FarodiRoma – Il coraggio di dire “Basta corride”.
La morte di Victor Barrio, il matador incornato e ucciso sabato pomeriggio a Teruel nel corso di una corrida, deve dare alla Spagna la forza di dire basta alle corride. La Spagna, maestra di diritti e di civiltà in Europa per tante cose, sulle corride deve fare un passo in avanti. Cioè deve fare un passo indietro.
Barrio è stato ucciso dal toro Lorenzo, un animale di 4 anni e 529 chili di peso. Il 29 enne è stato incornato ai polmoni e un corno ha reciso l’aorta. Amen. Non è un amen da preghiera ma un Amen di quelli con cui si chiudono i discorsi. La corrida è l’anello debole del lavoro culturale che l’uomo ha fatto in millenni. Quello per cui nello sport e nel gioco viene rappresentato l’eterna tensione tra la vita e la morte, ma la rappresentazione è virtuale: non c’è una morte reale. Che Buffon rimanga trafitto da un tiro è una metafora, che l’aorta di Victor sia recisa da un corno è realtà. Il gioco del calcio interessa tanto l’umanità perché, a livello globale, è la rappresentazione più semplice ed efficace del complesso gioco, sociale e culturale, del quotidiano vivere e morire.
Nella corrida non c’è nessuna rappresentazione virtuale, non c’è nessuna sublimazione, ci sono veramente, la vita e la morte. Se non fosse morto l’uomo sarebbe morto il toro. È questo l’enorme limite delle corride. Che sono un buco nero nel cammino di emancipazione che da millenni l’umanità ha intrapreso per rendere virtuale la rappresentazione del vivere e del morire. Questo sforzo, questa elaborazione, si chiama cultura. Davide e Golia che combattono invece dei rispettivi eserciti è un fatto culturale, è un passo in avanti rispetto a due eserciti che si ammazzano. Ma è ancora poco perché uno dei due muore davvero. Da allora la civiltà ha camminato. E ora, perdere e vincere nel gioco è rappresentazione metaforica della lotta tra morire e vivere. Ma non si muore davvero. La morte è sublimata. Perdere ai rigori non è essere fucilati davvero: ci si dispera e si gioisce come fosse realtà ma realtà non è. Questa è la forza della rappresentazione, dell’allegoria, del gioco.
La corrida, in questo, è rimasta indietro. Il gioco tra la vita e la morte non è sublimato, non è figurato, è proprio vero. Si muore davvero. Inutile girarci intorno: in sostanza, siamo ancora ai giochi del circo degli antichi romani. Non è neppure come l’automobilismo o il motociclismo che, se non ci stai attento, ci scappa il morto. Qui il morto c’è sempre: o l’uomo o il toro. Io non amo la violenza. Qui uno dei due, bestia o uomo, muore. Dicono che il toro preferisca morire così che in un macello. Non ho sentito l’opinione del toro ma non mi sento di ledere la sua libertà di pensiero se dico basta alla mattanza delle corride. Leggere come vengano seviziati e impauriti gli animali, mi rende sordo e insensibile ad ogni ragionamento storico o identitario di un paese. Non è accettabile. Non lo è. Mai. Dalla sofferenza dell’animale e dalla morte sua o da quella del torero, non può venire nulla di buono. Mi sembra solo umanità.
Tratto da Farodiroma