell’ideale pieno del matrimonio corrisponde
alla storicità dell’essere umano, il quale «conosce, ama e realizza il
bene morale secondo tappe di crescita», e «avanza gradualmente con la
progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore
defi nitivo e assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo»
(295). Edotta dall’insegnamento di Giovanni Paolo II in Familiaris
Consortio, la Chiesa sa che quello umano è un «cammino graduale»,
che avviene all’insegna della «legge della gradualità» (n. 34). Il cammino umano verso il bene ideale implica «una gradualità nell’esercizio
prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di
comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive
della legge» (295).
Chiamata ad «accompagnare con misericordia e pazienza le possibili
tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno
per giorno», la Chiesa, pur «senza sminuire l’ideale evangelico del
matrimonio» e «benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della
strada», non rinuncia alla ricerca del «bene possibile» (308, che cita
Evangelii Gaudium 44).
Il discernimento del bene possibile
Nel cammino graduale verso l’ideale pieno del matrimonio, il bene
possibile, paragonabile al passo secondo la gamba di chi cammina,
non può essere stabilito da «una nuova normativa generale di tipo
canonico, applicabile a tutti i casi», ma esige «un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari» (300). E questo per almeno due ragioni.
La prima ragione è la necessità di ovviare all’indeterminazione
della norma generale rispetto al caso particolare. Richiamando l’insegnamento
di Tommaso d’Aquino, di gran lunga il teologo più citato,
Francesco ricorda che «quanto più si scende alle cose particolari, tanto
più si trova indeterminazione» (304). Il discernimento particolare
non è allora la deroga alla legge generale, ma il prolungamento dello
spirito della legge nella singolarità del caso, laddove la lettera non è
in grado di condurlo. La legge, infatti, insegna ancora Tommaso d’Aquino,
vale nella maggior parte dei casi, non dunque in tutti i possibili
(cfr. Summa Theologiae, I-II, 94, 4). Ciò non signifi ca che il discernimento pratico cui si è giunti in un caso particolare possa essere fatto valere come norma generale (cfr. 304).
La seconda ragione che accredita il discernimento particolare deriva
dal fatto che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono
essere diminuite o annullate» (302) da circostanze attenuanti e fattori
condizionanti. A tale riguardo la dottrina tradizionale della Chiesa insegna
che la responsabilità soggettiva nel corrispondere alle esigenze
oggettive del bene ideale indicate dalla norma generale è condizionata
da fattori che limitano la consapevolezza e la volontarietà.
Osserva papa Francesco:
Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa Cattolica si
esprime in maniera decisiva: «L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla
violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori
psichici oppure sociali » (n. 1735). In un altro paragrafo fa riferimento
nuovamente a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e
menziona, con grande ampiezza, l’immaturità affettiva, la forza delle
abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali (n. 2352). Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta (302).
La possibile limitazione dell’imputabilità e della responsabilità esige
di distinguere tra una situazione oggettiva di peccato e lo stato soggettivo di chi vi si trova7. Come insegna la dottrina morale tradizionale, l’oggettiva «materia grave» non è sufficiente per decretare il peccato
mortale, che per essere tale deve includere le condizioni soggettive
della «piena avvertenza» e del «deliberato consenso». In base a queste
distinzioni si deve ammettere che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di
Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di
carità (305).
L’imputabilità soggettiva di una situazione oggettiva non può prescindere
dalla coscienza personale degli interessati. Proprio riferendosi
ad alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la concezione
matrimoniale della Chiesa, papa Francesco afferma che «la coscienza
delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa».
Constatando che «stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli»,
egli ricorda che «siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere
di sostituirle» (37). Il servizio dei pastori, allora, è quello di «incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata», che possa riconoscere «non solo che una situazione non risponde obiettivamente
alla proposta generale del Vangelo», ma anche con sincerità e onestà ciò che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa
sicurezza morale quella che è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in
mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente
l’ideale oggettivo (303).
La pratica del discernimento
Il discernimento dei casi particolari, evitando di credere che «tutto sia
bianco o nero» e identifi cando piuttosto «gli elementi che possono favorire
l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale» (293), aiuta
a «trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i
limiti» (305). A benefi cio di tale ricerca va ricordato che «un piccolo
passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio
della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza
fronteggiare importanti diffi coltà» (305 = EG 44).
Al contempo personale e pastorale, il discernimento ha il suo luogo
concreto e proprio nel «colloquio» dei fedeli col sacerdote «in foro
interno» (300). Lo statuto dialogico del discernimento permette agli
uni di «comprendere meglio quello che sta succedendo e […] scoprire
un cammino di maturazione personale» e all’altro di «entrare
nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto
di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella
Chiesa» (312).
Nel colloquio in foro interno, ai presbiteri compete di «accompagnare
le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento
della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo», e ai fedeli di «fare un esame di coscienza, tramite momenti di rifl essione e di pentimento».
A tale proposito, Francesco indica alcuni criteri paradigmatici:
I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro fi gli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi
di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali
conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità
dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al
matrimonio (300).
La buona pratica del discernimento richiede sia al sacerdote sia ai fedeli
gli «atteggiamenti fondamentali» di «umiltà, riservatezza, amore
alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà
di Dio e nel desiderio di giungere a una risposta più perfetta ad essa».
Senza queste necessarie garanzie, il discernimento soccombe al «grave
rischio» dell’individualismo pastorale del sacerdote e del soggettivismo
personale dei fedeli, suscitando l’idea che «la Chiesa sostenga
una doppia morale» (300), l’una pubblicamente dichiarata e l’altra
privatamente praticata.
Mirante «alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola
la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della
Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere» (300), il
discernimento non s’arresta all’individuazione di un singolo passo,
ma continua nell’indicare i successivi. Per questo motivo, «il discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di
crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in
modo più pieno» (303).
Il discernimento non si riduce a un atto istantaneo. Ciò esclude che
possa risolversi nella sola domanda del fedele che chiedesse di poter
accedere ai sacramenti, magari in occasioni particolari quali la prima
comunione di fi gli, e nella sola risposta del sacerdote che lo permettesse o lo escludesse. In questi casi, il sacerdote non può che rimandare alla necessità del discernimento condotto secondo i criteri indicati.
L’eventuale diniego cade sotto la responsabilità del fedele, il quale,
quanto meno, stante il primato della carità fraterna, «prima legge dei
cristiani» (306), deve comunque evitare comportamenti che arrechino
danno (scandalo) alla comunione ecclesiale.
Promuovendo il cammino sulla via caritatis, il «discernimento pastorale
carico di amore misericordioso» (312) evita la logica dell’emarginazione
e persegue, invece, la logica dell’integrazione misericordiosa
nella vita della Chiesa (cfr. 296), che, del resto, vale per «tutti, in
qualunque situazione si trovino» (297). Sorretta all’«architrave» della
misericordia, «la Chiesa non è una dogana» presidiata da «controllori
della grazia», ma «la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la
sua vita faticosa» (310). Persino per la persona che «ostentasse un
peccato oggettivo» vi è la possibilità, favorita dal discernimento pastorale,
di individuare «qualche maniera di partecipare alla vita della
comunità» (297).
Semplici convivenze e matrimoni civili
Benché rispetto all’ideale pieno del matrimonio ogni situazione sia in
qualche modo ‘irregolare’, il diritto canonico riserva tale qualifi cazione
alle situazioni matrimoniali dei battezzati che convivono more uxorio
senza il sacramento del matrimonio, non corrispondendo ancora,
come nel caso della semplice convivenza e del matrimonio civile, o
non più corrispondendo, come nel caso della nuova unione di chi fosse
già stato sposato sacramentalmente, all’insegnamento della Chiesa.
Nell’innumerevole varietà e concretezza di queste situazioni, talune
«contraddicono radicalmente» l’ideale del matrimonio cristiano, altre
«lo realizzano almeno in modo parziale e analogo» (292).
Nei confronti delle persone che si trovano nelle diverse situazioni
matrimoniali dette ‘irregolari’, papa Francesco, confortato dal consenso
generale dei Padri sinodali, sostiene che «compete alla Chiesa
rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita» (297).
Riconoscendo che la grazia di Dio tutti raggiunge e nessuno esclude,
la Chiesa affronta tali situazioni matrimoniali «in maniera costruttiva
», valorizzando quei «segni di amore che in qualche modo rifl ettono
l’amore di Dio» e cercando di trasformarli in «opportunità di cammino
verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del
Vangelo» (294).
Il discernimento delle situazioni matrimoniali dette ‘irregolari’
presenta aspetti differenziali nel caso dei semplici conviventi e degli
sposati civilmente piuttosto che nel caso dei divorziati civilmente in
nuova unione.
Il discernimento relativo ai semplici conviventi e agli sposati solo
civilmente deve considerare che la loro scelta «molto spesso non è
motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti» (294). In ogni caso, quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti
della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come
un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del
matrimonio (293).
Ciò che risulta possibile per i semplici conviventi e gli sposati solo
civilmente, non lo è per i divorziati in nuova unione, data l’impossibilità
di sciogliere il loro precedente valido matrimonio sacramentale8.
Il discernimento dei passi da compiere in questo caso rappresenta il
punto più delicato e controverso dell’Esortazione. Già il lucido insegnamento
di Benedetto XVI, del resto, riconosceva che non esistono
«semplici ricette»9.
Nuove unioni
Nella chiara consapevolezza che la nuova unione di divorziati «non è
l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia» (298),
il discernimento «deve sempre farsi “distinguendo adeguatamente”»
le «situazioni molto diverse» in modo che non siano «catalogate o
rinchiuse in affermazioni troppo rigide» (298).
Si deve infatti riconoscere, ad esempio, che «una cosa è una seconda
unione consolidata nel tempo, con nuovi fi gli, con provata fedeltà,
dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità
della propria situazione e grande diffi coltà a tornare indietro
senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe10. […] Altra
cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con
tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i
fi gli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha
mancato ai suoi impegni familiari» (298).
Accogliendo l’orientamento della maggioranza qualifi cata dei Padri
sinodali, papa Francesco prospetta chiaramente anche per i fedeli divorziati in nuova unione la «logica dell’integrazione» quale «chiave
del loro accompagnamento pastorale» (299).
L’integrazione secondo Familiaris Consortio
La logica dell’integrazione rispetto ai fedeli divorziati in nuova unione
non è una novità di Amoris Laetitia, dato che era già chiaramente
operante nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio, scriveva in
essa Giovanni Paolo II:
Insieme col Sinodo esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei
fedeli affi nché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto
battezzati, partecipare alla sua vita.
La partecipazione attiva alla vita della Chiesa, non solo dunque un’appartenenza
passiva, era esemplifi cata in Familiaris Consortio disponendo
che i divorziati risposati fossero
esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrifi cio della Messa,
a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle
iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i fi gli nella fede
cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di
giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si
dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza
(n. 84).
L’autorevole insegnamento di Familiaris Consortio, pur promuovendo
l’integrazione dei fedeli divorziati risposati nella vita ecclesiale, poneva
delle limitazioni. Essi, infatti, non erano ammessi ai sacramenti,
non solo a un nuovo sacramento del matrimonio, ma anche alla ricezione
degli altri sacramenti, in particolare il sacramento dell’Eucaristia
e della Riconciliazione. L’ammissione alla comunione eucaristica
e alla confessione sacramentale, per la verità, non era assolutamente
esclusa, ma vincolata a due condizioni: l’astenersi dagli atti propri dei
coniugi e l’evitare di arrecare ostacolo – «scandalo» nel linguaggio
proprio del diritto canonico – alla fede altrui. La disciplina stabilita
da Familiaris Consortio esigeva, inoltre, che i divorziati risposati non
assumessero compiti ecclesiali in ambiti richiedenti una particolare
testimonianza di vita cristiana: l’ambito liturgico (lettore, ministro
straordinario dell’Eucaristia); l’ambito pastorale (membro di consigli
pastorali); l’ambito educativo (catechista; padrino/madrina nei sacramenti
dell’iniziazione cristiana); l’ambito istituzionale (insegnante di
religione).
La maggiore integrazione di Amoris Laetitia
Rispetto ai limiti della disciplina di Familiaris Consortio, già il recente duplice Sinodo dei vescovi aveva maturato l’istanza che occorresse
«discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate
in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano
essere superate»11.
Francesco ha accolto l’istanza del Sinodo, ma non si è limitato a
confermarla, giacché ha precisato, in due punti di Amoris Laetitia, che
il discernimento circa la partecipazione dei fedeli divorziati risposati
alla vita della Chiesa può riguardare anche l’accesso ai sacramenti.
Il primo punto è quando il papa, riprendendo la constatazione
dei Padri sinodali circa il fatto che «il grado di responsabilità non è
uguale in tutti i casi», osserva che «le conseguenze o gli effetti di una
norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi» (300).
Precisando in nota questo criterio, papa Francesco afferma che esso
riguarda anche «la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è
colpa grave» (300, nota 336).
Il secondo punto è quando il papa rifl ette sull’eventualità che, «a
causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti», si possa non essere
(pienamente) colpevoli della «situazione oggettiva di peccato» in
cui ci si trova, e si possa, quindi, «vivere in grazia di Dio, […] amare,
e […] anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale
scopo l’aiuto della Chiesa» (305). Precisando la natura di questo aiuto,
Francesco afferma che «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto
dei sacramenti» (305, nota 351).
In entrambi i punti in cui l’integrazione dei fedeli divorziati
risposati contempla i sacramenti, Francesco cita due numeri di
Evangelii Gaudium, il 44 e il 47, riguardante l’uno il sacramento della
Riconciliazione e l’altro il sacramento dell’Eucaristia. Al n. 44, il papa
ricorda ai sacerdoti che «il confessionale non deve essere una sala di
tortura bensì il luogo della misericordia del Signore»; al n. 47, ugualmente segnala che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un
generoso rimedio e un alimento per i deboli».
Stante queste precisazioni, sembra chiaro che la disciplina pastorale
dei fedeli divorziati risposati preveda nuove possibilità concrete in
precedenza escluse, anche a riguardo dell’accesso ai sacramenti.
A conferma di questa lettura si possono addurre le parole con cui
Francesco, in sede di conferenza stampa, ha risposto ai giornalisti che,
date le opposte interpretazioni di chi sostiene che «niente sia cambiato
» e di chi invece sostiene che «molto sia cambiato», gli chiedevano
se «rispetto alla disciplina che governa l’accesso ai Sacramenti per i
divorziati e i risposati» vi fossero «nuove possibilità concrete, che non
esistevano prima della pubblicazione dell’Esortazione o no». La risposta
di Francesco, benché non categorica, non sembra lasciare margini
di dubbio: «Io potrei dire “si”, e punto. Ma sarebbe una risposta
troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che
ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro
della Congregazione per la Dottrina della Fede e conosce bene la
dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la
risposta»12.
Vero è che la via del discernimento, prolungata sino a contemplare
l’accesso ai sacramenti dei fedeli divorziati risposati, è solo accennata
in Amoris Laetitia e nemmeno nel corpo del testo, ma solamente in
due note. In questa forma dimessa si può forse cogliere la diffi coltà nel
fronteggiare le divergenti tendenze che Francesco, subito in apertura
di Amoris Laetititia, rinviene non solo nei «mezzi di comunicazione
o nelle pubblicazioni» ma «perfi no tra i ministri della Chiesa», divergenze che vanno da «un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza
suffi ciente rifl essione e fondamento, all’atteggiamento che pretende
di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni
eccessive da alcune rifl essioni teologiche» (2).
La spiegazione diplomatica, o più malignamente ‘gesuitica’ del perché
Francesco non sia stato più esplicito sul punto più rovente della
discussione sinodale, non sembra però la più appropriata. Si potrebbe
far notare, infatti, che la forma minimale del riferimento all’accesso
sacramentale di quanti vivono in nuova unione corrisponde al limitato
peso specifi co che, secondo Francesco, tale pur spinosa questione ha
nella gravità delle sfi de contemporanee sulla famiglia13.
La logica del discernimento
Il criterio più adeguato per interpretare il discreto riferimento ai sacramenti a riguardo dei fedeli divorziati risposati sembra però essere
quello di collocarlo nella logica del discernimento, il quale non corrisponde immediatamente alla generica domanda «si può, non si può»,
ma commisura la disciplina pastorale al grado di maturazione della
responsabilità personale. L’ammissione dei fedeli divorziati risposati ad ambiti della vita cristiana sinora esclusi, e specialmente all’ambito
sacramentale, non è una nuova normativa canonica stabilita da
Francesco, ma l’eventuale esito di un cammino, frutto di discernimento
personale e pastorale.
Con quello che il card. Scola ha defi nito «il coraggio del cammino»,
implicante «il coraggio di contentarsi delle cose imperfette»14, papa
Francesco ha prolungato la strada dell’integrazione, indicando il sentiero
che può giungere anche sino all’ammissione ai sacramenti, senza
tuttavia disporre che esso possa essere riconosciuto e debba essere
percorso, necessariamente, da tutti.
Scontentando i paladini del ‘divieto di accesso’, come pure i fautori
del ‘via libera’, Francesco né ha murato, né ha abbattuto la porta
d’ingresso ai sacramenti per i divorziati risposati. Egli ha piuttosto indicato il discernimento come la «via angusta» e la «porta stretta» (cfr.
Mt 7,14) che sola può condurre a percorrere, in verità, il cammino
dell’amore cristiano (cfr. Mt 7,13-14).
L’indicazione dell’esigente via del discernimento particolare invece
che quella della normativa generale non è l’abdicazione di Francesco
alla sua autorità magisteriale, ma il coinvolgimento nel cammino della
Chiesa della responsabilità di tutti: dei fedeli interessati, che dovranno
interrogarsi in coscienza circa la loro situazione matrimoniale; degli
operatori pastorali, che li accompagneranno nel cammino di maturazione
personale; dei presbiteri con cui condurranno il discernimento;
dei Vescovi, cui compete di indicare gli orientamenti che integrino, a
benefi cio delle Chiese locali, l’insegnamento del papa.
Il magistero pastorale di Amoris Laetitia già contiene indicazioni
essenziali per la pratica del discernimento, che sembra tuttavia opportuno
integrare affi nché, soprattutto entro le Chiese locali, si eviti
l’eccessiva disomogeneità pastorale e si favorisca, invece, una maggior
comunione ecclesiale. Ciò non solo conforterebbe i presbiteri nell’esercizio del discernimento pastorale, ma favorirebbe nei fedeli interessati e nelle comunità cristiane la consapevolezza di un cammino che, doverosamente personale, non è tuttavia individuale, bensì ecclesiale.
Un suo valido risvolto pratico sarebbe quello di accreditare il discernimento condotto in foro interno con un presbitero anche presso altri presbiteri, con i quali i fedeli divorziati risposati venissero successivamente in contatto, analogamente a quanto avviene per l’esame del
consenso dei fi danzati (il cosiddetto ‘processicolo’) in vista della valida celebrazione del sacramento del matrimonio. Sembra opportuno,
quindi, riferire anche alla cura pastorale dei fedeli divorziati risposati
ciò che esplicitamente Amoris Laetitia stabilisce per la preparazione
dei fi danzati al sacramento del matrimonio e per i procedimenti di nullità matrimoniale, assegnando a ogni Chiesa locale il compito di meglio
discernere il modo migliore, tra i possibili, di realizzarli (cfr. 207).
Il coinvolgimento delle Chiese locali corrisponde, del resto, alla poliedricità della Chiesa universale, la quale non è un monolite uniforme,
ma un popolo multiculturale, il cui cammino comune non può essere
costretto entro uno medesimo percorso e uno stesso ritmo, ma va
accompagnato cercando «in ogni paese o regione […] soluzioni più
inculturate, attente alle tradizioni e alle sfi de locali. Infatti, «le culture
sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno
di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato» (3).
Suggerimenti pastorali
In vista di una pastorale condivisa, suggeriamo alcuni criteri che possano
fungere da riferimento comune, soprattutto per i presbiteri, nella
cura dei «fedeli divorziati risposati». A riguardo di costoro, è opportuno
premettere due precisazioni.
La prima precisazione è per ricordare che l’espressione «fedeli divorziati
risposati» non è la più appropriata e andrebbe precisata parlando
di «fedeli divorziati e risposati civilmente». Nella Chiesa cattolica,
infatti, il matrimonio sacramentale valido è sciolto solo dalla morte
di un coniuge e, senza tale eventualità, non è ammesso un secondo
matrimonio sacramentale. Indubbiamente, il divorzio e il nuovo matrimonio
civile di chi ha celebrato validamente il sacramento del matrimonio
sono rilevanti per valutare la vicenda coniugale dei fedeli.
Tuttavia, la vicenda civile del vincolo matrimoniale non coincide di
per sé con quella del vincolo sacramentale, dato che questo contempla
elementi specifi ci. Pertanto, pur impiegando, secondo l’uso comune
anche al magistero, l’espressione di «fedeli divorziati risposati» comprendiamo in essa anche i fedeli che, pur senza divorziare e risposarsi
civilmente, hanno interrotto la vita coniugale a seguito di un matrimonio
sacramentale e intrapreso una nuova unione more uxorio.
La seconda precisazione chiarisce che la cura pastorale dei fedeli
divorziati risposati, per quanto non possa e non debba prescindere
dal partner con cui vivono la nuova unione, è tuttavia rivolta a ciascun
singolo fedele, la cui imputabilità per il fallimento del precedente matrimonio e responsabilità nella costituzione della nuova unione è diversa da quella del partner. Emblematico è il caso in cui solo uno dei
due partner è stato precedentemente sposato con rito sacramentale,
mentre l’altro non lo è mai stato, cosicché solo uno dei due rientra
propriamente nella defi nizione – pur imprecisa come si è appena sopra
detto – di fedele divorziato risposato.
A seguito delle due precisazioni, suggeriamo quindi i criteri orientativi,
riferendoli alla triplice e connessa azione di accompagnare, discernere
e integrare, e rinviando, in nota, a citazioni corrispondenti di
Amoris Laetitia.
Accompagnare
L’accompagnamento dei fedeli divorziati risposati, senza sminuire
il valore dell’ideale evangelico, lascia spazio alla misericordia del
Signore, affi nché essi si sentano «oggetto di una misericordia “immeritata,
incondizionata e gratuita”» (297). A tale scopo è opportuno:
– Rassicurare i fedeli divorziati risposati circa la loro appartenenza
e partecipazione attiva alla vita della Chiesa15.
– Prospettare l’ideale pieno del matrimonio, corrispondente alla
dottrina della Chiesa sul matrimonio sacramentale16.
– Ricordare l’imperfezione (‘irregolarità’) di tutti nel vivere l’ideale
pieno del matrimonio e la gradualità di tutti nel perseguirlo17.
– Valorizzare il cammino, pur imperfetto e graduale, dei fedeli divorziati
risposati18.
Discernere
Il discernimento pastorale del sacerdote è a servizio del discernimento
personale dei fedeli divorziati risposati, affi nché essi prendano coscienza della loro situazione davanti a Dio, giudicando correttamente
gli ostacoli che impediscono una loro più piena partecipazione alla
vita ecclesiale e i passi che possono favorirla e farla crescere. Il discernimento
verte sul precedente matrimonio e sulla nuova unione, distinguendo adeguatamente la responsabilità personale e il bene possibile.
Circa il precedente matrimonio:
– Accertare la validità canonica, rinviando, eventualmente, alle
procedure per la dichiarazione di nullità.
– Verifi care l’irreversibilità o meno del fallimento.
– Valutare la responsabilità personale nei riguardi del coniuge, degli
eventuali fi gli, delle famiglie d’origine, della comunità cristiana19.
– Scongiurare, specialmente, l’irresponsabilità nei confronti dei fi gli20.
Circa la nuova unione:
– Valutare la responsabilità nei confronti del nuovo partner, degli
eventuali fi gli, delle rispettive famiglie d’origine, della comunità cristiana21.
– Considerare la consistenza morale della nuova unione.
– Verifi care l’impegno di vita cristiana.
Circa la responsabilità personale:
– Considerare le circostanze attenuanti e i fattori condizionanti22.
– Valutare lo stato soggettivo di peccato, più o meno grave, o di
grazia, più o meno vissuta23.
– Ponderare quale aiuto offerto dalla Chiesa meglio consenta il
cammino di conversione e di vita cristiana, contemplando l’eventuale
accesso ai sacramenti.
Integrare
Orientati dall’ideale pieno del matrimonio e coscienti della loro situazione e responsabilità davanti a Dio e alla Chiesa, i fedeli divorziati risposati devono essere il più possibile integrati nella vita della Chiesa.
A tale scopo è opportuno:
– Richiamare che la carità fraterna, prima legge dei cristiani, esige
che qualsiasi scelta personale eviti ogni scandalo alla fede altrui.
– Aiutare i fedeli divorziati risposati a trovare il loro modo proprio
di partecipazione alla vita ecclesiale.
– Sollecitare in tutti i membri della comunità ecclesiale l’assunzione
della logica della misericordia nei loro confronti.
Accompagnare i fedeli divorziati risposati, discernere il loro cammino,
meglio integrarli nella vita ecclesiale non è attività che si realizza
nel solo colloquio col sacerdote. Per quanto appropriato e necessario,
il colloquio in foro interno non è il luogo esclusivo della cura pastorale
dei fedeli divorziati risposati. A essa concorre la loro complessiva
vita di fede entro la comunità cristiana e, in particolare, i percorsi
che alcuni di loro, da vari anni, hanno compiuto accompagnati da
associazioni e movimenti ecclesiali, nonché dalle stesse Chiese locali.
L’ascolto di queste esperienze appare di essenziale importanza nell’indicazione
dei criteri ecclesiali che orientino la cura pastorale rivolta ai
fedeli divorziati risposati.
____________________
Note
1 I numeri tra parentesi si riferiscono al testo dell’Esortazione Amoris Laetitia.
2 Per una sintetica presentazione complessiva dell’Esortazione mi permetto di rimandare al mio articolo: La famiglia nella Amoris laetitia: il passo del Papa e il cammino della Chiesa, «Aggiornamenti Sociali», 56/06-07 (2016), pp. 467-477. Tra i primi commenti, più o meno diffusi, dell’intero documento segnaliamo: G. Dianin, Amoris laetitia. Famiglia: la parola torna alle comunità, «La Rivista del Clero Italiano», 97 (2016), 4, pp. 247-269; C. Giaccardi – M. Magatti, Introduzione. Una famiglia che ama, una Chiesa in cammino, in Papa Francesco, Amoris Laetitia. Esortazione apostolica sull’amore nella famiglia San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2016, pp. 5-24; A. Grillo, Le cose nuove di Amoris Laetitia. Come papa Francesco traduce il sentire cattolico (= Cantiere coppia), Cittadella, Assisi (PG) 2016; M. Gronchi, Amoris laetitia. Una lettura dell’esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2016; S. Noceti, Guida alla lettura della Esortazione Apostolica post-sinodale di papa Francesco Amoris Laetitia, in Francesco, Esortazione Apostolica sull’amore nella famiglia Amoris laetitia La gioia dell’amore, Piemme, Segrate (Mi) 2016, pp. 5-60; A. Scola, Prefazione. Il coraggio del cammino, in Papa Francesco, Amoris Laetitia. Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia, Centro Ambrosiano, Milano 2016, pp. 5-21; A. Spadaro, Amoris Laetitia. Struttura e signifi cato dell’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco, «La Civiltà Cattolica», 3980 (2016), pp. 105-128.
3 Il capitolo ottavo occupa 22 dei 325 numeri di Amoris Laetitia, che seppur integrati dai numeri che negli altri capitoli trattano del medesimo tema (al capitolo terzo i numeri 78-79 e al capitolo sesto i numeri 243.245-246), occupano solo poco più dell’8% dell’intero testo.
4 Al capitolo ottavo dedicano speciale attenzione i contributi di: B. Petrà, Amoris
laetitia. Un passo avanti nella Tradizione,«Il Regno – Attualità», 61 (2016), 8, pp. 243- 251; C. Torcivia, Criteri per una lettura pastorale del capitolo ottavo di Amoris laetitia, Elledici, Leumann (To) 2016.
5 L’impiego frequente in Amoris Laetitia della categoria di «ideale» per indicare la
pienezza e la perfezione del matrimonio merita di essere precisata, a scanso di equivoci. L’ideale pieno del matrimonio non è un’idea astratta sul matrimonio, tanto desiderabile quanto irrealistica, che può essere ammirata e anche perseguita, alla stregua però di un’utopia, che non ha luogo di realizzazione. L’ideale del matrimonio è invece la realtà concreta del matrimonio vissuto nella carità coniugale, vale a dire con quel «vero amore» con cui Cristo ama la Chiesa e che viene reso disponibile agli sposi nel sacramento del matrimonio.
6 «La mia grande gioia per questo documento sta nel fatto che esso coerentemente superi l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra “regolare” e “irregolare” e ponga tutti sotto La «via caritatis» l’istanza comune del Vangelo, secondo le parole di San Paolo: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!”(Rm 11,32)»: C. Schönborn, Conferenza Stampa per la presentazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale del Santo Padre Francesco Amoris laetitia, sull’amore nella famiglia, 8 aprile 2016 [https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/04/08/0241/00531.
html#sch].
7 Ho approfondito questo punto e le sue implicazioni per l’eventuale accesso ai
sacramenti dei fedeli divorziati risposati nello studio: Divorziati risposati e sacramenti.
Modificare la prassi, «Il Regno – Attualità», 60 (2015), 6, pp. 420-427.
8 «Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e
per nessuna causa, eccetto la morte» (CIC, can. 1141). Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli officiali e avvocati del Tribunale della Rota romana, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, 21 gennaio 2000.
9 Benedetto XVI, Discorso al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, Milano (2 giugno 2012), risposta 5, in Insegnamenti VIII, 1 (2012), p. 691.
10 «La Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione”. C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”» (298 che cita Familiaris Consortio 84).
11 Sinodo dei Vescovi – XIV Assemblea Generale Ordinaria, La vocazione e la missione
della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, Relazione fi nale, 84.
12 Francesco, Conferenza stampa durante il volo di ritorno da Lesbo (Grecia), 16 aprile 2016, [http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/april/documents/
papa-francesco_20160416_lesvos-volo-ritorno.html, accesso 13 giugno 2016]. La presentazione di Amoris Laetitia da parte del cardinale Schönborn non sembra, per la verità, aggiungere elementi a quelli già forniti nell’Esortazione.
13 Interrogato sulla ragione per cui abbia scritto «una cosa così importante in una piccola nota», se perché abbia «previsto delle opposizioni» o abbia «voluto dire che questo punto non è così importante», Francesco ha così risposto: «Uno degli ultimi
Papi, parlando sul Concilio, ha detto che c’erano due Concili: quello Vaticano II, che
si faceva nella Basilica San Pietro, e l’altro il ‘Concilio dei media’. Quando io convocai
il primo Sinodo, la grande preoccupazione della maggioranza dei media era: Potranno
fare la comunione i divorziati risposati? E siccome io non sono santo, questo mi ha dato
un po’ di fastidio, e anche un po’ di tristezza. Perché io penso: Ma quel mezzo che dice
questo, questo, questo, non si accorge che quello non è il problema importante? Non si
accorge che la famiglia, in tutto il mondo, è in crisi? E la famiglia è la base della società!
Non si accorge che i giovani non vogliono sposarsi? Non si accorge che il calo di natalità
in Europa fa piangere? Non si accorge che la mancanza di lavoro e che le possibilità
di lavoro fanno sì che il papà e la mamma prendano due lavori e i bambini crescano
da soli e non imparino a crescere in dialogo con il papà e la mamma? Questi sono i
grandi problemi! Io non ricordo quella nota, ma sicuramente se una cosa del genere è
in nota è perché è stata detta nell’Evangelii gaudium. Sicuro! Dev’essere una citazione
dell’Evangelii gaudium. Non ricordo il numero, ma è sicuro» [http://w2.vatican.va/
content/francesco/it/speeches/2016/april/documents/papa-francesco_20160416_
lesvos-volo-ritorno.html, accesso 13 giugno 2016).
14 A. Scola, «Prefazione. Il coraggio del cammino», in Papa Francesco, Amoris Laetitia.
Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia Centro Ambrosiano,
Milano 2016, pp. 5-21: 5.
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La Rivista del Clero Italiano
Aristide Fumagalli
15 «Ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte
della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano
sempre la comunione ecclesiale» (243). «Essi non solo non devono sentirsi scomunicati,
ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una
madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel
cammino della vita e del Vangelo» (299).
16 «Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale
più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano» (307). «I presbiteri hanno il compito di «accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento
secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo» (300).
17 «Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare» (325).
18 «“Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti
diffi coltà”. La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare
propria questa realtà» (305).
19 «I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione;
come è la situazione del partner abbandonato» (300).
20 «Al di sopra di tutte le considerazioni che si vogliano fare, essi sono la prima preoccupazione, che non deve essere offuscata da nessun altro interesse o obiettivo.
Ai genitori separati rivolgo questa preghiera: “Mai, mai, mai prendere il fi gli come ostaggio! Vi siete separati per tante diffi coltà e motivi, la vita vi ha dato questa prova, ma i figli non siano quelli che portano il peso di questa separazione, non siano usati come ostaggi contro l’altro coniuge, crescano sentendo che la mamma parla bene del papà,benché non siano insieme, e che il papà parla bene della mamma”. È irresponsabile rovinare l’immagine del padre o della madre con l’obiettivo di accaparrarsi l’affetto del figlio, per vendicarsi o per difendersi, perché questo danneggerà la vita interiore di quel
bambino e provocherà ferite diffi cili da guarire» (245).
21 «I divorziati risposati dovrebbero chiedersi […] quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio» (300).
22 «Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande diffi colto nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa» (301).
23 «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (305