Blog / Lettere | 18 Aprile 2016

Lettera di Stefano70 – La gioia di Amoris Laetitia

Come chiede il Santo Padre sto leggendo Amoris Laetitia con calma (“non consiglio una lettura generale affrettata” n. 7). Nel frattempo però sono usciti moltissimi commenti. Il nostro blog coglie lo spunto di questa lettera di Stefano70 a lungo meditata per introdurre la riflessione. Tra i commenti a piè di pagina ho messo i tre che mi sembrano più rappresentativi. In primo luogo le stesse parole del Papa nell’intervista di ritorno da Lesbo (16 aprile 2016) con le parole del card. Schonborn che lo stesso Papa suggerisce di leggere e meditare; quanto dice il card. Burke e la replica molto intelligente, mi sembra, di Tornielli a Burke. Grazie!

Trovo molto bella, ricca di contenuti e spunti di riflessione l’esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco che, ricordiamo, pur essendo un documento non vincolante, si basa sulle conclusioni di ben due Sinodi. E’ una fotografia dell’oggi lunga e complessa come la storia e le esperienze di ciascuno di noi, che andrebbe letta con calma ed attenzione e maturata nel proprio cuore.
La sensazione iniziale che ho provato è stata quella di una “piccola-grande” gioia leggendo le parti relative alla legge naturale morale ed alle questioni morali molto dibattute nelle settimane e nei mesi passati.

Il punto 295 ed il punto 304 richiamano con forza la legge morale e la sua utilità – la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza della grazia – indicando, da una parte, la possibile gradualità (295) della sua applicazione – ma non della legge in se stessa – in ragione delle diverse condizioni nelle quali si trova la singola persona e, dall’altra (304) la convinzione espressa da San Tommaso (Prima secundae, quaestio 94, art. 4) secondo il quale nel passaggio dal principio generale all’applicazione pratica a ciascun individuo, vi possono essere eccezioni al principio stesso.

Ecco, un Papa attento agli altri, alla misericordia, all’accoglienza, un Papa che chiede ai pastori di avere sugli abiti “l’odore delle pecore”, ribadisce in modo forte e chiaro la piena validità della legge naturale morale e la denuncia di tante situazioni che si vogliono far passare come “buone e giuste”.
In modo altrettanto forte e chiaro, il Papa invita tutti i credenti, ed in particolare i presbiteri, a trattare con misericordia ed attenzione tutte quelle situazioni individuali che non si conformano pienamente alle norme morali che, ribadisce il Santo Padre, «presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare». Questo atteggiamento di accoglienza e discernimento caso per caso, mi risulta venga già praticato da diverso tempo da alcuni presbiteri. Ora c’è una indicazione forte di Papa Francesco riguardo questa prassi (pastorale).

Non tutto è risolto e non tutto è semplice. A cominciare dalla declinazione concreta che porta tanti cristiani a vedere una contrapposizione tra l’abito della legge e quello della misericordia. Facciamo tutti fatica a vederlo come un unico abito da indossare. A qualcuno “stringe” la parte della legge, a qualcun altro la misericordia.
La difficoltà è data certamente dalle tante situazioni problematiche, tutt’altro che astratte, nelle quali versa l’uomo, nel suo essere individuo unico ed irripetibile e nel suo essere fondamento del nucleo sociale che è la famiglia.

49. Voglio mettere in risalto la situazione delle famiglie schiacciate dalla miseria, penalizzate in tanti modi, dove i limiti della vita si vivono in maniera lacerante. Se tutti incontrano difficoltà, in una casa molto povera queste diventano più dure. […] Nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio. In tal modo, invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in «pietre morte da scagliare contro gli altri».

In queste situazioni spetta al presbitero, e solo a lui, (301) la difficile azione di “discernimento speciale di tutte le situazioni irregolari” (sorge però l’annoso problema: chi forma il formatore?).
Il credente laico non può mai giudicare nessuna situazione specifica – la legge sarebbe allora simile a pietre morte scagliate contro gli altri, come nel caso dell’adultera – ma dovrebbe sempre farsi guidare dalla misericordia di Dio che si riversa su ciascuno di noi e ci tiene in vita. Ognuno deve cercare di perseguire il bene indicato dalle norme morali e ribadire i principi generale giusti e validi – la legge è dono di Dio – è un modo per indicare a se stessi e agli altri credenti la strada da seguire.

Soprattutto, percepisco ancora una volta l’invito forte al credente ad uscire dal sonno e passare al “fare” per gli altri. Un verbo che il Santo Padre associa a “dare” gratuitamente, specialmente a colui che è maggiormente bisognoso. In base al carisma di ciascuna persona, “fare” può essere, anche, “dire”, ovvero consigliare, suggerire, allertare.
La norma morale applicata in primis a se stessi, unitamente al grande amore di Dio, implica che il “fare” debba essere coniugato anche come un “non-fare”, cioè un “non-dare” e un “non-dire” in tutte quelle situazioni che allontanano noi stessi da Dio.

Insomma, è opportuno passare dal puntare il dito contro l‘altro – colui si sente giusto e accusa gli altri, come nelle riflessioni di Enzo Bianchi e Carlo Climati – all’indicare la via: non a caso i primi cristiani si chiamavano “Oδός”, la Via. La Via della Vita. «Io sono la Via, la Verità, la Vita», dice il Signore. La Via è quella della Verità – la Verità dell’Amore ma anche l’Amore nella Verità – nella quale si trova la Vita per se stessi e per gli altri.
«Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Cristo ci chiede di amarci non in qualsiasi modo, ma come Lui ci ha amati, nella Verità, denunciando ciò che è male per l’uomo, chiamando “peccato” il peccato ma amando il peccatore fino al dono della Sua vita. In questo modo l’indicazione della via, vera e giusta in se stessa, diventa anche credibile poiché avviene nell’amore, un amore che può anche precedere la via.

La via della lotta al male è quella della sua denuncia unita alla sovrabbondanza di bene, di amore. Dunque, “via alla Via” di curare le ferite aperte nella vita familiare – con i figli ed il coniuge – nelle amicizie, nelle tante situazioni di disagio e sofferenza del prossimo che quotidianamente sperimentiamo.
Per “fare” – nel suo binomio “dire-dare” – è però necessario essere già stati curati dal Signore, esserci riconosciuti non diversi dagli altri, aver accettato la Sua Parola nella nostra vita, aver sperimentato la carezza delle sue mani, la delicatezza del Suo agire in noi.