Articoli / Blog | 04 Luglio 2015

Blog – 4 luglio, la festa della diversità

Il 4 luglio, giorno dell’indipendenza degli Stati Uniti, un po’ c’entra con il rispetto e l’accoglienza della diversità – non bisogna essere degli storici esperti per saperlo – e così ne approfitto per scrivere un po’ di quest’ultima.
Ora, che la diversità è ricchezza ce lo diciamo tante volte perché è vero ma non tutta la verità è facile, e questo non ce lo diciamo spesso.
Se la diversità è ricchezza, dovrei desiderarla, rispettarla, volerne avere in abbondanza nella mia vita, eppure spesso non è così.
Spesso la diversità mette paura, dà fastidio, smuove certezze. Arricchisce, sì, ma di problemi, di domande, di questioni irrisolte: non quelle di fuori, quelle dentro di me, in me e che, semplicemente, non mi va di affrontare. È allora che, spesso con le migliori intenzioni, nascono i problemi, gli errori e iniziano i dolori.
Oggi 4 luglio diciamoci che un errore fatto con buona intenzione, resta sempre un errore e va corretto. Il dolore dell’errore che commettiamo senza rendercene conto, rimane. Proviamo allora ad aggiungere una subordinata: la diversità è ricchezza ma non è una ricchezza facile. È una ricchezza che richiede uno spazio in me.
Uno spazio libero, fatto di comprensione, voglia di ascoltare, ricevere, pazienza di non capire tutto e subito, tolleranza, saper amare, voglia di ascoltare, voglia di raccontarmi, saper guardare l’altro e sospendere ogni giudizio.
Allora il diverso sarà prima di tutto un altro. Un altro incontro. Un’altra occasione di amicizia, relazione, come vogliamo chiamarla. Il diverso da me ha qualcosa che da ora potrei avere anch’io: la sua vita, la sua compagnia, la sua presenza.
Cosa succede quando una situazione diversa dalla mia, dal resto della maggioranza del mondo viene derubricata a malata?
Succede che la metto in una corsia di ospedale. Anche se materialemente non dovesse avvenire mai, nella mia mente, nel mio cuore e nella mia vita, quella persona entra in una corsia speciale dove andrò a trovarla quando è l’orario giusto, dove gli somministrerò le medicine, le parole, i valori, i principi, giusti, e poi tornerò alla mia vita da sano. Continuerò a chiamarla prossimo mio ma non vivrò con lei ma al suo capezzale.
E questo semplicemente non è giusto.
Non è semplicemente sbagliato. Non è semplicemente poco caritatevole.
Non solo.
È che non è giusto.

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