MIO – Intervista: Io, prete, ho visto la mia fede in crisi per tutto questo dolore
Don Mauro, il giorno dopo la strage di Nizza hai scritto un articolo sull’Huffington Post in cui dicevi che l’ultimo attentato in Francia aveva messo in crisi il tuo essere prete. Se vacilla la fede di un uomo di chiesa, dopo quello che è accaduto non solo in Francia, ma anche in Italia, con le 23 vittime dell’incidente ferroviario, come può la gente comune trovare un senso a quello che sta accadendo nel mondo?
La crisi è un momento necessario in ogni crescita: così necessario che il papa ultimamente, il 18 giugno 2016, ha detto “rischia! Chi non rischia non cammina. Se rimani fermo: quello è lo sbaglio, lo sbaglio brutto, la chiusura. Rischia”. Rischiare, essere in crisi, non è per me sinonimo di aver smarrito la strada ma significa farsi ferire da domande che sono nuove e che mi impongono di rivedere, alla loro luce, le mie convinzioni. Questa revisione – questa revisione di vita – se è vera, è “un rischio”. La coerenza cristiana è riconoscersi peccatori: è il contrario del pavoneggiarsi e credersi perfetto. In tal senso, sempre a Villa Nazareth, il Papa ha ammesso di provare ancora oggi il dubbio e lo scoraggiamento nella fede: “Un cristiano che non abbia sentito questo, alcune volte, per cui la fede non sia entrata in crisi, gli manca qualcosa: è un cristiano che si accontenta con un po’ di mondanità e così va avanti nella vita”.
I fatti di Nizza hanno fatto tracimare la mia fede oltre i bordi, gli argini, di quelle certezze che si formano negli anni. Gli argini proteggono ma anche tolgono libertà all’acqua che scorre. Poi succede qualcosa e tutto cambia, rompe, tracima. La fede è mistero, incontro, scontro. La fede tollera pochi argini. Prima o poi arriva la crisi, e quello in cui credi ti chiede più spazio, un nuovo sguardo, nuove parole. Credere in Dio è come credere nelle persone. Non credo a relazioni senza crisi. Se vivi davvero le relazioni, spesso gli argini che hai costruito non bastano più, è crisi. Ho scoperto che la mia fede è più grande della mia capacità di comprendere, accettare, amare. Per ora sono sopraffatto. Ora sto vivendo uno dei Suoi momenti di stanchezza, uno dei momenti in cui gridava e si arrabbiava e poi si ritirava a pregare e a riposare. Dio mio perché mi hai abbandonato: è una preghiera. In questi giorni mi sento custodito e chiamato a stare ancora di più con Lui. Con i miei argini sopraffatti.
Nella rubrica che tieni settimanalmente su MIO hai sempre scritto, in risposta ai lettori che te lo chiedevano, di non criminalizzare l’Islam. Dopo Nizza, molti hanno ricordato le parole di Oriana Fallaci, nel suo “La rabbia e l’orgoglio” che metteva in guardia sulla trasformazione dell’Europa in Eurasia, rivelandosi purtroppo profetica. Dopo gli ultimi fatti, hai rivisto la tua posizione?
Credo si tratti di due momenti diversi. Oriana Fallaci ha descritto i fatti che ora stanno accadendo. Io non nego quei fatti: chiedo di non criminalizzare l’Islam guardando i fatti nella loro interezza. A Nizza è morta anche Fatima Charrihi, che indossava il velo e praticava l’Islam moderato: quello vero, secondo molti esperti. A Dacca, Faraaz Hossain era mussulmano ed è morto torturato perché ha voluto difendere le sue due amiche, pure musulmane, che erano vestite all’occidentale. Non criminalizzare l’unica chiave di lettura per comprendere e per dare soluzione all’attuale crisi mondiale. Come il mondo occidentale non è formato solo da corrotti, così il mondo islamico non è composto solo di terroristi.
Al di là della crisi di coscienza che stai vivendo, come si può, se si può, spiegare la banalità del male che sta investendo il mondo? Tante, troppe sofferenze reggono ancora alla tesi del libero arbitrio e alla teoria del “disegno divino”?
Non so se ho capito bene la domanda. Bene e male non sono entità astratte. Non sono fuori di noi come se fossero su uno scaffale e noi le scegliessimo per dare sapore alle nostre vite, dolce o amaro a seconda della pietanza. La possibilità del bene e del male è dentro di noi, lì c’è la possibilità di scegliere. Liberamente. Grazie ad Hannah Arendt banale è diventato un aggettivo famoso accanto a “male”: io direi che non è speciale. Però è quotidiano: forse “banalità” vuol dire quotidiana monotonia. Invece il bene, quotidiano anch’esso, a guardarlo bene è sempre grandioso. In questo senso sì, il male è banale e il bene no. Il “disegno divino” non è nella “mente di Dio” ma Lui lo vive con noi e, se Glielo permetto, viene fuori un capolavoro.
Dacca con i nove italiani torturati e uccisi, poi la strage dei treni in Puglia, poi Nizza. Cosa hai detto nella predica domenicale ai fedeli della tua parrocchia? Si riesce a cercare una “giustificazione” teologica ad eventi umani che hanno seminato la morte, anche di tanti bambini?
Ho cercato di non dare nessuna giustificazione teologica: Gesù è venuto a darci la vita e noi sbagliamo quando invece vogliamo da Lui non la sua vita ma risposte piccole e tascabili. Un dolore come quello che stiamo vivendo fa domande e non dà risposte: chiede solo di essere vissuto, attraversato. Le mie omelie spero che abbiano creato silenzi. Il silenzio è l’unica risposta al dolore.
Nel tuo articolo sull’Huffington hai scritto: “Ho urlato un silenzioso “basta!”. Basta ponti, basta capirsi, sforzarsi, aprirsi, accogliere. Basta prete e basta scrittore. Chi sei che fai questo? Ho sentito la rabbia e la voglia di chiamarmi fuori da gente che pensa e vive come te. Mi mancava questa crisi della fede. Ora non mi manca più. Ieri, assassino, mi hai fatto più forte. Con dolore, da sconvolto, ricomincio da qui”. Ricominciare come, e da dove? Per te e per la gente comune…
Ricominciare da questa crisi, significa ricominciare da questa breccia. La morte non ferma la morte. L’odio secca, infetta tutta la vita che incontra. Cerco di ricominciare da questa mia debolezza interiore ancor prima che esteriore per lasciarmi sorprendere da Chi la forza non la perde perché è mite e umile di cuore. Non è facile però, non è facile.
Qui la ripresa dell’intervista da parte di FaroDiRoma