Blog / Scritti segnalati dal blog | 03 Aprile 2016

Avvenire – Il tradimento dell’ideale

Il giorno 12 marzo 2016, usciva su Avvenire, a firma Luigino Bruni, questo articolo che mi viene segnalato.

“Sono gli ideali, più degli interessi, a spingere avanti il mondo”. A volte siamo noi a generarli nella parte più luminosa della nostra anima. Altre volte siamo “chiamati” dagli ideali degli altri: un giorno scopriamo che erano già vivi dentro di noi e aspettavano solo di essere accesi. Ed iniziamo le avventure più sublimi e generative. In molti casi, gli ideali più grandi, innovativi e capaci di generare comunità, nascono da una persona portatrice di un dono o carisma particolare, capace di dar vita a esperienze collettive, a volte molto importanti e capaci di trasformare il proprio ambiente e il proprio tempo.

Qui l’ideale è profondamente intrecciato con la personalità del “fondatore”. Prende le sue carni, cresce e si nutre dei suoi talenti e dei suoi tratti caratteriali. In questo intreccio tra il carisma e la personalità dei fondatori si trovano l’origine e la forza delle “comunità carismatiche”. Ma arriva puntale il momento quando la comunità, per continuare il suo sviluppo e non sbloccarsi, deve iniziare un processo lungo e complesso per distinguere la “perla’” dal “campo” che l’ha custodita, la personalità del fondatore dalla “personalità” del carisma. Se, infatti, il carisma coincide con il talento della persona che lo incarna e annuncia, non ha la forza di continuare oltre la persona stessa. Quando il carisma è invece eccedente rispetto alla persona, e quindi dà vita a comunità e movimenti, questa eccedenza diventa la sorgente che alimenta la comunità dopo il suo fondatore, proprio perché è più grande di lui/lei. Tutti i grandi carismi sono più grandi della persona carismatica. L’individuazione di questa eccedenza, e quindi di questo “scarto” tra il carisma e la persona che lo contiene, è l’operazione fondamentale alla quale sono chiamati i continuatori di una comunità carismatica, che si presenta però come un lavoro collettivo molto difficile, perché richiede la capacità di capire che alla radice di quella specifica comunità non c’è stato solo un carisma-ideale: c’è stata anche la sua ideologia. L’ideologia ha il suo ciclo di vita. La sua nascita avviene molto presto. Inizia con l’idealizzazione di alcune figure chiave della comunità, il fondatore o altre persone con particolari doti o doni. Si passa quindi dall’ideale annunciato dal leader alla idealizzazione della sua persona, che così comincia a perdere progressivamente contatto con i limiti, gli errori, le ombre tipiche della condizione umana di tutti gli altri. Attorno a lui si crea un mito e una mitologia, che ne fanno una persona via via sempre più diversa e unica, dotata di una specie di infallibilità etica e spirituale. Come conseguenza, la cerchia delle persone che lavorano e dialogano con i leader si riduce progressivamente, e il rapporto tra questi pochi diventa sempre più asimmetrico. Incontrare o parlare con il leader diventa un evento raro, rituale e mitico.  E la prima fraternità resta sempre più sullo sfondo. Si verifica così il paradosso che chi ha ricevuto un carisma di fraternità e lo annuncia, si trova spesso nella condizione oggettiva di non poterla vivere nella comunità che egli stesso ha creato. La prima vittima della ideologia è infatti la fraternità comunitaria originaria. Nella prima fase genuina e pura degli ideali, la fraternità è spesso il principio fondamentale, che coinvolge tutti, inclusi i fondatori e coloro che hanno ruoli prominenti o di responsabilità. Quando la comunità cresce in dimensioni, alcune di queste figure escono progressivamente dal gioco della fraternità e dell’eguaglianza, e vengono avvolte da uno status eccezionale, che non si limita quasi mai al solo fondatore, ma a tutto il suo entourage. Più le qualità carismatiche dei fondatori sono forti ed eccezionali, più diventa probabile e potente la crisi di quella fraternità e solidarietà che ha fatto sorgere le comunità. Comunità fondate da leader con piccoli talenti spirituali sono in genere poco innovative, ma restano più fraterne. Quelle nate da grandi talenti spirituali attraggono molte più vocazioni, ma producono più rapidamente ideologie che scardinano la fraternità originaria.

La seconda fase dell’ideologia, che fa seguito naturalmente e logicamente alla prima fase dell’idealizzazione del fondatore, è la coincidenza che si viene a creare tra il carisma che il fondatore incarna e annuncia e la sua persona. Siccome esiste sempre un rapporto necessario e speciale tra un carisma e la persona che lo incarna, è molto difficile che i fondatori di comunità carismatiche, e soprattutto i loro seguaci, siano capaci di distinguere l’ideale che propongono dall’idealizzazione ideologica delle persone carismatiche. L’eccedenza dell’esperienza ideale rispetto alla persona carismatica è composta dal carisma e dall’ideologia.  Ma nella fase della fondazione, la forza della personalità del leader copre la sua ideologia, che spesso diventa addirittura un elemento essenziale per la crescita e lo sviluppo della prima generazione della comunità – anche la comunità, non solo il fondatore, sviluppa e potenzia l’ideologia. La non intenzionalità e la buona fede di fondatori e seguaci rende poi tutto il processo ancora più complicato.

Quando però si passa dalla prima alla seconda e successive generazioni, diventa essenziale individuare e distinguere il carisma originario dalla ideologia che ha prodotto. Se questa delicatissima operazione chirurgica non viene tentata e coronata da successo, l’ideologia blocca lo sviluppo futuro del carisma, e spesso ne decreta la fine. Le crisi delle comunità ideali sono prodotte dall’ideologia, non dall’ideale, e quindi possono essere superate solo dall’eliminazione dell’ideologia. Ma l’ideologia agisce primariamente rendendoci incapaci di vederla, perché si riveste di ideale. Per questa ragione le ideologie odiano le crisi e le negano radicalmente per molto tempo, finché diventa troppo evidente (ed è in genere troppo tardi per tentare le cure). Una nota cruciale dell’ideologia è infatti l’esclusione dall’orizzonte degli eventi futuri della stessa possibilità della crisi o del declino. Tutto è solo luce, ma molta di questa luminosità globale è solo luce ideologica artificiale (la realtà vera è sempre ambivalente). Così, quando nella seconda o terza generazione l’ideologia del carisma manda il carisma in crisi, alla comunità mancano le categorie per vedere, leggere, capire e superare la crisi.

Il primo passo per il superamento di questa crisi consisterebbe allora nella consapevolezza che a essere in crisi non è il messaggio originario della comunità (il carisma), ma l’ideologia che è cresciuta da esso. Saper individuare la natura ideologica della crisi è però molto difficile, proprio perché la creazione ideologica è intrinseca alla fase della fondazione, e riguarda alcune scelte, parole e atteggiamenti degli stessi fondatori. La cura richiederebbe una libertà di interpretazione del carisma e della sua ideologia che però è proprio quanto l’ideologia ha eliminato con il suo sviluppo.  Molte comunità carismatiche finiscono semplicemente così. Si sarebbero potute salvare se avessero tentato, con il bisturi, di penetrare nella carne viva, cercando di rimuovere l’ideologia per salvare il carisma. E qui si aprono diversi scenari, di cui è piena la storia delle religioni e dei movimenti di natura ideale. Questi scenari ricordano alcune dimensioni presenti nei paradigmi di due grandi “eresie” cristologiche dei primi secoli del cristianesimo: il monofisismo e il pelagianesimo. Lo scenario “monofisita” (si riconosce solo la natura divina, negando quella umana) è il più semplice e comune: non volendo o riuscendo ad ammettere anche la dimensione umana e quindi ideologica nella persona del fondatore, non si distingue l’ideale originario dalla sua ideologia, e tutto diventa carisma. E così tutte le parole, tutte le azioni, tutti gli episodi della figura storica del leader carismatico hanno lo stesso peso fondativo e la stessa natura. L’ideologia non si vede, e la malattia diventa incurabile perché cresce senza che ce ne accorgiamo.

L’altro scenario è quello che ricorda molto da vicino il pelagianesimo, che fu il grande nemico teologico di sant’Agostino. Riappare lo spirito di Pelagio quando una parte della comunità inizia a pensare di potersi “salvare da sola”, immaginando una uscita dalla crisi sganciata dalla figura storica del fondatore e del suo carisma originario. Si intravvede una salvezza, ma senza “salvatore”. Di fronte al disagio che nasce dalla incapacità di liberare il carisma dalla sua ideologia, si interpreta la crisi come crisi del carisma e quindi della figura fondatore (non della sua ideologia). Lo si mette da parte, o lo si usa come vago e lontano riferimento etico e simbolico, perdendo contatto con la sua persona concreta e storica. In questi casi, la comunità/movimento può anche continuare a vivere, ma diventa qualcosa di sostanzialmente diverso dalla prima comunità.  Le comunità, invece, che sono riuscite a crescere nel tempo senza cadere in nuove versione di queste due “eresie”, sono entrate con fiducia nel cuore dell’esperienza storica della fondazione, del fondatore e del suo mito, prendendosi tutti i rischi che comporta una tale operazione delicatissima. Lo hanno voluto fare perché a un certo punto, spesso per l’intervento di autentici “riformatori”, hanno capito che non esisteva nessun altro scenario se volevano continuare a vivere. Le comunità ideali e carismatiche restano vive nel tempo se ogni generazione ha il coraggio di provare a far rinascere l’ideale dalle ceneri della sua ideologia. Ma prima devono riuscire a vederla, capirla, accoglierla, amarla, e chiederle di morire.

 

Tratto da Avvenire