
Lettera di Gavina Masala- Europa, possibile ricostruirla?
L’Inghilterra ha votato per l’uscita dall’Unione europea. In molti sono rimasti sorpresi, ma se si considerano la storia del Regno Unito e l’attuale inoperosità politica dell’UE, le ragioni del voto diventano più che evidenti.
Non dimentichiamo la prova di scarsa coesione che il continente sta dando nel gestire i flussi migratori e, come sottolineava Angelo Panebianco poche settimane fa, l’ulteriore minaccia che potrebbe provenire dall’elezione dell’isolazionista e protezionista Trump.
Le analisi politologiche puntano il dito sul patto sociale europeo, quanto mai atipico: un patto sociale degno di tal nome dovrebbe infatti legarci in doveri, ma anche in diritti comuni quali la sanità e l’istruzione, ma questo in Europa non è né sarà mai possibile, perchè le istituzioni nazionali caratterizzate da storie e impronte culturali differenti non abdicheranno.
Certo è che il progetto deve essere rielaborato, perchè allo stato attuale sembra esercitare sempre meno appeal; vorrei però sottolineare quanto si sia commesso, a mio avviso, un errore marchiano sul piano culturale o, come secondo Joseph Ratzinger, spirituale.
Molto razionalmente e in tempi non sospetti infatti, il papa emerito ragionava insieme al filosofo Marcello Pera su un’Europa simile a Babilonia e, tra le varie cause, additava la tiepidezza dei Cristiani, che incarnano o dovrebbero farlo, i valori fondanti del continente stesso.
Come dargli torto? Abbiamo (i cristiani) ceduto parte importante della nostra identità in nome del pluralismo, che in sé e per sé andrebbe benissimo, a patto di non rinunciare alle nostre radici, fondamento della nostra identità, e a valori quali il rispetto dell’altro, vero tesoro del Vangelo.
E’ scritta infatti nel codice genetico del cristiano la propensione verso il prossimo – simile o dissimile che sia – valore questo che se solo avessimo saputo portare nei consessi politici, avrebbe sventato molte sciagure quali Brexit, che evidentemente nasce dalla paura del diverso.
Ratzinger non vuole tanto affermare un primato culturale dei cristiani, quanto il diritto e l’impegno all’esistenza anche a livello istituzionale, il diritto e l’impegno a non spogliarsi della propria essenza in nome della political correctness, che svuota di significato i concetti, anestetizzando le coscienze.
Non si vuole nemmeno significare ingerenza negli affari di Stato, ma “il cristiano è convinto che la sua fede (…) aiuta la ragione ad essere se stessa, (…) egli può reclamare ciò che appartiene alle basi dell’umanità, accessibili alla ragione”.
Siamo invitati quindi a rispolverare la razionalità e fondamentalità del DNA europeo, necessario per contribuire a ri-costruire l’Unione.