Articoli / Blog | 14 Aprile 2015

L’Huffington Post – Perché in Italia abbiamo davvero bisogno della tragedia per accorgerci delle cose che facciamo male?

“Stavamo incollando delle schede di matematica. Poi è venuto tutto giù il soffitto”. È il racconto di Luca, 8 anni, uno dei due bimbi rimasti feriti, fortunatamente in maniera non grave, nel crollo dell’intonaco in una seconda elementare della scuola “Pessina” di Ostuni. La voce dei bambini, dei bambini feriti.

Quando parla un bambino io lo ascolto attentamente. Molto. I bambini, anche se spesso usano un linguaggio fantastico, raccontano solo la realtà. E quindi svelano la verità. Questo bambino dice che la vita ti crolla addosso quando stai incollando le schede di matematica, cioè quando non te lo aspetti. Quando è tutto normale. Come ieri, come sempre. Ti crolla nel luogo dove ti ha portato mamma, dove sei al sicuro, dove ti senti tranquillo perché tutto è stato costruito per te. È questa la cosa difficilissima da accettare: non ci si fa male solo in guerra, quando c’è il nemico. A volte il dolore viene da chi doveva vigilare su di te e non l’ ha fatto o l’ha fatto male. A volte il male arriva all’improvviso quando fai quello che hai sempre fatto e ti senti bene, al sicuro.

Non è che l’ennesimo caso del genere accaduto in una scuola. Appena due mesi fa, a febbraio, il distacco dell’intonaco nella scuola di Pescara provocò il ferimento di tre studenti. A gennaio, sempre di quest’anno, era invece crollato l’intonaco di un soffitto in un asilo in Lombardia ferendo sette bambini.

“Lo stato di sicurezza di tante scuole nel nostro paese è grave”, esordisce il rapporto di Cittadinanzattiva. “Quattro edifici su dieci hanno una manutenzione carente, oltre il 70 per cento presenta lesioni strutturali, in un caso su tre gli interventi strutturali non vengono effettuati, più della metà delle scuole si trova in zona a rischio sismico e una su quattro in zona a rischio idrogeologico”, sintetizzano dalla onlus che tutela i cittadini italiani. A dimostrare che la situazione è davvero grave sono i tanti incidenti – 36 nell’ultimo anno – che solo per puro caso non si trasformano in tragedia. Come può accadere 36 volte nell’ultimo anno? Come avviene che non riusciamo a fermare questi incidenti? Perché in Italia abbiamo davvero bisogno della tragedia per accorgerci delle cose che facciamo male?

Non sono domande da politico in gara elettorale per il voto. Le rivolgo a me. Quelli che mettiamo in scuole fatiscenti e pericolanti non sono forse i nostri figli? Guardo dentro di me e mi chiedo: quante volte mi sono fermato a dirmi basta? A dirmi: fermati, guarda che ti è già successo 36 volte. Non lo so. Ma da oggi lo voglio imparare. Voglio fermarmi a guardare le volte che nella mia vita il soffitto è crollato. Voglio aspettare a scrollarmi la polvere di dosso e a rimettere tutto a posto. Voglio sostare nel mio dolore e guardare guardare guardare per poi ricominciare e farmi aiutare. Non fanno così i bambini quando cadono?

Rimangono a terra e piangono e si rialzano piano e si guardano le ferite sulle ginocchia e sulle mani e lasciano che sia la mamma a toglier loro la terra dalla bocca. I grandi no. I grandi si vergognano se cadono e si rimettono subito in piedi, raccolgono la cartella e si spazzolano i pantaloni e sistemano i capelli. I grandi sperano che nessuno li abbia visti quando sono caduti e cominciano a rincamminare facendo finta di niente e dicono “niente niente, non è successo niente”. Si vergognano. Ci vergogniamo delle nostre cadute e forse è per questo che non impariamo mai.

Oggi voglio imparare a rimanere a terra, a farmi aiutare, a vergognarmi dei miei errori e non delle mie cadute e voglio iniziare insieme a qualcuno per non cadere di nuovo. Perché non voglio più far male a qualcuno.

Tratto da L’Huffigton Post

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