
Le Lettere di Sandokan – Malinconia
La malinconia, quel dolore raccolto e intimo che ti prende alle volte, fino quasi a diventare il sottofondo di ogni tua giornata, che è capace di convivere con l’allegria e con il buon umore, che è propria degli spiriti contemplativi – di coloro i quali vivono come se avessero perso ciò a cui maggiormente tengono e continuano a cercarlo attorno a loro o in loro, sicuri di ritrovarlo, prima o poi – da che cosa ha origine?
“Succede quasi sempre che quando qualcuno mi fa un regalo finisce che poi io divento triste”.
Sono parole che Salinger mette in bocca a Holden, un adolescente, per raccontare di una sua tristezza piccola – ma più quotidiana, più comune, di quelle che “meritano” oggettivamente questo nome – che non ha origine da un dolore, ma da un regalo. E quindi tu non la sai motivare. Sai solo dire che ce l’hai, ma non hai voglia di starne a parlare con altri. Forse perché non sapresti spiegarla oppure perché nessuno te la può levare.
Certo ricevere un regalo dà soprattutto gioia. E non parlo necessariamente di “oggetti”, di “cose”. Sentirsi dire da un altro “ti voglio bene”, per esempio, è un gran regalo. Ed è anche il fiocco con il quale è confezionato ogni altro regalo. Il punto però è che poi a quelle parole seguono altre parole, segue la vita, e tu finisci sempre per scoprire che da quel “ti voglio bene” non ne consegue mai quello che tu ti saresti aspettato. Non parlo di inganni, di bugie. Sono parole sincere quelle che ascolti, sono regali veri quelli che ricevi. Però è un “voler bene” diverso dal tuo. Non dico migliore o peggiore: diverso. E’ che uno carica le parole buone che sente, i regali che riceve, di mille attese sue, che andranno inevitabilmente deluse. Perché le parole non hanno mai per l’altro lo stesso senso che hanno per te.
Magari l’altro voleva semplicemente dirti che ha piacere a parlare ogni tanto con te, o che ti trova simpatico, o che sei buono, o che sarebbe bello se poteste frequentarvi più spesso se non aveste così tante cose da fare, mentre tu ti aspetti che lui abbia voglia (se solo potesse!) di trasformare tutta la sua vita in un’attesa di te, delle tue confidenze su cose importanti o, meglio, su cose piccole, insignificanti, che diventano importanti solo perché sei tu a raccontarle. Ti aspetti che abbia voglia di farsi servire da te.
Ecco, il “voler bene” nelle relazioni umane è sempre sbilanciato e, se hai voglia di esplorarlo fino in fondo, si riempie di mille attese deluse. Ma uno può anche accontentarsi di molto meno, di trovare un accordo, di firmare una specie di protocollo d’intesa con il suo prossimo per evitare fraintendimenti, e così si soffre di meno, perché si codificano le attese che si hanno verso l’altro trasformandole, nero su bianco, in reciproche pretese. Rinunci ad attenderti che l’altro abbia voglia di passeggiare con te appena può, per esempio, ma pretendi che si ricordi di telefonarti il giorno del tuo compleanno. O che ti dica che la tua pettinatura ti sta proprio bene non appena ti incrocia per strada.
Accettare di riempire le proprie giornate di mille attese deluse. Forse è questa la croce che ciascuno deve portare ogni giorno, che non è desiderio di soffrire, ma desiderio di bene vero, che non sa accontentarsi di poco. Una croce sicura come è sicuro che il Sole esiste, evidente a chiunque – ragazzo o adulto – abbia voglia di esplorare i suoi “ti voglio bene” fino in fondo. E anche quelli altrui. La malinconia che ne deriva è un po’ il frutto di queste “delusioni”. Ma se qualcuno si accorge – basta uno a volte – del senso che hanno le tue parole, o se ha voglia di esplorarlo con te, allora tutto cambia per te. E’ come se i tuoi “ti voglio bene” si unissero ai “ti voglio bene” di tutti quelli che hanno voglia di farsi voler bene da te per diventare una cosa sola, uguale ma diversa da ciò che avevi sognato, che mai occhio vide né orecchio udì. L’alternativa è una vita di bugie, di “ti voglio bene” protocollari, di “ti voglio bene” per contratto, che non riscaldano nessuno perché rimangono soli, senza importanza per chiunque non sia tu.