Gavina Masala – La dimensione profetica del nostro senso d’insicurezza
I recenti attentati avvenuti in Belgio sono frutto di un inganno, o meglio autoinganno, che si è bruscamente disvelato. Doveva succedere, e lo stupore non trova spazio nella coscienza di chi vuole guardare la verità negli occhi.
I migliori politologi hanno analizzato la situazione in tutta la sua complessità: i deficit dell’intelligence, le guerre sbagliate, l’egoismo degli Stati membri. Tutto vero, ma provando a scavare ancora più a fondo, in un angolo della nostra consapevolezza, sappiamo che quel senso di insicurezza che abbiamo avvertito tutti nell’aggirarci nei quartieri di Schaerbeek, Molenbeek o persino per la Gare du Midi, aree a forte incidenza islamica della capitale belga, avremmo dovuto ascoltarlo. Con l’“islamicamente corretto” abbiamo oscurato i vetri, non abbiamo guardato le cose per come stavano veramente: abbiamo permesso la creazione di ghetti all’interno delle nostre città, che costituiscono humus molto fertile per la predicazione islamica estrema, arrabbiata con l’Occidente, considerato rivale in tutto e per tutto.
E la rinuncia a noi stessi ci è costata cara, ora quel senso di insicurezza ci accompagna ovunque, non possiamo più ignorarlo: guida le nostre scelte, anzi le nostre rinunce, perchè ormai prendere un aereo o salire su una metro non è più la stessa cosa.
Abbiamo pensato che l’Unione europea potesse essere un “marchingegno” neutro, un’entità astratta priva di valori, cultura e storia, ci siamo deresponsabilizzati per delegare tutto a un organismo che non è pensato per gestire una comunità plurale, quale siamo.
L’antropologo René Girard nella sua teoria del desiderio spiega bene l’origine dei conflitti: la vita sociale prende avvio nel momento in cui “qualcuno vuole qualcosa”, quando si vuole qualcosa per sé. Ma in ogni desiderio c’è un soggetto, un oggetto ed un rivale che desidera le stesse cose, per imitazione. Ciò ha origine in un vuoto di personalità che porta a volere imitare l’altro, rinunciando alla propria peculiarità; è così che la sfera sociale si satura fino a scoppiare in conflitti violenti.
La via di fuga? Non fuggire, restare in quest’Europa che si presenta così: multiculturale, principalmente economica, poco democratica e fare ciò che possiamo fare, ossia rivendicare la nostra identità non come atto di prepotenza, ma di esistenza, per onestà.
Non possiamo dimenticare l’intento solidaristico che ha ispirato i Padri fondatori dell’Unione, mettiamolo a sistema, creiamo spazi in cui l’espressione di sé possa essere serena e forte allo stesso tempo.
Guardiamo il contesto italiano, che purtroppo corre anch’esso il rischio del nichilismo dei valori: spesso organizzazioni non profit o ecclesiastiche devono supplire alle mancanze dello Stato, facendo accoglienza per i migranti o per gli indigenti, ad esempio. Impegnamoci in queste realtà, frutto della nostra specificità culturale, rispolverando il valore e la bellezza dell’Occidente.
Le comunità musulmane non sono coese al loro interno come ci appare: serpeggiano conflitti tra chi vuole integrarsi nella cultura ospitante, attratto da essa, e chi invece vuole viverne ai margini per distruggerla. Se solo riuscissimo a far prevalere questa sana frattura, rendendo desiderabile l’interazione pacifica, potremmo sperare di costruire una società veramente inclusiva, non ipocrita. Abbiamo il dovere di rispondere a questa sfida restando uniti come europei, consapevoli di noi stessi.
Nel frattempo, impariamo ad ascoltare quel senso di insicurezza interiore che ci accompagna: spesso ha carattere profetico.
Giovane mamma e moglie, scrivo per capire. Ho una formazione internazionale, da settembre ho intrapreso un secondo corso di studi in filosofia, presso un ateneo pontificio. Parlo tre lingue, mi interesso soprattutto di relazioni internazionali e di religioni: cerco di vedere come la prospettiva cristiano – cattolica possa aiutare a convivere pacificamente.