La presentazione di “Parlare d’amore stanca” – di Antonietta Catanese
“Un omaggio all’amicizia, che lega Antonio ai suoi lettori e ai lettori tra di loro”: questo voleva essere la presentazione del libro “Parlare d’amore stanca”, nelle intenzioni del suo autore, Antonio Tommaso. E questo è stato. Ma non solo.
Al Cafè Letterario Malavenda di Reggio Calabria, lo scorso 14 dicembre, Antonio ha accolto amici e lettori: si è alzato dalla sua “sedia d’autore” per abbracciare chi aveva deciso di uscire di casa, lasciarne il tepore, avventurarsi nel traffico di una Reggio Calabria più disordinata che mai, nella folle corsa delle feste natalizie, per arrivare in questo accogliente e “parigino” caffè calabrese.
Perché? Per ascoltare “lui”. Lui è Antonio. L’autore di questo libro dal titolo vagamente provocatorio: “Parlare d’amore stanca”. Pubblicato con StreetLib Write. Da “Indipendente”, quale Antonio Tommaso è. Attenzione! Chi ha lasciato le sue calde certezze domestiche per andare alla presentazione della sua “Opera prima”, non lo ha fatto certo per fargli piacere o per non doversi sforzare di cercare una giustificazione qualunque e più o meno credibile (anche questo stanca molto, non solo “Parlare d’amore”). No No! Chi ha riposto le pantofole, e inforcato cappello e piumino per conquistare un posto nel centro scombinato della città (la via Marina reggina d’inverno sa essere feroce, con le sue saette dolorosamente gelide che sferzano lo Stretto), lo ha fatto per assoluto, cinico e necessario egoismo.
Perché sapeva che lì sarebbe stato (davvero) bene. Che Antonio avrebbe tirato fuori dal cilindro questa o quell’altra storia che ti fa amare la tua imperfezione. Che te la rende “amica”. Che ti fa pensare: “Beh, non sono il solo al mondo a cercare di essere migliore. E a non riuscirci (magari). Però, a pensarci bene, c’è qualcosa di meraviglioso in questa imperfezione, quando con i tuoi goffi, ma eroici tentativi, cerchi di superarla. E, alla fine, quello che ti fa superare i tuoi limiti è l’amicizia. E l’amore”.
Antonio ha un dono prezioso e raro: sa farti ridere e riflettere e commuovere. Tutto insieme.
Non con la battuta più o meno azzeccata, no. Sa farti ridere delle cose “importanti”. Quelle che in genere ti fanno montare l’ira, imprecare, arrabbiare; quelle che ti rovinano le giornate e ti fanno sentire estraneo al mondo e alla vita. Antonio, tutte quelle cose lì, le prende, le racconta e te le restituisce sotto forma di storie dentro cui tu ci sei, ti ci riconosci. Ma, questa volta, non si sa perché, non solo non ti fanno scendere i canini aguzzi da vampiro, ma ti fanno ridere, ti fanno sentire giusto anche quando sei sbagliato, ti fanno divertire e ti fanno amare e capire di più cosa sei tu e cosa sono gli altri.
Ed ecco perché, alla fine, nel “caffè” reggino di un giorno prenatalizio, in cui di solito sbirci l’orologio scorrendo mentalmente quanti regali ancora devi mettere al sicuro sotto l’albero, la saletta calda con i tavolini del Malavenda era strapiena di persone. E tutti si stava lì ad attendere che Antonio parlasse, come un Oracolo.
Al tavolino dell’Autore c’era Adriana Trapani ad introdurre l’incontro. Adriana è amica di Antonio. Lo è diventata dopo essere stata sua prof di italiano e latino al Liceo. E questo, già, la dice tutta!
Una vita di libri letture e lezioni. Mai formali. Ironia tagliente supportata da cultura non comune te la fanno amare, anche quando incrociarne lo sguardo ti risveglia un po’ dell’ansia che sentivi quando arrivava l’ora di latino. “Non è una guida alla lettura, la mia – ha subito sgomberato il campo la prof – né una recensione. Questo libro , come ogni libro, parla ad ognuno in modo diverso. Quindi io qui dirò solo cosa “ha detto a me”.
“E a me – continua la prof – ha fatto ridere. Tanto. Non sorridere – sottolinea – ma proprio ridere di gusto. Spiazzante, godibile, filosofico. Qui dentro ho trovato una scrittura fluida ed elegante, lui che è ingegnere elettronico (del resto nessuno è perfetto!). Ed ho trovato la quotidianità, gli affetti, i legami familiari, indagati con arguzia, con la capacità di andare oltre, riassumendo infine in “sententiae” appena accennate il senso della ricerca dell’essere umano, sulla terra, con lo sguardo alla luna. Una ricerca che, letterariamente, non tradisce i due riferimenti che l’autore stesso ama e palesa: Ariosto e Calvino”.
Ritratti, storie di vita, quotidianità e romanzo, realtà e finzione si intrecciano in questo volume, a tratti autobiografico, dipanato sul filo conduttore di una raffinata ironia, che strappa tanti momenti di grande, autentico godimento, ma che al tempo stesso scava nei sentimenti, nella difficoltà dei rapporti umani e degli equilibri sottili che li reggono.
La lettura di brevi passaggi del testo ha animato l’incontro con i lettori. AL centro il piacere del racconto: uomini e donne, madri e figli, padri e figlie, amici e amiche, mariti e mogli, colti nella quotidianità che è il ritmo dell’esistenza.
“Stanotte le zanzare non ci hanno fatto dormire. Mia moglie ha provato a tenerle lontane con gli ultrasuoni – alcuni dei quali erano perfettamente udibili all’orecchio umano – ma il tentativo è fallito e stamattina si è alzata dichiarando di non aver chiuso occhio. Un uomo che può fare davanti al lamento della sua donna? Cerca di venirle in aiuto, di soccorrerla, di non restare indifferente . O almeno di vendicare il torto che ha subito. Così ho fatto io. Mi sono precipitato in cucina, ho afferrato il catalogo della Tupperware, che è un’arma fantastica contro le zanzare, e ne ho fatte fuori sei in due minuti. Non voglio fare lo sbruffone con voi, non erano certo zanzare tigre, ma mi sono sentito lo stesso come un eroe omerico, come Diomede dopo una battaglia. Ero fiero di me. L’ho chiamata, che stava preparando la colazione in cucina, per mostrarle i segni della battaglia. Sapete che cosa mi ha detto appena giunta sulla spiaggia di Troia? “Hai sporcato tutto il muro! Adesso prendi la scala, uno straccio e pulisci”. Quindi ha aggiunto: “Mi hai pure rovinato il catalogo della Tupperware, me l’aveva lasciato la signora Lucia e glielo devo restituire. Non potevi usare la Gazzetta dello Sport per ammazzare le zanzare?”. Ora io non so se Diomede si sia mai trovato in una situazione del genere. Non mi pare che Omero racconti di “Rimproveri” da lui ricevuti per il fatto di aver lasciato tutto sporco dopo una battaglia. Un eroe, si sa, un pochino sporca. Bisogna farsene una ragione. Una non può sposarsi con Diomede per poi fargli pulire le piastrelle con la vaporella. Sarebbe come usare il bimby per lessare le carote”.
Antonio dialoga con i suoi lettori al tavolino del caffè. Con la stessa lieve ironia con cui scrive. Anche nella quarta di copertina: “Questo è un libro autobiografico. Solo che non è la mia biografia. Non solo, almeno. È anche la vostra…. Come si fa a scrivere la biografia di gente sconosciuta? È facile. Nei fatti irrilevanti gli uomini si assomigliano tutti. …Capisco che molti possano preferire racconti costruiti attorno a fatti rilevanti, mentre probabilmente su ciò di cui ho scritto non avete mai perso troppo tempo per riflettere, perché avevate cose più importanti da fare. Eppure io credo che la felicità non stia nei curriculum, nelle battaglie, nelle conquiste, nelle lotte, nelle trincee, nel sangue, ma sulla Luna. E sono quasi certo che Ariosto sarebbe d’accordo con me”.
E alla fine, a chi chiede perché “Parlare d’amore stanchi”, Antonio risponde: “Per me l’amore è l’orario delle ferrovie. Quando ero piccolo avevo un amico (e quell’amico è in sala oramai grande). Lui aveva il papà ferroviere. Non lo vedeva mai. Lui, il mio amico, aveva imparato a memoria tutto l’orario delle ferrovie. È un’opera mastodontica. Tutti gli orari di tutti i treni che viaggiano di qua e di là. Se tu gli chiedevi quale treno c’era di mercoledì, per andare da Reggio a Torino, lui te lo sapeva dire. Li conosceva tutti. A memoria. Lui amava suo padre. E a lui mancava. Non ne parlava. Aveva però imparato, a soli otto anni, tutti quei numeri e le tratte e i binari da cui partiva ogni treno. Per me l’amore è l’orario delle ferrovie”.
Parlare d’amore stanca
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