L’angolo del teologo – Considerazioni sul capitolo ottavo di Amoris Laetitia
Marco Vanzini, sacerdote, è professore incaricato di teologia fondamentale alla Pontifica Università della Santa Croce a Roma. Tra le decine di articoli letti finora su AL, questo mi sembra il tentativo più riuscito di coniugare le novità pastorali proposte dal documento con la dottrina di sempre sul matrimonio. La sezione del blog Amoris Laetitia mira a contenere tutti gli studi e gli articoli usciti in italiano sull’argomento
Una lettura attenta del capitolo ottavo di Amoris laetitia, e i riferimenti che quel capitolo contiene ad altre parti del documento, come pure ad altri testi magisteriali, porta a mio parere a questa comprensione della mens del Papa.
1) Il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia è il bene in pienezza che Dio prospetta ai suoi figli. Per il Papa non è un “ideale” teorico (sebbene parli più volte di “ideale”) ma un bene concreto: il bene concreto e reale che è la vera realizzazione della propria vita nella comunione con l’altro, possibile grazie all’impegno umano sostenuto dalla grazia e dalla misericordia di Dio (1).
2) In più punti Papa Francesco afferma che:
a. la Chiesa non può rinunciare ad annunciare questo disegno al mondo (2);
b. i pastori o i laici che aiutano nel discernimento pastorale devono mostrare alle persone tale disegno in pienezza, e aiutarle a camminare verso la sua realizzazione o verso una vita in accordo con tale disegno (3).
3) In linea con le raccomandazioni del Magistero precedente e spinto dalla sua sensibilità verso la fragilità umana e dalla consapevolezza molto viva della volontà di Dio di riversare misericordia sull’uomo (cfr. i nn. 308-312), il Papa dedica un grande impegno a illuminare il discernimento che ogni situazione personale e di coppia richiede. Qui c’è una “novità”, se così la si vuole chiamare. Ma di che novità si tratta? Non una novità “dottrinale” nel senso che il Papa “cambi” aspetti della dottrina; e neppure nel senso che il Papa “approfondisca” in modo finora inedito qualche aspetto della dottrina. La novità, o forse sarebbe meglio dire la “differenza” tra il modo di Papa Francesco di affrontare la realtà delle persone (perché non si tratta di un “tema” o di una “questione”, ma diuna realtà che è la vita delle persone e la relazione tra loro e con Dio) in situazioni irregolari, e i precedenti documenti magisteriali, è nel modo in cui Francesco considera la situazione soggettiva delle persone.
4) Una situazione morale ha sempre due dimensioni o aspetti: quella oggettiva e quella soggettiva. La prima è valutabile in termini di corrispondenza tra ciò che le persone vivono e il progetto (o la legge) di Dio che definisce quel vissuto, quella situazione. La dimensione soggettiva è invece il modo in cui la persona percepisce e comprende la propria situazione, e in particolare la sua bontà o malizia, il suo carattere morale. Ebbene, Papa Francesco invita i pastori ad uno sforzo di comprensione della dimensione soggettiva, e lo fa con una premura maggiore rispetto a quanto si faceva finora.
Leggendo il documento, si comprende che il motivo di tale accento sulla comprensione del vissuto soggettivo sta nel fatto che la soggettività è l’ambito in cui la persona percepisce (più o meno) qual è la verità della propria situazione, percepisce (intellettualmente e affettivamente) qual è il bene in gioco, e ha consapevolezza delle proprie forze in ordine ad un eventuale cambiamento di comportamento. Come è noto, secondo la dottrina cristiana, affinché si possa parlare di peccato, e in particolare di peccato grave o mortale, non basta valutare oggettivamente l’azione compiuta, ma anche il grado di “avvertenza” (qualità dell’assenso intellettuale) e di “consenso” (qualità della decisione della volontà) con cui la persona agisce: dunque la comprensione della situazione soggettiva è determinante per comprendere la dimensione più profonda della situazione della persona davanti a Dio.
Non si tratta, nell’intenzione del documento, di “contrapporre” la soggettività all’oggettività, quasi che la prima possa far cambiare il giudizio sulla seconda, ma di arrivare a illuminare fino in fondo (cosa impossibile se ci si fermasse al giudizio sull’oggettività) la posizione della persona di fronte a Dio. Questo appare l’obiettivo dichiarato del discernimento che il Papa propone: «Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che “orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio”» (n. 300) (4).
5) Come ho detto, a mio avviso, la differenza rispetto ai documenti magisteriali precedenti sta proprio nella particolare attenzione dedicata alla dimensione soggettiva (5). L’accento prima cadeva maggiormente sul chiarimento dell’oggettività delle situazioni, e di qui si ricavavano alcuni requisiti che dovevano venire riconosciuti e accettati dalle persone per potersi accostare al sacramento della penitenza. Così, Familiaris consortio, n. 84 mostra in modo molto chiaro quali requisiti le persone debbano riconoscere e accettare per poter vivere in una situazione oggettivamente in accordo con la legge di Dio: il decidere di «astenersi dagli atti propri dei coniugi» nel caso dei divorziati che abbiano una nuova unione che non può essere interrotta per il bene dei figli. In assenza di tale decisione, non si dovrebbe concedere l’assoluzione poiché mancherebbe il proposito di vivere «non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio». Era certamente presente la comprensione verso la debolezza, per cui ogni caduta nonostante il proposito poteva essere compresa e perdonata. Tuttavia la decisione di vivere in accordo con la legge, con la pienezza del piano di Dio, era affermata come requisito necessario.
Papa Francesco, ponendo l’accento sulla considerazione della situazione soggettiva, interiore, della persona, non dimentica né trascura la dimensione oggettiva, ma questa dimensione è posta più come meta, come pienezza a cui tendere con la sincerità del proprio impegno e con l’aiuto di Dio, piuttosto che come origine di esigenze, di requisiti da soddisfare previamente. Tale logica è ben riscontrabile nel n. 303, un paragrafo di sintesi riguardo al discernimento pastorale e personale. Il Papa afferma che la coscienza, illuminata grazie al discernimento, può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo [riconoscimento dell’oggettività, ndr]; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti [riconoscimento della situazione soggettiva, ndr], benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo». Il Papa poi prosegue dicendo: «In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (6).
In quest’ottica è anche logica l’affermazione del Papa, sul fatto che non ci si deve attendere dal documento «una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari» (n. 300).
6) Ora entriamo più a fondo nel merito di tale discernimento personale e pastorale, per riconoscervi le indicazioni fondamentali fornite dal Pontefice:
• occorre innanzitutto distinguere la situazione concreta della persona, anche in termini di consapevolezza delle sue responsabilità. Tale opera di discernimento, introdotta in modo generale nel n. 298, viene descritta in modo più profondo nel n. 300, che si apre dicendo che «presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo”»;
• lo stesso n. 300 continua, indicando come strumento fondamentale «in questo processo… un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento»;
• l’esame di coscienza ha come scopo la presa di coscienza della propria situazione davanti a Dio, e la «formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa» (n. 300);
• si deve svolgere nel foro interno, in «condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa» (n. 300). Tali condizioni garantiscono che si eviti «il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”…» oppure «che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale» (n. 300).
7) A questo punto il Papa, facendo come una “zoomata” nel cuore del processo di discernimento, introduce il paragrafo sulle circostanze attenuanti. Ciò che si propone, infatti, è spiegare perché non solo sia possibile ma anche necessario il discernimento in alcune situazioni irregolari. È proprio qui che Francesco motiva esplicitamente la necessità di addentrarsi nella condizione soggettiva della persona: è il punto a mio parere distintivo della sua proposta pastorale. Come vedremo, non impiegherà argomenti nuovi, ma di dottrina ben conosciuta, per mostrare che, anche quando la situazione oggettiva della persona è chiarita, è necessario un discernimento della sua situazione soggettiva.
• La dottrina che il Papa richiama è quella sui condizionamenti e le circostanze attenuanti nell’agire morale: tali circostanze o condizionamenti possono limitare la capacità di decisione della persona (n. 301) e quindi determinare la maggiore o minore imputabilità e il grado di responsabilità di colui che vive in una data situazione oggettiva “irregolare”(7). Di qui la conclusione: «Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante».
• Al n. 300 il Papa aveva anticipato che dal grado di responsabilità dipendono gli “effetti” della norma nella persona. Ciò va interpretato, alla luce del n. 301 appena citato, in chiave innanzitutto teologale-esistenziale, prima che sacramentale e giuridica: gli “effetti” di cui si parla sono in primo luogo la condizione personale di fronte a Dio: lo stato di peccato grave o di grazia in cui la persona si trova. Da questo dipenderà anche la possibilità e la modalità dell’accesso ai Sacramenti, a cui si fa riferimento nella nota 336 e, più oltre, nella nota 351.
• L’eventuale riconoscimento di condizionamenti che rendono la persona non gravemente colpevole di fronte a Dio non significa immediatamente che le si apra la via ai sacramenti. Papa Francesco lascia tale decisione al serio discernimento pastorale. Infatti nel n. 303, al termine del paragrafo che tratta dei condizionamenti, indica come passi da compiere: il coinvolgimento nella prassi della Chiesa, l’incoraggiamento a maturare una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del pastore, e la proposta di una sempre maggiore fiducia nella grazia. Non è difficile riconoscere che si tratta di un percorso, di un processo, e non di una semplice accettazione della situazione di fatto (oggettiva e soggettiva). In altre parole, il discernimento e il percorso da fare insieme devono continuare! Qui andrebbe anche valorizzato tutto l’insegnamento del documento circa l’educazione morale della persona, svolto in particolare nel capitolo 6 a proposito dei figli (8), in cui si mostra come la capacità di cogliere il bene richieda lo sviluppo di buone abitudini e di inclinazioni affettive verso di esso, oltre che l’apprendimento intellettuale e l’impegno della volontà.
• In certi casi, aggiunge il Papa nel n. 305, si potrà anche valutare come possibile e opportuno l’aiuto dei Sacramenti (cfr. nota 351). Un criterio di discernimento non viene stabilito in modo netto, non i pone una condizione, e ciò a prima vista lascia perplessi. Ma se ci si rende conto della delicatezza della considerazione dei fattori personali (si pensi a quelli psichici o affettivi ad esempio), si comprende come tale assenza non sia una carenza, ma frutto di vera saggezza pastorale. Un requisito valido per tutte le situazioni soggettive, probabilmente, non esiste (9).
• Esiste invece, secondo Papa Francesco, la reale possibilità che la persona e il pastore giungano, nel corso del discernimento, ad una consapevolezza fondamentale. Lo esprime molto bene in un passaggio del n. 303 che abbiamo già citato ma che vale la pena di rileggere nuovamente: «… questa coscienza [grazie al discernimento, ndr] può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo». Ritengo che il raggiungimento di questa coscienza sia ciò che permette di riconoscere se, in quel caso e tenendo presente l’insegnamento della Chiesa sulla ricezione dell’Eucaristia, la persona abbia le condizioni richieste per ricevere l’aiuto sacramentale oppure debba permanere in una positiva (per il soggetto) tensione verso una condotta pienamente “regolare”. La scelta tra le due possibilità – entrambe, appunto, possibili – dipenderà dalle condizioni soggettive, dovrà essere compiuta caso per caso con responsabilità.
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Note
(1) Per citare solo un esempio, ma molto significativo, nel paragrafo che apre il discorso fondamentale, quello sul discernimento pastorale, il Papa afferma che è compito dei pastori rivelare la divina pedagogia della grazia e aiutare le persone a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Questo appare dunque l’orizzonte da mantenere in tutto il percorso di discernimento. «Riguardo al modo di trattare le diverse situazioni dette “irregolari”, i Padri sinodali hanno aggiunto un consenso generale, che sostengo: “In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro”, sempre possibile con la forza dello Spirito Santo» (n. 297). Si veda anche il n. 292, come pure i numerosi riferimenti indicati nella nota 3 di queste considerazioni.
(2) «Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire» (n. 35). Con ancora più forza: «Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza […]La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano» (n. 307).
(3) Sono molti i passaggi in cui il Papa esprime con chiarezza questa esigenza: tra di essi, i nn. 293-294 a proposito di coloro che convivono; il già citato n. 297 e i nn. 300, 303, 307, 312 a proposito di tutti coloro che vivono in situazioni irregolari e dei divorziati e risposati.
(4) Nel punto successivo (n. 301), il Papa spiega perché è possibile (e necessario) un discernimento speciale nelle situazioni dette “irregolari”, sebbene sia chiaro che esse oggettivamente non sono in accordo con il Vangelo: tale motivo è proprio la considerazione dei condizionamenti e delle circostanze attenuanti che limitano la capacità di comprensione e decisione del soggetto, e che rappresentano precisamente la dimensione soggettiva della situazione. La necessità di valutare adeguatamente tale dimensione, insieme a quella oggettiva, appare chiaramente anche nel n. 302. Non lo riportiamo qui perché lo considereremo a breve in dettaglio.
(5) Differenze di questo genere non sono affatto nuove o strane nell’ambito del Magistero, che è sempre suscettibile di uno sviluppo, come la storia insegna: se si confrontano ad esempio i documenti del Concilio Vaticano I e quelli del Vaticano II, pur nella chiarissima e fondamentale continuità, si nota anche una grande differenza di accenti, come pure un autentico sviluppo dottrinale in molti aspetti, anche fondamentali.
(6) Lo stesso invito a proporre la crescita verso la pienezza ricorre in molti altri punti del documento, come ho già fatto notare al punto 2.b di queste considerazioni.
(7) I condizionamenti sono indicati sulla base del Catechismo della Chiesa Cattolica, nei nn. 1735 e 2352. Ma mi sembra che vada considerata anche l’analisi della libertà svolta dal Papa nel capitolo sesto, n. 273: «La libertà situata, reale, è limitata e condizionata. Non è una pura capacità di scegliere il bene con totale spontaneità. Non sempre si distingue adeguatamente tra atto “volontario” e atto “libero”. Qualcuno può volere qualcosa di malvagio con una grande forza di volontà, ma a causa di una passione irresistibile o di una cattiva educazione. In tal caso, la sua decisione è fortemente volontaria, non contraddice l’inclinazione del suo volere, ma non è libera, perché le risulta quasi impossibile non scegliere quel male».
(8) Per ricordare solo due passi significativi (il corsivo è mio): «Il compito dei genitori comprende una educazione della volontà e uno sviluppo di buone abitudini e di inclinazioni affettive a favore del bene. Questo implica che si presentino come desiderabili comportamenti da imparare e inclinazioni da far maturare. Ma si tratta sempre di un processo che va dall’imperfezione alla maggiore pienezza» (n. 264). «Per agire bene non basta “giudicare in modo adeguato” o sapere con chiarezza che cosa si deve fare, benché ciò sia prioritario. […] Per quanto la coscienza ci detti un determinato giudizio morale, a volte hanno più potere altre cose che ci attraggono, se non abbiamo acquisito che il bene colto dalla mente si radichi in noi come profonda inclinazione affettiva, come gusto per il bene che pesi più di altre attrattive e che ci faccia percepire che quanto abbiamo colto come bene lo è anche “per noi” qui ed ora. Oggi è spesso inefficace chiedere qualcosa che esiga sforzo e rinunce, senza mostrare chiaramente il bene che con ciò si potrebbe raggiungere» (n. 265).
(9) Ma riconoscere questo non autorizza a dire che ha perso di valore la dottrina circa la decisione di vivere tamquam soror et frater, ad esempio, né alcuna altra verità riguardo al matrimonio e all’Eucaristia. Ciò sarebbe contrario alle molteplici affermazioni fatte da Papa Francesco circa la permanente validità della dottrina cristiana sulla famiglia nella sua integralità; e rivelerebbe una non corretta comprensione del discernimento personale e pastorale da lui proposto.
Ricordo che anche per “L’angolo del teologo” vale ciò che vale per ogni Lettera, e cioè che l’autore è l’unico responsabile di quanto ha scritto