Le Lettere di Sandokan – Big data
Un tempo a produrre le “informazioni” che alimentavano le nostre giornate – e che contribuivano a definire le nostre scelte – erano in pochi. Era più semplice, in un mondo piccolo, vivere di certezze e costruirsi riferimenti solidi.
Non è che fosse più difficile “sbagliare”, anzi. Era però più difficile accorgersi dei propri sbagli, o dolersene troppo, perché non esistevano alternative significative alle proprie scelte: la vita era in gran parte definita dal mondo piccolo in cui si viveva (a parte rare eccezioni), compresi i desideri di ciascuno, che avevano “confini” fisici.
L’avvento dei media ha, per sempre, cambiato questa realtà e allargato gli orizzonti. Ha liberato lo spazio fisico e lo spazio delle scelte, creando nuove traversie, ma anche nuove opportunità.
Prima la TV, che ha modificato il linguaggio e i desideri di molti, ed è divenuta una autorità come un tempo lo erano le persone facoltose dei paesi, le uniche che avevano la possibilità di girare il mondo e di tornare per raccontare.
Poi la rete Internet, che ha consentito a tutti di “viaggiare”, scegliendo dove andare, e poi ha suggerito l’idea che ciascuno – con le sue idee, i suoi racconti, i suoi interessi – è un luogo da visitare, la meta del viaggio di qualcun altro.
E ora siamo giunti al punto in cui tutto questo mare di abitudini tecnologiche – questo mare di pagine visitate, queste sequenze di click che produciamo col mouse, i post che scriviamo sui social (Facebook, Twitter, …) o sui blog come questo, i video e le foto rese disponibili grazie a YouTube, Instagram e Flickr, gli open data delle amministrazioni pubbliche, i dati provenienti da sensori installati ovunque (l’iWatch di Apple ne ha diversi, per rilevare il nostro battito cardiaco, la nostra posizione, la nostra sudorazione, la percentuale di ossigeno nella pelle) -, tutta questa enorme quantità di dati prodotta quotidianamente da ciascuno di noi, crea un valore nuovo, un valore significativo per qualcun altro al quale non avevamo pensato, un valore nuovo per tutti.
Walmart è il più grande rivenditore al dettaglio del mondo. Opera negli Stati Uniti ed è diventato un caso di letteratura grazie alla sua capacità di creare nuovi servizi dall’analisi di enormi quantità di dati in suo possesso:
“Ogni ora colleziona dati relativi a circa un milione di transazioni commerciali e li relaziona a fattori quali tempo, luogo, combinazione nel carrello, disponibilità a magazzino, frequenza di acquisto, etc. Se un cliente ha acquistato in passato un barbecue e spesso compera prodotti accessori, molto probabilmente sarà interessato ad articoli non ancora acquistati. Analizzando la disponibilità a magazzino, le informazioni meteo, i dati di localizzazione degli smartphone etc., il sistema invierà dei buoni per invogliare il cliente all’acquisto, ma solo se possiede un barbecue, il tempo nel weekend sarà bello e si trova in un raggio di tre miglia dal negozio”.
Una cosa simile ha fatto Mercedes, e molti altri, abbandonando i questionari di soddisfazione del cliente e misurando il “Twitter sentiment” sui suoi prodotti, ossia “leggendo” e “valutando” con un software i tweet generati sul social.
I progressi tecnologici hanno reso oramai possibile produrre nuove informazioni e servizi, analizzando enormi quantità di dati in tempo reale, e tutto ciò influenzerà sempre di più la nostra vita e le nostre scelte.
Non sono più i sogni di qualcuno, è la realtà di oggi, una realtà che obbliga ciascuno a riposizionarsi – e quindi a fare uno sforzo di cambiamento – che lo voglia o no.
La tecnologia è oramai parte della realtà, come l’albero, il mare, la montagna, le città e le persone. Non è un “accessorio” che si può scegliere di non possedere o utilizzare. Non solo produce informazioni, genera relazioni.
Quindi il punto non è giudicare la tecnologia in termini di valore – magari sognando un ritorno al passato che non è possibile, perché saranno sempre di meno le persone che potrebbero vivere utilizzando il cavallo al posto dell’automobile o la macchina da scrivere al posto di Word – ma cercare di cavalcare il cambiamento, per guidarlo senza farsene travolgere.
Sarà sempre più una necessità che porterà a una ridefinizione del concetto sociologico di “generazione” o almeno alla comprensione che ognuno di noi, nella sua vita, è destinato a viverne molte di “generazioni” e non soltanto una.