Le Lettere di Sandokan – Dio c’è
Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me divampa la battaglia,
anche allora ho fiducia.
Sono versi del salmo 27 che fanno parte di una preghiera che i membri dell’Opus Dei sono soliti recitare quotidianamente. Con queste parole il re Davide, a cui è attribuito il salmo, manifesta il suo coraggio di fronte ai mille pericoli che lo assalgono, un coraggio che lui fa derivare dalla certezza che Dio sia dalla sua parte e non dalla parte dei suoi nemici.
Nel salmo sono descritti questi pericoli. Sono pericoli concreti, vicini: i suoi nemici sono tanti e lo circondano; i suoi genitori lo hanno abbandonato; falsi testimoni lo accusano; persone malvagie vogliono strappargli la carne. Insomma, è una persona che si sente accerchiata e si conforta, e si fa coraggio, proclamando, quasi urlando, che Dio è sua “luce e salvezza”.
Nello svilupparsi del salmo tuttavia, la forza iniziale della sua preghiera sembra smarrirsi un po’. Si smarrisce davanti al timore che Dio gli nasconda il suo volto. E’ come se non fosse più tanto sicuro di combattere con Dio a fianco, è come se non fosse più tanto sicuro che Dio sia dalla sua parte. Perché non lo vede. E allora il “rullo di tamburi” con cui pareva aver voglia di affrontare il mondo si trasforma in una richiesta di aiuto.
E se Dio fosse dalla parte dei miei nemici? E se avessi sbagliato tutto? Ha questo dubbio, forse. O forse sono io che lo penso, è solo un dubbio mio. I miei “nemici” non sono forse anche figli Suoi? Davide comunque non sembra più tanto sicuro che la sua “elezione” a re e le sue dichiarazioni di fede bastino a salvarlo dalla morte.
All’inizio era alla “forza” di Dio che si affidava, perché facesse “cadere” i suoi nemici. Poi sembra appellarsi alla Sua “bontà”, alla Sua “misericordia”, al Suo “consiglio”, perché lo possa salvare: “mostrami la tua via, guidami al retto cammino”, ossia dimmi che devo fare per salvarmi e lo farò.
Il cuore del salmo è il desiderio di vedere Dio: il re Davide non si accontenta più delle promesse di salvezza che ha ereditato dai suoi padri, non gli basta più sapere che Dio gli vive accanto, lo vuole vedere per essere sicuro di vivere.
Anche Mosè aveva avuto questo desiderio, ma Dio dichiarò che non era possibile che lui vedesse il Suo volto e restasse vivo. Tutto ciò Davide lo sapeva bene. Ma ciò che il re chiede in realtà è di purificare il suo desiderio (e la sua vita). Perché Dio vuole farsi vedere, ma vuole farsi vedere così com’è e non come Davide vorrebbe che fosse.
Il problema sta nella differenza tra ciò che si chiede a Dio e ciò che Dio ci vuol dare. Il re Davide, per esempio, cosa cercava in realtà? Un rapporto intimo con Dio, una conoscenza personale profonda, oppure semplicemente la sua benevolenza protettrice e misericordiosa? Dio non dà ciò che l’uomo non vuole davvero. E spesso gli uomini non cercano nelle loro relazioni (né col prossimo, né con Dio) “intimità”, ma protezione, rifugio, consolazione, comprensione, liberazione dalla paura. Tutte cose buone, in sé, che però non hanno la forza di cambiare il centro di gravità attorno al quale ruotano le nostre giornate.
E allora Dio non si mostra, si nasconde, ma si fa cercare. Sperando che gli uomini lo cerchino davvero.
Ecco una storiella chassidica che ho trovato in Rete, così come in Rete ho trovato un po’ di pensieri a cui ho dato una lettura personale in questo scritto.
Alcuni ragazzi giocavano a nascondino nel cortile di un loro compagno. Ma i ragazzi cambiano facilmente il loro centro di interesse e improvvisamente quel gruppo smise il gioco e se ne andò, senza portare a termine la ricerca. Mancava proprio il ragazzo di quel cortile, rimasto nel suo nascondiglio. Dopo lunga attesa egli uscì e si accorse di essere solo. Si recò allora piangendo dal nonno: «Mi ero nascosto, ma non mi hanno cercato». Allora fu il nonno a sospirare: «Anche Dio fa lo stesso lamento: “Io mi nascondo, ma gli uomini non mi cercano”».
Dove si cerca Dio?
Il Salmo è chiaro: il “volto di Dio si trova nella sua casa, nel luogo ove egli dimora”. Davide pensava al Tempio di Gerusalemme, probabilmente. Ma noi sappiamo che è venuto un tempo, ed è questo, nel quale Dio va cercato altrove.
“O sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai”. E’ una frase di san Josemaría Escrivá che ci suggerisce dove cercare. Abbiamo vite così diverse. Forse non abbiamo nemici “malvagi” come quelli di Davide (o forse sì, non so), però c’è gente attorno a noi che ci fa paura, che sembra aver tutta l’intenzione di sbriciolare le nostre certezze. E allora ci chiudiamo dentro nostri recinti sicuri, fatti con le nostre mani, definite dai nostri giudizi, così come alcuni giudei si rinchiusero nelle loro Leggi e finirono per lasciar fuori Gesù.
Ma come facciamo a essere sicuri che Dio sia dentro il nostro recinto? Come facciamo a essere sicuri che Lui non sia dove mai noi ci saremmo aspettati di trovarlo? Non abbiamo mai i dubbi di Davide? Non ci viene mai il dubbio che Dio sia anche dalla parte di quelli che consideriamo nostri “nemici”?
Svoltare gli angoli che troviamo per strada con trepidazione, perché non sappiamo cosa potremmo trovarci. Rendere essenziale ogni “incrocio” che attraversiamo, che diventa sempre una possibilità e mai soltanto un’abitudine o un pericolo. E’ una bella vita, in fondo. E poi a nascondino si gioca così. Me lo ha spiegato mia figlia da bambina, quando mi cercava anche nel vaso da fiori. Mia moglie le diceva: “Ma come può essere lì? Non c’entra tuo padre lì dentro”. E lei pronta: “Non si sa mai”.
Sandokan è la Tigre della Malesia, questo si sa. In verità negli anni della sua giovinezza – quando il corpo esultava – le tigri, lui, le uccideva. Ma poi scelse la via di Lutet con i draghi. È l’eroe di sua figlia che, bambina, gli diceva: “Voglio essere anch’io una tigre, una tigre-femmina! Si può?”. “Certo che si può! Ma cosa credi che faccia una tigre tutto il giorno?”. “Lo so, lo so! Legge, studia e racconta favole!