Amoris Laetitia / Blog | 21 Maggio 2016

Don Fabio Bartoli legge Amoris Laetitia con noi – cap. 4

Prosegue la lettura di Amoris Laetitia che don Fabio offre al blog. Qui la lettura del terzo capitolo

Innanzitutto mi scuso per il ritardo con cui esce questo quarto articolo, purtroppo (o per fortuna) faccio il parroco e non il teologo e quindi posso dedicare alla teologia solo i ritagli di tempo. Abbiate pazienza con me.
Come sempre la cattiva prassi è figlia di una cattiva teologia, quindi se si vuole correggere una prassi è utile andare alle sue radici teologiche. La difficoltà a capire la AL è figlia appunto di una deriva teologica tipica degli ultimi secoli, quindi devo brevemente accennare prima a questo, per poter poi introdurre il quarto capitolo, che è l’anima della lettera.
Negli ultimi quattro secoli la teologia cattolica ha purtroppo praticamente dimenticato lo Spirito Santo, che è stato “riscoperto” solo di recente, diciamo a partire dal Concilio Vaticano II. Questa mancanza ha prodotto effetti catastrofici in quasi tutti i settori in cui tradizionalmente si divide la materia teologica. In particolare in Teologia Morale ha portato a dimenticare il primato dell’amore. Abbiamo finito così per relegare qualsiasi discorso sull’amore nella soffitta del sentimentalismo. Avendo dimenticato cosa è lo spirito, lo abbiamo confuso con il sentimento e abbiamo fatto della morale una questione di centimetri, di secondi, di fare o non fare… come se al centro dell’annuncio evangelico non ci fosse invece la conversione del cuore, cioè dell’intenzione, della volontà, dell’intimo dell’uomo, che precede e di molto la fattispecie infinita dei comportamenti.
E quando parlo di riscoperta dello Spirito Santo e di primato della Carità in teologia morale non faccio certo riferimento a teologia progressista postconciliare, io per esempio mi sono formato su un saggio mirabile di Gilleman, che si intitola appunto “Il primato della carità in teologia morale”, uscito nel 1959, su cui ho studiato all’università .
Il santo Padre ha ben presente tutto questo e scrive invece proprio a partire da una ben viva e radicata esperienza dello Spirito; non per nulla il capitolo terzo si concludeva, come abbiamo visto, con un invito ai teologi a riscoprire e valorizzare l’azione della Grazia nella vita matrimoniale. Per questo il quarto capitolo è una lunga riflessione sull’amore, condotta alla luce dello straordinario inno di 1Cor. 13 applicato alla vita matrimoniale. Non è sentimentalismo questo, non sono pie riflessioni adatte alla meditazione e alla devozione più che alla teologia, al contrario: se la teologia morale non torna a radicarsi nella Carità inevitabilmente finirà con il cadere nel legalismo, un principio morale che non sia dedotto da 1Cor 13 non può nemmeno dirsi cristiano, appunto perché mancherebbe in esso lo Spirito Santo, cioè il quid specifico portato dal Cristianesimo, ciò che lo rende così diverso da ogni altra religione che a stento può essere detto religione, perché la religione è un insieme di regole e principi che delineano un percorso per andare a Dio, mentre il Cristianesimo è la manifestazione dell’amore del Padre e la scoperta che è Dio ad andare verso l’uomo.
Così non ha senso parlare dei principi morali del matrimonio se non a partire dall’amore e da quel potenziamento dell’amore che è l’incontro con il Dio-Carità: “non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare” (AL 89). Per poter fare questo però, poiché “la parola amore, che è una delle più utilizzate, molte volte appare sfigurata”, è necessaria innanzitutto una ridefinizione dell’amore che sia fondata sulla Parola di Dio e per questo giustamente il Papa si rivolge alla pagina biblica forse più celebre sull’amore sottolinenando che “questo si vive e si coltiva nella vita che condividono tutti i giorni gli sposi, tra di loro e con i loro figli” (AL 90), certo, si vive già oggi così nelle famiglie, ma in forma incoativa, come desiderio, come orizzonte, non certo come ideale già raggiunto, altrimenti non ci sarebbe evidentemente bisogno di un testo autorevole della Chiesa che rimettesse l’amore al centro della predicazione sulla famiglia!
Tralascio di commentare i bellissimi ed esigenti paragrafi dedicati ad una esegesi puntuale dell’inno alla Carità, lasciandoli al gusto della scoperta del lettore, mi premeva soprattutto collocarli nel contesto di un documento di magistero, mostrando appunto come essi sono non solo opportuni, ma necessari. È interessante invece vedere le conseguenze che il papa ne trae per la vita coniugale: “Tale amore (La Carità posta in noi dallo Spirito Santo NdR) permea tutti i doveri della vita coniugale (…) infatti tale amore, forte, versato dallo Spirito Santo, è il riflesso dell’Alleanza indistruttibile tra Cristo e l’umanità, culminata nella dedizione fino alla fine, sulla croce: lo Spirito, che il Signore effonde, don il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi come Cristo ci ha amato. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale” (AL 120).
Capisci che questa è una vera rivoluzione interiore, una bomba spirituale? Se prendiamo sul serio queste parole non possiamo non gridare di gioia: tu marito, tu moglie puoi amare il tuo sposo quanto Dio lo ama! Ti è data una dilatazione del cuore senza limiti, ti è data una capacità di amare infinita. Il solo modello dell’amore coniugale, una volta che è stato riempito di Spirito Santo, è l’amore trinitario: quella fusione nella distinzione che caratterizza le persone divine nelle loro relazioni, che fa si che l’uomo e la donna possano essere veramente una carne sola pur restando diversi. (Cfr. AL 121)
Era fin dall’inizio il progetto di Dio, ma il peccato originale lo aveva reso impossibile, perché la carne inevitabilmente cerca se stessa e il proprio interesse, rifiutando così la comunione, ma il dono dello Spirito Santo rende di nuovo possibile ciò che per noi era diventato solo un sogno lontano, un’aspirazione del cuore confinata però nel cassetto delle utopie.
Seguono alcuni paragrafi, che sono interessanti, ma non aggiungono molto dal punto di vista concettuale a quanto già detto, in cui il Papa aiuta a declinare in comportamenti concreti questi principi; mentre mi piace molto soffermarmi su due punti specifici: quello della gioia del matrimonio e quello sulla vita sessuale. Troppe volte l’ascetismo matrimoniale è stato presentato unilateralmente come una forma di sacrificio, tanto che a sentire certuni sembrerebbe quasi che l’essenziale nel matrimonio è il dovere e non la gioia dell’amore. Nessuno vuole nascondere la presenza della Croce di Cristo nella vita matrimoniale, ma non si può andare al talamo come si va al calvario!
“L’amore matrimoniale porta a fare in modo che tutta la vita emotiva diventi un bene per la famiglia e sia al servizio della vita in comune” (AL 146) In altre parole l’amore coniugale insegna ad ordinare i sentimenti al bene comune della famiglia, strappandoli dal circolo autoreferenziale dell’egoismo. Nel matrimonio impariamo a provare veri sentimenti, godendo di più, gioendo di più, vivendo di più. Per raggiungere questo fine evidentemente è necessaria una educazione del sentimento e dell’eros, che comporta ovviamente delle rinunce, rinunce che però non sono fini a se stesse, né intendono limitare la libertà dell’uomo, ma portano ad una crescita dell’amore e ad una esaltazione di quella libertà: “non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia, ma assumerli in un intreccio con altri momenti di gioiosa dedizione, di speranza paziente, di inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere vissuta interamente” (AL 148)
“Pertanto in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come un dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi” (AL 152). Certo, esiste anche un “lato oscuro” dell’eros, quando esso viene posto a servizio non dell’amore, ma dell’egoismo, e naturalmente il Papa mette in guardia contro questo pericolo, ma la prudenza necessaria non deve giungere fino a dimenticare la ricchezza del dono, né la paura di peccare può essere la guida nei comportamenti intimi degli sposi!
Non so se il Santo Padre sposi le tesi di Nicola Cabasilas, un grande teologo ortodosso del passato, o di Yannaras, che le riprende ai nostri giorni, i quali parlando dell’eros sostengono che solo il cristiano gode veramente, perché solo nella fede si può coordinare e ricevere insieme l’esperienza terrestre del piacere con il suo ordinamento trascendentale, che rimanda al Padre, ma mi sembra che, sebbene non citi questi autori, li abbia nello sfondo, per così dire. Di certo questi paragrafi sono una boccata d’aria fresca rispetto a una concezione moralista del sesso che finiva con l’identificare il piacere con il peccato.

Qui l’intera collezione di articoli e studi su Amoris Laetitia pubblicati dal blog