Blog – Dialoghi, non chiamate alle armi
Per il post che faccio il sabato solo per il blog, volevo fare riferimento a qualche commento specifico all’articolo dell’altro giorno sulla difficoltà a trovare il battesimo, ma mentre li scorrevo mi rendevo conto che citarne qualcuno non mi aiutava a capire. Continuavo a passare dai commenti sul blog a quelli sull’Huffington Post e sull’fb dell’Huffington. Apro, scorro, leggo. Temi molto sensibili ma poco privati. Temi sociali ma non da cattedra. Sociali perché quotidiani e civili, perché riguardano me, te, noi, figli, quartiere, condominio. Famiglia, matrimonio, scuola, figli, sacramenti, omosessualità, teoria gender sì o no. Temi da agenda politica ma anche da agenda scolastica. Anzi, questa forse è la vera politica: quella che scende dal Palazzo ai nostri palazzi.
Riportarne qualcuno non mi aiuta a capie perchè non è il singolo pensiero ad avermi colpito ma l’aria che tira all’improvviso nella discussione su certi temi. Aria di cordata. Solo che non si sale in cima alla questione ma si scende ad un livello piatto, non tanto intellettualmente ma proprio a livello di relazione. Si crea un clima da gioco di specchi per cui da una conversazione a più voci ci si ritrova accerchiati da una strana forma di aggregazione: la complicità.
Nei commenti su certi temi, ad un certo punto arriva un’aria di complicità che non mi piace molto. Sembra una cordata ma non lo è. In un cordata si parte da valle tutti insieme e tutti insieme si sale. Qui invece ne arriva uno. Di solito il tono del post non è discorsivo ma contusivo: parole come pietre. A volte le parole pietre sono incartate con le parole Dio, famiglia, amore, figli. E fanno male perché fa soffrire essere feriti con le stesse parole che sono fondamento anche per te.
Ma non è solo questione di modi espressivi, è che tu pensi di parlare, cioè uno ascolta e l’altro risponde e viceversa, ma non è così. Il primo che arriva scrive un post che destinato ad essere come quei richiami nella caccia nel sottobosco. L’uccello arriva richiamato dal verso e si ritrova con un mucchio di cacciatori in tuta mimetica dentro il canneto. L’anatra era di plastica, il suo verso un fischietto.
Mi scuso se l’esempio offende qualcuno ma forse potrebbe essere l’occasione per poter ricominciare a parlare veramente, io e te e te e te, e noi. Un invio e il tempo di leggere e poi riflettere e rileggersi e riscrivere. Senza chiamate alle armi virtuali. A volte, sul blog, arrivano persone che sembra si mettano d’accordo per una chiamata al soccorso: appaiono nomi nuovi che vengono salutati, con cui si vuole dialogare, confrontarsi , a volte anche animatamente, si, capita. E ci si ritrova invece con una cordata di commenti specchio che riflettono la stessa immagine del primo arrivato e non riesci a rispondere perchè nessuno ti fa realmente una domanda.
Perché non è il numero dei commenti che dice che dialoghiamo, come non è il volume della musica che dice se una festa è riuscita, ma è se ne usciamo ripensando a qualcosa che ci siamo detti o abbiamo letto e ascoltato e che ci fa dire: interessante, sono daccordo. Interessante, ma non sono d’accordo.
Ecco. Mi piacerebbe che non ci fosse bisogno di chiamare rinforzi per rinforzare un’ idea da espimere ma che ci fosse la voglia di riscrivere un secondo, un terzo, un quarto commento. Perchè i commenti migliori non sono quelli scritti bene ma quelli che iniziano con “forse non mi sono spiegato bene ma volevo dire che….”.
E quei puntini li riempiamo insieme.