Giovanni Cavalcoli OP – Amoris Laetitia, il documento del santo padre Francesco sul sinodo della famiglia
Questa esortazione ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris.
Cari Lettori.
vorremmo introdurvi nell’antico meccanismo speculativo delle dissertazioni teologiche, che non sono fatte di «io penso», «io dico», perché la teologia non è ideologica ricerca delle ragioni del proprio io, ma umile ricerca e annuncio degli arcani misteri di Dio. Questo il motivo per il quale è stato richiesto a Padre Giovanni Cavalcoli un articolo in cui evidenziare tutti gli aspetti positivi dell’Esortazione post-sinodale; e il nostro Padre anziano dell’Isola di Patmos ha provveduto in tal senso. Il tutto per offrire un quadro variegato attraverso più scritti redatti da sacerdoti e teologi diversi, introducendo i lettori in quelle che sono le dissertazioni teologiche riassumibili a loro modo con questo esempio: una volta, in ambito speculativo, a me fu chiesto di redigere uno studio nel quale porre in risalto tutti gli “aspetti positivi” del pensiero di Lutero; e ciò mi fu chiesto sapendo quanto fossi avverso al suo pensiero. A un altro mio confratello, che considerava invece con molta morbidezza questo eresiarca, fu chiesto uno studio nel quale porre in luce tutti gli aspetti negativi dello stesso Lutero. Questi preziosi esercizi, che avevano come scopo di salvare i teologi dalla ideologia e dall’egocentrismo, oggi sono caduti in disuso, coi risultati spesso prodotti al presente da non pochi teologi chiusi nella difesa del proprio iocentrismo sostituito da tempo al Diocentrismo.
Amoris Laetitia di Papa Francesco è una summa dottrinale e pastorale della famiglia cristiana, una sintesi ricca, completa e ben ordinata dell’attuale pensiero della Chiesa sull’argomento. Essa ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris.
Il Papa mette altresì a confronto la vera e sana concezione della famiglia con certe idee, abitudini e pratiche aberranti e malsane, che contrastano col piano del Creatore, la giusta concezione dell’uomo e della donna, la retta ragion pratica, il progetto di Cristo, le leggi della Chiesa, il bene della società civile, il progresso umano e la stessa vera felicità della coppia, impedendo la laetitia amoris. Tuttavia, prima di entrare a trattare dei temi morali, pastorali, psicologici, educativi, culturali, ecclesiali, civili, giuridici e spirituali, che toccano la famiglia, il Papa ha la felice idea di prendere l’abbrivio da molto lontano, ossia dai fondamenti assoluti, inviolabili ed immutabili, metafisici, teologici ed antropologici di tutta la trattazione, senza dei quali le mancherebbero le ragioni di fondo, la consistenza teoretica e l’orientamento essenziale.
Il Sommo Pontefice infatti sa benissimo che, per scoprire e mettere in luce le cause profonde dei mali, che oggi affliggono la famiglia, per porvi rimedio e per correggere le idee sbagliate e i cattivi comportamenti ed abitudini, che la corrompono e la distruggono, è urgentemente necessario recuperare la concezione realistica della conoscenza [1], per così poter andare con sicurezza ed oggettività alle radici della visione stessa della realtà, della concezione dell’uomo, di Dio e del creato, così come ci viene insegnato dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione ecclesiale e dalla sana filosofia.
Amoris laetitia
All’inizio del documento, il Santo Padre ci avverte solennemente con le seguenti parole, quasi a darci la chiave di accesso e il criterio per apprenderne il giusto senso e allontanare qualunque strumentalizzazione: «Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata» (n.56).
In poche, dense righe, da meditare a lungo e far fruttare, abbiamo una sintesi di metafisica, di teologia, di antropologia, di gnoseologia e di morale. Il Papa infatti ricorda quello che è stato il peccato originale e che è il peccato dell’ateismo e del panteismo contemporanei: pretendere di sostituirci al Creatore. O l’uomo che si fa Dio e si identifica con Lui o l’uomo che nega Dio e si mette al suo posto. Disgrazia gravissima nell’uno come nell’altro caso.
In tal caso, l’uomo non ammette un essere, un reale come presupposto del suo pensiero, una realtà presupposta, che lo preceda, realtà, che quindi non ha creato lui, ma l’ha creata Dio. Non ammette questo, per non ammettere un Dio creatore, trascendente, Che ha creato anche l’uomo. No. L’uomo pretende che l’essere si identifichi col suo pensiero e sia quindi sia effetto del suo pensiero, rubando a Dio la sua prerogativa, per la quale in Lui e solo in Lui, Essere e Pensiero sussistenti, il reale è causato e voluto dall’ideale, nel caso, dal Logosdivino.
Dunque, ci spiega il Papa, l’uomo che si ritiene “onnipotente”, non si considera creatura, ma come creatore di se stesso. Non riceve da nessun Dio alcun dono, perché fa tutto da sé, basta a se stesso, decide tutto lui, anche i termini della natura umana, che non è un dato fisso, oggettivo, universale e immutabile, stabilito da Dio, ma che invece egli può plasmare e mutare soggettivamente come vuole. E quindi sta a lui stabilire la legge morale. Non ha alcun Dio da ringraziare, o al quale chiedere aiuto o perdono o misericordia, giacché egli, essendo legge a se stesso, non deve render conto a nessuno, ma è in grado di risolvere da sé tutti i suoi problemi.
Le conseguenze in morale di questi errori, in particolare nel campo dell’antropologia sessuale, sono chiare. La distinzione uomo-donna non è intoccabile, né è stabilita da Dio, ma è un semplice dato di fatto contingente, che non esclude, ma anzi ammette la possibilità di forme diverse di sessualità, creata dall’uomo. Ecco la teoria del gender.
Il Papa invece ricorda che la legge morale naturale è stabilita da Dio ed è quindi inviolabile. Nella fattispecie del matrimonio, esso è di per sé un valore naturale, elevato da Cristo alla dignità di sacramento. La Chiesa e lo Stato, ciascuno nel suo ordine, hanno facoltà, diritto e dovere di legiferare, disciplinare e regolare in materia, ma sempre in applicazione delle leggi divine. Queste sono immutabili, mentre le leggi umane, sia della Chiesa che dello Stato, possono mutare.
Il Papa giunge a precisare la natura della guida morale e pastorale delle azioni umane, che non può accontentarsi dell’astrattezza della legge o della norma, ma suppone una lettura attenta delle circostanze, della varietà dei casi e delle situazioni, così da poter determinare od ordinare, con prudenza, giustizia e carità, l’atto particolare o concreto da compiere.
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Tra i molti temi trattati, desidero fermarmi su due questioni, che ormai da molti anni stanno polarizzando l’attenzione della Chiesa, dei vescovi, dei moralisti, delle famiglie e dello stesso mondo laico: la prima, se sia opportuno o meno che la Chiesa conceda la Comunione eucaristica ai divorziati risposati. E la seconda, il giudizio morale da dare alle unioni stabili di persone omosessuali. Il Santo Padre, ai nn. 243 e 298, parla delle condizioni umane e morali delle coppie del primo caso, ma non entra nella questione. Il che vuol dire evidentemente che egli conferma le disposizioni di San Giovanni Paolo II contenute al n. 84 dell’enciclica Familiaris consortio.
Nel presentare modalità, forme e circostanze diverse di quelle coppie, sia nel dare indicazioni ai pastori, vescovi e sacerdoti, e alle stesse famiglie regolari, sul modo di aiutare ed accompagnare con saggio discernimento queste coppie, in un cammino di conversione, penitenza e crescita morale, dedicandosi alle opere buone ed all’educazione dei figli, nel servizio alla Chiesa e alla società, sforzandosi di vivere in grazia di Dio, precisando che, benché non scomunicate, non sono in piena comunione con la Chiesa.
Il Papa precisa che queste coppie, benché collocate in uno stato di vita irregolare, possono tuttavia e devono mantenersi in grazia e ricevere da Dio il perdono dei peccati, benché ciò non avvenga mediante il sacramento della penitenza, che a loro non è concesso, ma semplicemente grazie alla presenza efficace e diretta della misericordia di Dio.
Egli quindi risponde alla difficoltà sollevata da coloro che sostengono che, trovandosi essi in uno stato di vita che spinge al peccato, non possono essere in grazia. Uno stato di vita, spiega il Papa, può essere pericoloso, ma questo non vuol dire che chi vive in esso non possa essere in grazia e, d’altra parte, proprio la spinta al peccato fa sì che la colpa diminuisca, giacché nessuno è tenuto a compiere un atto che supera le proprie forze.
La norma che proibisce ai divorziati risposati di accedere alla Santa Comunione, è una norma che dipende dal potere delle chiavi, ossia è una legge ecclesiastica, che non discende dalla legge divina in modo univoco, necessario e senza alternative, come fosse una deduzione sillogistica, quasicchè, come credono alcuni, un’eventuale modifica, abolizione o mitigazione dell’attuale disciplina introdotte un domani dal Papa, recassero pregiudizio od offesa alla legge divina e alla dignità cristiana del matrimonio. Al contrario, tutto ciò rientra nelle facoltà del Sommo Pontefice come supremo Pastore della Chiesa. Se non ha ritenuto di dover far ciò, lasciando immutata la legge di San Giovanni Paolo II, vuol dire che ha avuto delle buone ragioni per farlo, e noi, da buoni cattolici, accogliamo docilmente e fiduciosamente le decisioni del Vicario di Cristo.
Passiamo adesso alla seconda questione. Dice il Santo Padre:
251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso [278].
Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società. Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo. I Padri sinodali hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio [314].
Qui non ci sono commenti da fare, tanto il testo è chiaro. Quello che possiamo auspicare è che tra società civile e Chiesa possa sorgere, in questa delicata materia, una fruttuosa collaborazione ed accettazione reciproche, fra il punto di vista dello Stato e quello espresso qui dai Padri sinodali col consenso del Papa.
Lo Stato, da una parte, deve rendersi conto del suo dovere, nel suo stesso interesse, di impedire l’aggravarsi di questo fenomeno sociale, che, all’evidenza più palmare, porterebbe, a lungo andare, non dico all’estinzione della Chiesa, alla quale Cristo ha promesso l’eternità, ma a danni gravissimi al consorzio umano e al buon ordine dello Stato.
Quanto alla Chiesa, dal canto suo, è oggi più che mai chiamata ad annunciare il Vangelo della famiglia, non come il residuo di un passato da conservare per forza, o un modello di vita monocromo e monolitico da imporre a tutti, e neppure come una unione contingente, lasciata al capriccio dei singoli, ma come libera e creativa comunità d’amore, che, nella società e nella Chiesa, opera per il bene di entrambi in amoris laetitia.