Amoris Laetitia / Blog | 27 Aprile 2016

Don Fabio Bartoli legge Amoris Laetitia con noi – cap. 1

Chi ha cominciato, sa che leggere Amoris Laetitia non è semplice. Don Fabio, parroco a Roma e che il blog conosce bene per le sue omelie domenicali, leggerà con noi un po’ per volta questo importante documento. Ecco la sua riflessione sul primo capitolo
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Cap. 1 La famiglia è un mistero

Nella sua mirabile storia della Chiesa Yves Congar definisce i primi quattro secoli “l’era del mistero”, non nel senso che la parola mistero ha assunto dopo l’illuminismo di “qualcosa che non può essere conosciuto”, ma piuttosto nel senso originario che la parola mysterion aveva nel mondo antico, qualcosa cioè che non può essere definito, qualcosa di cui non si può parlare al modo cartesiano, con idee chiare e distinte.
Nei primi quattro secoli cioè la Chiesa non si è preoccupata di spiegare il cristianesimo, ma di viverlo e a chi chiedeva di rendere ragione della fede non proponeva una metafisica, ma un’esperienza, non una teoria, ma un incontro. Credo che il tempo in cui viviamo, che è decisamente post-metafisico, richieda un approccio simile: non è questo il tempo di rinchiudere il dogma in una serie di definizioni che possono essere brillanti ed esaustive (ma non lo saranno mai abbastanza, altrimenti vorrebbe dire che il dogma è solo umano e non divino), ma sono inevitabilmente morte; piuttosto è l’ora di far brillare il dogma nella vita, di mostrare, non di dimostrare, di alludere e non di spiegare, di suscitare un desiderio e non di imporre catene.
Il Santo Padre è del tutto consapevole di questa necessità del nostro tempo e tutto il suo lavoro apostolico è da inscrivere in questo orizzonte. L’esortazione AL è interamente figlia di questa mentalità: il Papa non vuole spiegare cosa è la famiglia, anzi fin dall’inizio dell’esortazione chiarisce bene che la AL è un momento di un processo che dura da tempo e non vuole concluderlo e che anzi è da valorizzare la varietà di esperienze e culture che costituiscono la Chiesa. Ciò che non bisogna chiedere al documento quindi è la risposta “che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco/ lo dichiari e risplenda come un croco/ perduto in mezzo a un polveroso prato” (Montale).
Ci sono due domande sbagliate da fare a questo documento e leggerlo partendo da una di queste due domande significa condannarsi a non capirlo. La prima è la domanda moralista: “Cosa dobbiamo fare?” e la seconda è la domanda metafisica “Cosa è la famiglia?” Sia il tradizionalista che cerca nella AL le tracce delle passate definizioni metafisiche sia il progressista che cerchi l’autorizzazione a fare tutto ciò che vuole resteranno delusi e tenteranno in diversi modi quindi di stirare il documento fino a fargli dire ciò che non dice. Il punto è che questo testo chiede di essere approcciato in un altro modo, a partire dall’esperienza, non è un ragionamento astratto sulla famiglia, ma una riflessione sulla esperienza umana della famiglia, per come è illuminata dalla Parola di Dio. Non si tratta quindi di un invito a ragionare, ma di un invito a vivere, non lo si capisce senza essere innanzitutto padri e madri, senza aver vissuto in prima persona ciò di cui il Papa parla.
Più che una definizione magisteriale quindi è una catechesi mistagogica, un gigantesco “vieni e vedi” detto al mondo intero che più non sa declinare la parola famiglia. Vieni, conosci il mistero della famiglia cristiana da dentro, a partire dall’esperienza, e poi, forse, potremmo preoccuparci dei limiti, dei paletti e delle definizioni.
Sono appena al primo capitolo nella lettura, ma sono già del tutto affascinato. Se mi seguirete spero di dipanare con voi questa mirabile catechesi.
Nel primo capitolo il Santo Padre parte dalla fecondità, egli interpreta la famiglia innanzitutto a partire dalla fecondità e questo mi sembra già molto interessante, perché subito dice che al centro della famiglia c’è un atto di amore totalmente disinteressato, che è l’atto generativo, la partecipazione all’opera creatrice di Dio. Solo a partire da questo amore gratuito si può comprendere la spinta ad essere famiglia e la definizione stessa di uomo, privata di questo slancio di dono, risulta mozza e mancante. Si spiega che l’uomo è imago Dei perché è fecondo: “la fecondità della coppia umana è immagine viva ed efficace, segno visibile (sacramento!) dell’atto creatore” (AL 10) addirittura “La capacità di generare della coppia umana è la via attraverso la quale si sviluppa la storia della salvezza” (AL 11)
Molte volte il santo Padre è tornato sul tema della fecondità, in particolare rivolgendosi ai consacrati, a cui più volte ha detto che non basta essere vergini, ma occorre essere vergini E madri, che la verginità senza maternità è un atto pagano, solo unita alla maternità la verginità diventa un mistero cristiano. Sottolineo questo per dire che la fecondità che ha in mente il Santo Padre pur essendo primariamente quella genitale non si ferma a questa, ma ha in vista un orizzonte ben più ampio, tanto è vero che include in essa anche il dovere della formazione dei figli (AL 17-18) e l’esperienza del lavoro umano (AL 23-26).
E qui si inserisce il mistero cristiano: Dio ha voluto legare la fecondità all’amore, la generazione all’unione coniugale, in modo che non ci sia fecondità che non nasca dall’unità, in modo che nessuno possa essere padre o madre da solo. Le idee possono avere un solo padre, perché sono sterili, ma i figli necessitano di un padre e di una madre, cioè di una coppia, di una polarità, di una comunione! Non solo l’unione sessuale quindi, ma quella comunione di cuore ed anima di cui l’unione dei corpi è solo il sacramento: “il verbo unirsi indica una stretta sintonia, una adesione fisica ed interiore, al punto che si usa anche per descrivere l’unione con Dio” (AL 13). Questa è il principio di ogni fecondità!
Per questo la mensa eucaristica diventa l’orizzonte ultimo della famiglia. In un certo senso si può dire che come il pane e il vino prefigurano fin dall’inizio il mistero dell’Eucaristia, così la famiglia contiene in sé, nella sua radice, il concetto stesso di Chiesa. È nella sua stessa scaturigine il trono e la porta attraverso cui Cristo entra nel mondo: “Così si delinea una casa che porta al proprio interno la presenza di Dio” (AL 15)
Tutto questo sta nel mistero della coppia umana, sta cioè racchiuso in quel mistero di tenerezza che è l’abbraccio umano. Generare, educare, lavorare sono attività umane, le più importanti forse, ma traggono il loro senso cristiano da questo legame d’amore, dal fatto cioè che si svolgono dentro questo abbraccio, dentro questo orizzonte di tenerezza.
Per oggi mi fermo qui, se vi interessa il mio commento alla AL restate sintonizzati, senza impegno man mano che vado avanti nella lettura (faccio il parroco dopotutto, non il teologo) commenterò anche

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Don Fabio Bartoli, romano, è parroco della chiesa di San Benedetto. Ordinato nel 1987 ha fatto tutto quello che un prete può fare, tranne la carriera diplomatica che non gli si addice. Licenziato in teologia morale non ha percorso la carriera accademica a causa di un gravissimo incidente stradale che lo ha paralizzato per un anno. È stato assistente nazionale della coccinelle (scout FSE) e della più antica comunità italiana del Rinnovamento Carismatico, la Comunità Maria. In rete fin dal 1995, ha il blog “La fontana del Villaggio”, collabora con “La Croce quotidiano” di Mario Adinolfi e la web-rivista “Aleteia”. Ha la rubrica mensile “La Chiesa che dice?” su Radio Radio, la più importante talk radio romana.

Qui il blog di don Fabio Bartoli