ilsussidiario.net – Papa Angelus. “Accogliete una famiglia di profughi”. Il Vangelo non è una metafora.
Ieri, tra i cattolici che hanno ascoltato il Papa all’Angelus, credo che siano stati in pochi a non sentire i brividi. Il Vescovo di Roma ha chiesto a tutte le realtà ecclesiali, in modo molto fermo e netto, di prendere a casa proprio almeno una famiglia di profughi. Ecco le parole esatte: “Chiedo a tutte le parrocchie, a tutti i conventi, a tutta la chiesa, di ospitare almeno una famiglia di profughi”. E poi c’era il tono. Deciso, sereno, diretto.
Ci sono gli appelli alle comunità, i richiami alle nazioni, le esortazioni alle coscienze, gli interrogativi personali, le questioni interiori. E poi ci sono gli “alzati e cammina”. Di solito con i primi ci si fanno i programmi sociali, le agende di partito, i progetti pastorali: cose buone e necessarie. Ma è con i secondi che si fanno i miracoli. Da duemila anni il cristianesimo cambia il mondo quando fa miracoli.
E il Papa ieri ha chiesto di fare un miracolo. Ha chiesto di pregare con il cuore nelle mani e di aprire le porte.
Chi si fosse stancato di sentire parlare di ponti, cioè di sentir parlare il Papa, è accontentato. Nessuna metafora. Il ponte è diventato “un ponte di uomini”. Migliaia di uomini in fila. È finito il tempo del ponte come metafora. Nessuna nuova metafora. Nessuna metafora. Il ponte che arriva alla porta di casa, è la porta di casa nostra. Il Papa ci dice “apri e ospita”. È la versione 2.0 di “alzati e cammina”. Il Papa dice che “di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi” dei più piccoli e abbandonati. Ci chiama a dar loro una speranza concreta.” Il Vangelo ci chiama. Strano. Di solito il vangelo è passivo nelle mie mani: sono io che lo apro, lo leggo, ci prego, lo chiudo. Ora è lui che mi apre e mi chiama.
Ho fatto nel pomeriggio di ieri un giro di telefonate a parroci e responsabili vari di diverse realtà ecclesiali. Le risposte sono state quelle che mi aspettavo, cioè quelle che avrei dato anch’io: non ho sentito, belle le parole del Papa ma c’è il problema legale, noi facciamo altro non possiamo metterci ad ospitare anche profughi. Comunque noi ne parleremo. Ne parleremo di certo visto che lo ha detto il Papa.
Le uniche che ho trovato pronte – udite udite – sono state delle monache di clausura. Taccio l’ordine e il luogo per via del vangelo quando dice che la destra non deve sapere cosa fa la sinistra (cfr Mt 6,3). Queste monache da tempo hanno deciso di privarsi di alcuni loro spazi e di darli, sotto tutela del vescovo, a famiglie di profughi. Perché il Papa, mi hanno detto, questa cosa non è la prima volta che la chiede. Mi hanno spiegato che quando Gesù dice a Giuda “i poveri li avrete sempre con voi” (Gv 12,8 e paralleli) vuol dire che la chiesa per essere tale deve sempre lasciarsi interpellare dai poveri, cioè deve avere sempre dei poveri che intralciano la loro vita ecclesiale. Che ti fanno smettere di essere belli, puliti, ordinati, e che ti scombinano i piani. Cioè, insomma, che ti fanno venire i brividi lungo la schiena.
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