L’Huffington Post – La Gmg di Cracovia dia una risposta di libertà al sangue di Rouen
Questa volta è diverso. La Gmg a Cracovia è in corso e l’omicidio per sgozzamento di padre Jacques Hamel a Rouen si abbatte su milioni di famiglie cattoliche e le interpella direttamente come mai prima d’ora.
Alla precedente kermesse, quella di Rio de Janeiro, avevano partecipato circa tre milioni e mezzo di persone: altrettante o forse più se ne attendono in questi giorni in Polonia. La fase culminante sarà a fine settimana, ma già ora sono centinaia di migliaia i ragazzi che si trovano lì. Perché Rouen sì e Cracovia no? Con questa domanda si tormentano le famiglie dei 90.000 giovani italiani che sono lì. Improvvisamente è come se i nostri figli, moltissimi dei quali minorenni e adolescenti, fossero tutti al Bataclan, a Nizza, a Orlando.
Se già dopo un anno come l’ultimo, mandare i propri figli all’estero era un azzardo ora, con il sangue di Rouen ancora fresco sull’altare, la tentazione per moltissimi genitori di mandare un whatsapp per richiamare i figli in Italia subito, prima di subito, è fortissima. Una signora mi dice che da qualche ora chiamare in Polonia e non riuscire a parlare con la figlia non è più solo irritante ma è un presagio, un incubo. Sappiamo come sono le madri. Se la figlia non risponde, e perché è stata rapita lei o il cellulare o entrambe le cose. Se il cellulare è spento è perché è morta. Ma, dopo Rouen, non è più una barzelletta sulla madre italica. Adesso il cattolico italiano, quello che è rimasto in Italia ma ha i figli in Polonia, per la prima volta vede l’Isis come un pericolo vicino.
Se una Messa di un giorno feriale in un paesino diventa luogo di martirio, cosa accadrà a Cracovia con milioni di persone più il Papa? So io cosa bisogna fare, dice un papà: chiamo mio figlio e lo faccio rientrare immediatamente. Lo capisco. È la prima opzione, la più immediata e logica. Però io non farei così. Io direi a questi ragazzi di decidere da se stessi cosa fare. Spiegherei bene il pericolo in cui si trovano e direi loro che se tornano in Italia non sono vigliacchi. Ma la verità è che i nostri figli sono in una situazione in cui nessuno li può proteggere, a meno di tenerli in casa tutta la vita. Uno degli assassini aveva il braccialetto elettronico al polso. Significa che non riusciamo a difenderci neppure dai sorvegliati speciali.
Per i nostri giovani questo, tra pochissimo, sarà il loro mondo. Devono essere e sentirsi liberi su come affrontarlo. Devono sapere che improvvisamente la festa cui si sono iscritti ha assunto toni gravi, seri, pericolosi. Ma poi devono decidere da soli: non sono vigliacchi quelli che tornano in Italia, non sono eroi quelli che rimangano. Ciascuno agisca in coscienza. Non sono padre ma sono prete e ho in Polonia tanta gente carissima. Da qualche ora, sono tutti un immenso bersaglio vivente. Guardo i video su YouTube, su whatsapp e facebook. Stanno in gruppo, in luoghi affollati, sono vestiti all’occidentale, fanno rumore, cantano e ballano e pregano. Sono nel luogo più affollato del mondo, sono sotto i riflettori e in più arriva pure Papa Francesco. Bingo. Perfetto. Sono il decalogo vivente di ciò che non bisogna fare con l’Isis. Pensare al martirio è facile quando è impossibile. È difficilissimo se riguarda tuo figlio.
Quei giovani devono decidere loro che fare della loro vita. È terribile. Piango all’idea. E prego. Mi unisco a tutti quelli che vogliono piangere e pregare e lascio che i giovani decidano. Non sono vigliacchi quelli che tornano, non sono eroi quelli che rimangono. Non sono eroi però sono liberi. E il futuro che voglio lo voglio come loro: libero. Un futuro che va, canta, sta insieme, si scambia panini e vita. Penso a quelli che conosco e ai figli di tutti. Non sono eroi però sono liberi. E coraggiosi. Perché il vero coraggio lo si ha da disarmati.
Tratto da Huffington Post