SIR – San Valentino / Tra Maria De Filippi e Tinder: perché abbiamo così tanta paura di amare davvero?
Questa settimana Egidio Saracino propone al blog la lettura di questo brano
Dal narcisismo di “Uomini e Donne” al cortocircuito sessuale di Tinder, passando per Instagram, Facebook e le tante chat, l’amore è stuprato impietosamente. Nel complesso, la maggior parte delle consultazioni psichiatriche e psicologiche riguardano drammi d’amore, problemi relazionali, nuove solitudini e bisogni insoddisfatti di amore.
Tremate, tremate! San Valentino, la festa fashion degli innamorati, si avvicina e con lei un mucchio di iniziative, più o meno commerciali, più o meno smielate, ma soprattutto decisamente tragicomiche. E sì, perché l’amore romantico, ai tempi della postmodernità tecnoliquida, oscilla fra due estremi: da un lato il modello proposto dalla trasmissione “Uomini e Donne” di Maria De Filippi e dall’altro il modello tecnomediato delle app come Tinder. Insomma, a mio parere l’amore romantico è gravemente malato, direi moribondo e il San Valentino ai tempi di Maria De Filippi e di Tinder ne celebra il quasi-funerale.
La De Filippi è la vestale della forma più narcisistica dell’amore: tronisti, corteggiamenti caricaturali, dialoghi d’amore grotteschi, in definitiva il nulla fatto immagine, il sentimento trasformato in spettacolo, l’amore ridotto alla ricerca della bellezza vuota e dell’emozione estrema. Eppure questa è l’ultima forma, sia pure ridotta ad un goffo gioco, di corteggiamento. Sì, perché con Tinder (e con tutte le app di incontro similari) ecco come vanno le cose: “da circa un anno non ho una relazione stabile ed esco con chi mi va, non sono il genere di ragazza che vuole menarla per le lunghe, se mi piaci sono esplicita. Come moltissimi altri single italiani anche io ho scaricato Tinder e devo dire che lo uso con una certa frequenza, metto cuori in caso di interesse, e quando ottengo un match scambio messaggi con il ragazzo di turno per incontrarlo al più presto”.
Dal narcisismo di “Uomini e Donne” al cortocircuito sessuale di Tinder, passando per Instagram, Facebook e le tante chat, l’amore è stuprato impietosamente. Eppure, nonostante siamo lì sempre connessi, a chattare, twittare, postare, commentare e accettare amicizie sui social, nonostante la rapidità e la velocità degli incontri, nonostante gli aperitivi affollati, i turistifici dello sballo tipo Ibiza, la vita notturna e i locali, nonostante Tinder, la De Filippi e gli speed date, nel complesso la maggior parte delle consultazioni psichiatriche e psicologiche riguardano drammi d’amore, problemi relazionali, nuove solitudini e bisogni insoddisfatti di amore. Insomma, al netto di tutto, sempre più soli. Qualcuno dirà: stai esagerando! Esistono ancora le famiglie tradizionali, con figli, mutuo e cene fra amici.Si certo, ma il trend è davvero un altro.
La maggior parte dei trentenni vive relazioni light e tanti social, ma è davvero impressionante la carica degli adultescenti, quarantenni e cinquantenni, dunque adulti, con rinnovati turbamenti adolescenziali: madri che, attraverso profili facebook molto più sexy delle loro figlie, rintracciano ex di tanti anni fa e riallacciano storie, padri smart sul lavoro e immersi in chat di incontri.
Che fare dunque? Esserci, “esserci-con”, “esserci-per”: questa è quella che ho definito la “progressione magnifica”, che permette di partire da un Io (l’esserci), per passare ad un Tu (l’“esserci-con”) e infine giungere ad un Noi (l’“esserci-per”), dimensione ultima e sola che apre alla generatività, alla creatività e all’oblatività.
La “magnifica progressione” dall’“esserci-con” all’“esserci-per” mantiene anche oggi, e direi soprattutto oggi, un alto valore di significato, proprio per il suo portato anti-liquidità. Costruire dimensioni identitarie e di senso stabili e non ambigue, instaurare relazioni solide e che si dispiegano lungo progetti esistenziali che consentono l’apertura alla generatività e all’oblatività, sono ancora, in ultima analisi, l’unico orizzonte di speranza che si apre per l’uomo del terzo millennio, immerso nel cupo e doloroso paradigma della tecnoliquidità. Sullo sfondo la domanda delle domande: ma perché abbiamo così tanta paura di amare davvero?
di Tonino Cantelmi
Fonte: Sir 9 febbraio 2016